IL FAMOSO MODELLO ITALIANO? “RITARDI”, “ERRORI” E “FRAMMENTAZIONE” – DOPO IL "NEW YORK TIMES" ANCHE LA "HARVARD BUSINESS REVIEW" STRONCA LA GESTIONE ITALIANA DELL’EMERGENZA – GLI APERITIVI DI SALA E ZINGARETTI, LA SCARSITÀ DEI DATI A INIZIO EPIDEMIA E L’ECCEZIONE VENETO: “IL TRACCIAMENTO DEI CONTATTI LÌ È STATO PIÙ RAPIDO E PRECISO E QUEL METODO HA PORTATO A PIÙ RISULTATI DELLA STRATEGIA DELLA LOMBARDIA…”
Harvard Business Review, rivista della celebre università americana, ha pubblicato un’analisi su quello che si può imparare dagli errori nel contrasto al coronavirus in Italia. Secondo gli studiosi statunitensi, “alcuni aspetti della crisi - a partire dalla tempistica - possono essere indiscutibilmente attribuiti a pura e semplice sfortuna, e che non potevano essere sotto il pieno controllo dei legislatori”. In generale, “dobbiamo accettare che una comprensione inequivocabile di quali soluzioni funzioneranno probabilmente richiederà diversi mesi, se non anni”.
Però, “altri aspetti sono emblematici dei profondi ostacoli che i leader in Italia hanno affrontato nel riconoscere l’entità della minaccia rappresentata da Covid-19, nell’organizzare una risposta sistematica ad essa e nell’apprendere dai primi successi nell’implementazione (ndr. nelle ex rosse zone) - e, soprattutto, dai fallimenti”
Ciò che è avvenuto in Italia, secondo lo studio, è “un fallimento sistematico nell’assorbire e agire rapidamente ed efficacemente in base alle informazioni esistenti, piuttosto che una completa mancanza di conoscenza di ciò che dovrebbe essere fatto”, anche perché c’era già stato l’esempio della Cina.
Uno dei primi fattori ad aver condizionato le scelte sarebbe un meccanismo psicologico noto come pregiudizio di conferma (confirmation bias): è il processo mentale attraverso il quale ricerchiamo delle informazioni che confermino il nostro modo di vedere le cose, scartando quelle che sono in contrasto alla nostra visione. “Le minacce come le pandemie” - si legge nello studio - “che si evolvono in modo non lineare (per esempio, iniziano in piccolo ma si intensificano in modo esponenziale), sono particolarmente difficili da affrontare a causa delle difficoltà nell’interpretare in modo rapido ciò che sta accadendo in tempo reale”.
Il momento ideale per l’azione è all’inizio, “quando la minaccia sembra essere piccola” o inesistente. “Se l’intervento funziona davvero, sembrerà a posteriori come se le azioni forti fossero una reazione eccessiva. Questo è un gioco che molti politici non vogliono giocare”.
Nei primi momenti, in Italia, c’è stata una fase nel quale la minaccia non è stata percepita come tale: “Alla fine di febbraio, alcuni importanti politici italiani si sono impegnati in strette di mano pubbliche a Milano per sottolineare che l’economia non dovrebbe andare nel panico e fermarsi a causa del coronavirus”. Lo studio fa riferimento soprattutto alla campagna #MilanoNonSiFerma e al caso di Nicola Zingaretti, che organizzò un aperitivo nel centro di Milano per poi risultare, una decina di giorni dopo, positivo al covid-19.“L’incapacità sistematica di ascoltare gli esperti evidenzia i problemi che i leader - e le persone in generale - hanno avuto nel capire come comportarsi in situazioni terribili e altamente complesse in cui non esiste una soluzione facile”
Quindi, una prima lezione è riconoscere i propri pregiudizi di conferma. Una seconda lezione è quella di evitare provvedimenti graduali. La scelta di adottare vari decreti che hanno intensificato la rigidità delle misure in modo progressivo non è stata efficace per due motivi: “Innanzitutto, non era coerente con la rapida diffusione esponenziale del virus. I ‘fatti sul campo’ in qualsiasi momento non erano semplicemente predittivi di quale sarebbe stata la situazione pochi giorni dopo.
Di conseguenza, l’Italia ha seguito la diffusione del virus piuttosto che prevenirlo. In secondo luogo, l’approccio selettivo potrebbe aver involontariamente facilitato la diffusione del virus”, scatenando, ad esempio, la reazione smodata delle persone, come nel caso degli esodi verso il Sud Italia. Un altro problema è quello di non aver avuto strumenti efficaci di contact-tracing.
Secondo la rivista, anche la frammentazione del nostro sistema sanitario, gestito dalle Regioni in modo diverso, ha contributo ad aggravare la situazione. Emblematici sono gli approcci diversi portati avanti da Veneto e Lombardia: “Mentre la Lombardia e il Veneto hanno applicato approcci simili al distanziamento sociale e alle chiusure al dettaglio, il Veneto ha adottato un approccio molto più proattivo al contenimento del virus. La strategia veneta era articolata su più fronti”. La meticolosità del metodo veneto - dove sono stati fatti più test, il tracciamento dei contatti è stato più rapido e preciso, gli operatori sanitari sono stati riforniti presto delle protezioni necessarie - ha portato a più risultati della strategia della Regione governata da Fontana.
Una nota particolarmente dolente riguarda la raccolta dati, di fondamentale importanza per capire la portata dei problemi e per scegliere le misure di contrasto. All’inizio, “Il problema era la scarsità di dati. Più specificamente, è stato suggerito che la diffusione diffusa e inosservata del virus nei primi mesi del 2020 potrebbe essere stata facilitata dalla mancanza di capacità epidemiologiche e dall’incapacità di registrare sistematicamente picchi di infezione anomala in alcuni ospedali. Più recentemente, il problema sembra essere di precisione dei dati”, come sottolineato in Italia anche da vari giornalisti ed esperti.
Lo studio si conclude con le due grandi lezioni che andrebbero apprese dal caso italiano: “Innanzitutto, non c’è tempo da perdere, vista la progressione esponenziale del virus”. Le misure vanno implementate il prima possibile, ed in modo organico, senza essere graduali. La seconda lezione è che “un approccio efficace nei confronti di Covid-19 richiederà una mobilitazione simile alla guerra - sia in termini di entità delle risorse umane ed economiche che dovranno essere impiegate, nonché l’estremo coordinamento che sarà richiesto in diverse parti” della sanità, sia pubblica che privata.
Quindi, “se i politici vogliono vincere la guerra contro Covid-19, è essenziale adottarne uno che sia sistemico, dia la priorità all’apprendimento ed è in grado di ridimensionare rapidamente gli esperimenti di successo e identificare e chiudere quelli inefficaci”