ESTORSIONI, RAPINE E DROGA: GLI AFFARI CRIMINALI DEL CAPO DELLA CURVA DELL'INTER, VITTORIO BOIOCCHI, UCCISO SOTTO CASA A MILANO - DALLE INTERCETTAZIONI L'IPOTESI DI UN RACKET DI ATTIVITÀ ILLECITE ATTORNO ALLO STADIO (“80 MILA EURO AL MESE CON PIZZO E PARCHEGGI”) – I LEGAMI CON I CLAN DI COSA NOSTRA E LE FAMIGLIE DI 'NDRANGHETA E I PUNTI DI CONTATTO CON L’ESECUZIONE DEL CAPO ULTRA' LAZIALE "DIABOLIK"…
-Monica Serra per “la Stampa”
Chi lo conosceva racconta che Vittorio Boiocchi aveva un'unica ossessione: i soldi. Da fare in ogni modo, dentro e fuori dallo stadio. Con le estorsioni, le rapine, la droga e chissà cos' altro.
Lo dimostra il suo lungo curriculum criminale, dal 1974 a oggi. E anche, tra le tante, una intercettazione raccolta qualche tempo fa. Che racconta dei suoi interessi nel business dei biglietti e dei parcheggi di San Siro: «Sto perdendo un sacco di soldi con il blocco delle partite e dei concerti», si lamentava il capo ultrà dell'Inter. «Prendo 80 mila euro al mese tra parcheggi e altre cose. Finalmente eravamo riusciti a fare una bella cosa con 700-800 biglietti in mano, due paninari, a cui abbiamo fatto avere il posto In sostanza parliamo di 10 mila euro a partita».
È proprio su questa fissazione per gli affari criminali, tanti e di diverso tipo, che si stanno concentrando le indagini della Squadra mobile, diretta da Marco Calì, con l'aiuto dei colleghi della Digos, per scoprire chi ha ucciso Boiocchi.
Un agguato sotto casa, al civico 12 di via Zanzottera, una strada stretta e a senso unico, nel quartiere Figino, all'estrema periferia ovest della città.
Un'esecuzione organizzata, forse in fretta, da chi conosceva bene i movimenti dell'abitudinario fondatore dei Boys San. A San Siro sabato sera c'era la partita contro la Sampdoria. E Boiocchi, per via della sorveglianza speciale, non poteva vederla in Curva. Così, come ogni volta, anche l'altra sera è andato un paio d'ore prima al baretto davanti allo stadio, dove si incontrano gli ultras. Uno di loro lo ha riaccompagnato a casa in scooter poco dopo le 19. 30.
Boiocchi si è diretto a piedi al cancello e in quel momento i killer sono entrati in azione.
Erano in due con giubbotti scuri e caschi integrali e una moto di grossa cilindrata. Lo hanno atteso sotto i portici all'angolo con via Anghileri.
Solo uno dei due è sbucato fuori dal buio e ha iniziato a sparare mentre camminava, con una semiautomatica 9x21. I bossoli rimasti sull'asfalto sono di matrice straniera. Almeno cinque colpi sono stati esplosi. Due sono andati a segno. Uno al torace, da fianco a fianco. L'altro, sembra esploso più da vicino, al collo del 69enne, agonizzante per terra. Come racconta qualche testimone, il complice in moto è tornato indietro per caricare l'assassino e fuggire.
Quando la notizia della morte di Boiocchi ha raggiunto la Curva, la decisione di svuotare in segno di lutto gli spalti non sarebbe stata unanime. Anche se poi, una volta presa, come raccontano denunce social che nessuno per ora ha formalizzato, sarebbe stata portata avanti coi modidel tifo organizzato, a suon di spintoni e prepotenza. Tanto che il ministro dello Sport Andrea Abodi promette «immediati provvedimenti».
La verità è che però, da quando a settembre 2019, dopo 26 anni di carcere, Boiocchi si è ripreso la Curva, anche all'interno del direttivo c'era chi tollerava a fatica i suoi metodi. Che erano quelli di trent' anni fa, quando il 69enne frequentava il gotha criminale degli anni '90, dai clan di Cosa Nostra, come i Fidanzati e i Mannino, alle famiglie di 'ndrangheta. Così, approfittando del vuoto che si era creato dopo gli scontri con gli ultrà del Napoli in cui è morto Daniele Dede Belardinelli, Boiocchi era riuscito a imporsi sulla Nord a suon di pugni allo storico portavoce Franchino Caravita. Un arresto cardiaco nella notte aveva fatto finire Boiocchi in ospedale. La pace di facciata era stata sancita da una foto dei due abbracciati in ospedale.
Ma la spaccatura in Curva agli occhi di chi la osserva è da tempo evidente. Non così profonda, sembrerebbe, da giustificare un'esecuzione, che ha tanti punti in comune con l'omicidio del capo ultrà laziale Diabolik. E che, per gli inquirenti, potrebbe essere chiarita seguendo la pista dei soldi. Degli affari criminali.
Di cui la moglie Giovanna Pisu, sorella di quel Marco Pisu tra i fondatori dei Boys San, poi diventato collaboratore dei poliziotti e ripudiato dalla Curva, dice agli investigatori di non sapere niente. Ma che il capo ultrà non aveva intenzione di mollare. Diventando così troppo ingombrante, forse, per chi voleva farsi spazio nello stesso mondo criminale.