FAIDA TORLONIA! L’ENNESIMO DUELLO ALL’INTERNO DELLA FAMIGLIA SI COMBATTE SULLA BANCA DEL FUCINO. INDAGA LA PROCURA DI ROMA CHE HA CHIESTO IL RINVIO A GIUDIZIO PER ALEXANDER FRANCIS POMA MURIALDO, NIPOTE DI ALESSANDRO. QUANDO L’ISTITUTO DI CREDITO FU CEDUTO, SUO ZIO CARLO, CHE NE ERA SOCIO, FU INFORMATO SOLO PARZIALMENTE – LE ANOMALIE DELL’OPERAZIONE, PROGETTATA DA MURIALDO PER LIBERARSI DELLA BANCA OGGI PRESIEDUTA DA MAURO MASI...
-Giuseppe Scarpa per repubblica.it - Estratti
La Banca del Fucino. L’ennesimo duello all’interno della potente, ricchissima e nobile famiglia dei Torlonia si combatte attorno all’istituto di credito fondato a Roma nel 1923 dai principi Giovanni e Carlo Torlonia. Uno scontro che si è trasformato in una delicata indagine della procura di Roma.
Un altro pezzo del patrimonio di Alessandro Torlonia – morto a 92 anni nel 2017 – diventa perciò l’oggetto di una contesa tra suo figlio Carlo (a cui Alessandro aveva dato il nome del padre fondatore della banca) e il nipote Alexander Francis Poma Murialdo.
La banca del Fucino, vanto dei Torlonia, venne ceduta tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 a Igea Banca Spa per volontà di Murialdo, coinvolgendo però solo marginalmente lo zio Carlo, che dell’istituto di credito deteneva un quarto. In virtù di ciò avrebbe dovuto essere stato messo al corrente della trattativa, eppure ne venne solo parzialmente informato.
Inoltre la stessa operazione, progettata da Murialdo per liberarsi dell’istituto di credito, ha registrato delle anomalie. Una stranezza che, per semplificare, potrebbe sintetizzarsi in questo modo: pagare l'acquirente per vendergli la banca.
Ma perché si decise di battezzare una simile operazione? L’istituto di credito dei Torlonia non navigava in buone acque, come accertato da una due diligence del 2018 e dalle sanzioni applicate dalla Banca D’Italia. Insomma, la storica cassaforte di famiglia era diventata un asset di cui era necessario disfarsi.
Per questo motivo Murialdo, nell’accordo quadro con il compratore, mise sul piatto 20 milioni di euro da versare in due tranche tra il 2018 (6 milioni) e il 2021 (14 milioni). Questo fiume di denaro sarebbe servito come garanzia affinché Banca Igea, scoprendo eventuali voragini nei conti del Fucino, non si rifacesse sui vecchi soci e proprietari - ossia Murialdo che ne era il presidente e suo zio Giulio (difeso dal penalista Filippo Dinacci), fratello di Carlo, all’epoca numero due della banca.
Adesso sull’affaire è planata la procura di Roma che ha indagato Murialdo per quella singolare operazione e per avere in parte tenuto all’oscuro l’odiato zio Carlo. Per questo Murialdo (difeso dall’avvocato Carlo Longari) ha incassato una richiesta di rinvio a giudizio, firmata dai pm Mario Dovinola e Giovanni Bertolini, che lo mettono nel mirino con diverse accuse: infedeltà patrimoniale, false comunicazioni sociali, impedito controllo e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. E in cui a vestire i panni della parte lesa c’è lo zio Carlo, primogenito di Alessandro, quindi principe Torlonia, come lo erano il padre e il nonno.
Uno sgarbo, uno dei tanti sgambetti all’interno di una famiglia spaccata in due fazioni, Carlo Torlonia da una parte (parte civile, rappresentato dagli avvocati Francesco Gianzi e Adriana Boscagli) e le due sorelle, il fratello e il nipote dall’altra, che si danno battaglia al civile per un patrimonio sterminato che sfiora i due miliardi euro e che comprende ville, tra le più belle della Capitale, e una collezione artistica e storica da fare invidia ai più grandi musei al mondo
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