EIA EIA, LIOLÀ! - MA QUALI AMBIGUITÀ O ADESIONE FORMALE: LUIGI PIRANDELLO ERA FASCISTA “FINO AL MIDOLLO” – CORRADO ALVARO GLI AVEVA AFFIBBIATO IL NOMIGNOLO “P. RANDELLO”, CHE DIVENNE MOLTO POPOLARE NEI CIRCOLI CULTURALI E NEI PERIODICI ANTI-FASCISTI – LA LETTERA A MUSSOLINI DOPO L’ASSASSINIO MATTEOTTI E IL SOSTEGNO DEL GOVERNO AL NOBEL PER LA LETTERATURA NEL 1934: DURANTE IL DISCORSO DEL BANCHETTO BRINDÒ A MUSSOLINI E FECE…
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Piero Melati per “il Venerdì di Repubblica”
“P. RANDELLO”: questa è la storia di un nomignolo velenoso, affibbiato dallo scrittore calabrese Corrado Alvaro al siciliano Luigi Pirandello, l'autore italiano moderno più famoso nel mondo. Il nomignolo divenne popolare nei circoli culturali già agli albori del fascismo: in origine fu uno scherzo tra colleghi, niente più che una battuta da corridoio.
Ma presto lo scrittore divenne il personaggio di vignette "virali", come si direbbe oggi, apparse a raffica sul periodico antifascista Il becco giallo prima che fosse costretto alla clandestinità nel 1926.
"P. Randello" era spesso la didascalia di disegni che ritraevano lo scrittore in camicia nera e fez. In una, accanto a un falò dei suoi libri, c'è Mussolini che gli porge un manganello: «Adesso, giovanotto, smetti di scrivere fesserie e fatti onore». Ma Pirandello fu davvero un fascista convinto? La critica successiva ne ha fatto un caso da Così è se vi pare. Si è parlato di una "adesione" al regime più formale che reale, dettata da questioni di mera convenienza, infine naufragata in una delusione finale.
Uno slancio, insomma, poco condiviso dalla "persona" Pirandello, e invece cucito addosso al "personaggio" pubblico dello scrittore di grido, magari per bieca propaganda. Ora il "personaggio" Pirandello ha trovato un nuovo autore.
Si tratta di un ricercatore e critico letterario, Piero Meli, che condivide con il drammaturgo la patria agrigentina, e che ha pubblicato un libro (Luigi Pirandello. «Io sono fascista», Salvatore Sciascia editore) con l'intento di riscriverne la biografia. E per farlo, ha condotto una inchiesta lunga quattro anni, tra ricerche di documenti inediti e giornali dell'epoca.
«Da questa mia trincea agrigentina» aggiunge, come fosse una guerra, «perché oggi la critica genuina non esiste più». Le sue conclusioni? «Ho smentito le interpretazioni riduzioniste che del fascismo pirandelliano hanno dato Sciascia, Camilleri e lo stesso Alvaro» sostiene Meli.
«Pirandello, al contrario, fu fascista fino al midollo, lo fu prima di prendere la tessera del partito e non lo fu mai per opportunismo. Non lo sostengo io, lo dicono i fatti». In questa storia c'è una scena madre. Anzi, un gesto teatrale. «Pirandello entra in scena proprio nel momento giusto, quando tutti pensano invece che sia il momento sbagliato. È il 17 settembre del 1924.
Il cadavere di Matteotti incombe sul governo; il Paese è inorridito. Mussolini è isolato; il fascismo perde pezzi e sembra irrimediabilmente sull'orlo della crisi, quando il cinquantasettenne scrittore siciliano irrompe nella mischia, platealmente, con una lettera al Duce nella quale chiede di essere iscritto al Partito fascista».
Questo l'incipit del volumetto di Meli. L'autore non potrebbe essere più chiaro: Giacomo Matteotti, segretario del partito socialista, era stato assassinato a Roma il 10 giugno, la situazione politica era quella descritta, Pirandello mise la sua autorevole adesione al fascismo su una bilancia dove dall'altra parte pendeva un omicidio politico.
A questo punto, come in un giallo, entrano in scena altri due personaggi, il dottor Jekyll e mister Hyde. «Leonardo Sciascia, per liquidare il fascismo di Pirandello, afferma che un conto è la biografia, un altro l'opera» dice Meli. «Così avremmo un Pirandello bifronte, come il personaggio di Stevenson. E comunque, per Sciascia, il fascismo pirandelliano fu fittizio e dettato da opportunismo. Non è vero neanche questo».
Dopo avere studiato giornali e discorsi di quel 1924, il critico-segugio sostiene che nell'autore di il fu Mattia Pascal di opportunismo non vi era l'ombra. È vero che Mussolini avrebbe voluto nominarlo al Senato immediatamente dopo l' endorsement, ma Pirandello rifiutò più volte. Fino ad aprire un personale contenzioso con il regime. Disse di no, ad esempio, all'uso del teatro per fare propaganda.
«Era un fiero sostenitore dell'arte per l'arte, estranea alla politica» spiega Meli. Ribadì sempre di non volere cariche («farò del bene alla Patria con la mia opera") e proprio per questo, alla lunga, i gerarchi gli preferiranno D'Annunzio. Tuttavia rimase fascista, tanto che il governo lo appoggiò per la conquista del Nobel per la letteratura del '34.
«Fece un tour in Svezia, Finlandia e Danimarca a spese del regime, su consiglio del ministro Gentile, per preparare il terreno». Dopo Sciascia, e sempre a proposito del Nobel, un altro grande siciliano —Andrea Camilleri — ha spezzato una lancia in favore di Pirandello. Camilleri ha sostenuto che lo scrittore non tenne discorsi ufficiali dopo la premiazione proprio per evitare di dover elogiare Mussolini.
Meli smentisce: «Mi sono procurato il volume di Fiammarion con i discorsi dei Nobel citato da Camilleri come prova. Manca quello di Pirandello, è vero, come ne mancano tanti altri. Ma solo perché, come poi avrebbe fatto anche Montale nel 1975, ci si poteva limitare a tenere un più informale "discorso del banchetto".
Durante il quale, come scrissero tutti i quotidiani italiani e francesi, Pirandello brindò ugualmente a Mussolini e fece pubblica professione di fede». «Corrado Alvaro, poi, sembra Paolo di Tarso, fulminato sulla via di Damasco» aggiunge Meli. L'uomo che aveva coniato la battutaccia "P. Randello" alla fine abiurò («roso dai sensi di colpa» secondo il ricercatore) in favore del drammaturgo. Fino a sostenere che il suo testamento spirituale rappresentasse una estrema rottura col fascismo: «Volle essere seppellito ignudo» scrisse Alvaro, «cremato e senza funerali di Stato, per non dovere indossare la camicia nera e impedire così un discorso del Duce».
Peccato, chiosa Meli, che, come ha dimostrato il figlio, quel testamento risalisse a una ventina di anni prima. Nell'ultima parte del libro, Meli ha raccolto gli «scritti sconosciuti» di Pirandello. Sono editoriali e interviste che, attraverso le contraddizioni di un grande scrittore, ci ripropongono an-che la vexata quaestio di un legame mai risolto: quello tra il fascismo e gli italiani.