FERMI TUTTI: IL GIP SMONTA L’INCHIESTA DELLA PROCURA SULL’INCIDENTE DELLA FUNIVIA DEL MOTTARONE, LIBERI GESTORE E DIRETTORE, IL CAPO DEL SERVIZIO TADINI VA AGLI ARRESTI DOMICILIARI E AMMETTE: “PER FAR ENTRARE IN FUNZIONE LA CABINOVIA HO DISATTIVATO I FRENI. SONO CONSAPEVOLE DELL' ERRORE CHE HO COMMESSO, QUESTA ERA LA VOLONTÀ DELLA SOCIETÀ, DIO MI GIUDICHERA’" - IN MEZZO ALLO SCARICABILE TRA GLI INDAGATI, RESTA IL MISTERO SULLA CAUSA DELLA ROTTURA DELLA FUNE. IGNORATO UN RUMORE ANOMALO. CHI DOVEVA ACCORGERSI CHE LA TESTA FUSA STAVA CEDENDO?
Giuseppe Guastella per il Corriere della Sera
Agli arresti domiciliari Gabriele Tadini, scarcerati Luigi Nerini ed Enrico Perocchio: alle 23.15 arriva la decisione del gip sul fermo dei tre indagati per l' incidente della funivia del Mottarone.
Dopo meno di 96 ore, tutti e tre lasciano il carcere di Verbania e solo il capo servizio della funivia proseguirà la detenzione a casa.
Il gip Donatella Banci Bonamici non ritiene che ci siano sufficienti elementi perché restino in carcere i tre indagati per concorso in omicidio colposo plurimo e in lesioni colpose gravissime, falso in atto pubblico e rimozione dolosa di sistemi di sicurezza dell' inchiesta sul disastro del Mottarone con la decisone con cui non convalida il fermo deciso dalla Procura alle prime ore di mercoledì.
Sono proprio le dichiarazioni di Tadini «a non essere ritenute credibili con quelle di altri dipendenti che hanno detto che era nota la scelta di mettere i forchettoni», i blocchi che rendevano inefficaci i freni e non hanno evitato l' incidente, spiega il Procuratore di Verbania, Olimpia Bossi. Il magistrato aggiunge che, invece, sono stati creduti Nerini e Perocchio che «hanno scaricato tutta la responsabilità su Tadini».Il Pm avverte che «il procedimento è alle sue fasi iniziali» e che non sono state ancora accertate cause e responsabilità della rottura della fune traente che ha scatenato il disastro.
Soddisfatti i difensori.
«Con la liberazione del mio assistito è stata fatta giustizia, ma non bisogna gioire perché sono ancora da trovare i responsabili», afferma il difensore di Nerini, l' avvocato Pasquale Pantano. «Professionalmente per me è una soddisfazione. Avevo chiesto soltanto i domiciliari perché la questione del blocco dei freni è sicuramente una colpa sua», afferma Marcello Perillo, avvocato di Tadini. Per il legale di Perocchio, Andrea Da Prato, «il giudice ha stabilito che il fermo era forzato».
L' udienza di convalida inizia in mattinata con gli indagati che rispondono alle domande. È un tutti contro tutti.
Il titolare Luigi Nerini dice che lui con la sicurezza non c' entra, quindi l' incidente è colpa del direttore di esercizio e del capo del servizio; il direttore dell' esercizio Perocchio che dichiara che non sapeva dei forchettoni che aveva messo il capo servizio; il capo del servizio Tadini che ammette dei averli messi lui, ma dice che era la società, quindi Nerini, a volerli per non interrompere il servizio, con la consapevolezza e l' avallo di Perocchio.
Sono stati installati «il giorno dell' incidente e altre volte per i problemi con la centralina dei freni che - specifica l' avvocato Perillo - non sono assolutamente collegabili alla rottura della fune, la cui origine è sconosciuta. Se avesse immaginato un minimo pericolo, non avrebbe mai fatto salire i passeggeri».
Nessuna ammissione da Perocchio. «L' unico elemento a suo carico - dice l' avvocato Da Prato - è una breve, generica e superficiale affermazione di Tadini che dice che Perocchio era consapevole della presenza dei forchettoni. Non c' è traccia di questa comunicazione, di quando e come l' abbia fatta». Il gip gli ha creduto. Per l' accusa Nerini aveva un ruolo operativo nella funivia e, quindi, sapeva dei fermi. «Per legge - sostiene l' avvocato Pasquale Pantano - solo il direttore del servizio e il capo servizio possono fermare l' impianto. La sicurezza è demandata a loro, non è affare dell' esercente Nerini».
«COL FORCHETTONE HO FATTO UN ERRORE MA ERA LA VOLONTÀ DELL'AZIENDA»
Giuseppe Guastella per il Corriere della Sera
«Sono consapevole dell' errore che ho commesso lasciando i forchettoni», ma «questa era la volontà della società», mette a verbale alle 23.45 di martedì il capo servizio delle Ferrovie del Mottarone Gabriele Tadini davanti al procuratore Olimpia Bossi, che due ore dopo lo sottoporrà a fermo con il titolare della società, Luigi Nerini, e il direttore d' esercizio, Enrico Perocchio, per il disastro della funivia che è costato la vita di 14 persone e il ferimento di un bimbo di 5 anni.
Ha passaggi sofferti il verbale dell' interrogatorio che con le sue conseguenze, come ha fatto prima l' incidente, ha cambiato per sempre la vita di Tadini, che a 63 anni si avviava verso la pensione dopo 36 anni di servizio.
«Dio mi giudicherà», dirà Tadini all' avvocato Marcello Perillo che ha preso il posto del difensore d' ufficio che aveva partecipato all' interrogatorio. «Mai e poi mai avrei pensato che la fune traente avrebbe potuto spezzarsi», ripete al procuratore Bossi e al capitano della compagnia dei carabinieri di Verbania Luca Geminale che lo incalzano con le domande.
La rottura della traente, infatti, è un caso più unico che raro ma, se si verifica, le cabine sono provviste di freni d' emergenza che le bloccano impedendo che, libere, prendano folle velocità sulla fune portante e precipitino, come è accaduto. Quel tragico mattino, però, i freni erano bloccati e non potevano agire. Tadini racconta la giornata cominciata mentre sul lago Maggiore splendeva il sole e i primi turisti già erano pronti a salire in vetta. «Come di solito ho aperto la stazione, ho verificato che tutto fosse in ordine» e «ho avviato intorno alle 9-9.10 una corsa di prova, che consiste nel fare una corsa completa a bassa velocità, per verificare che in linea sia tutto a posto». Nella cabina che tre ore dopo cadrà emerge però subito qualche problema alla centralina dell' impianto frenate che fa un rumore «dovuto presumibilmente alla perdita di pressione del sistema frenante» che «chiudeva una delle due ganasce».
«Cosa fece lei?», chiedono gli inquirenti: «Se l' impianto di sicurezza rileva un' anomalia, la funivia non parte (). Per impedire questo problema, e far entrare in funzione la cabinovia, ho evitato di togliere il "forchettone"». In un primo tempo, Tadini afferma che è stata una scelta solo sua («non ho avvisato nessuno, né Nerini né Perocchio»), poi, quando la sua posizione inizia a trasformarsi da testimone in indagato, riferisce di aver «sempre informato il signor Nerini Luigi dei problemi e della necessità di far intervenire i tecnici, cosa su cui lui ha concordato dicendo di farli contattare dall' ingegner Perocchio».
Aggiunge che l' obiettivo non era di far funzionare l' impianto comunque, ma di «evitare arresti intempestivi lungo la linea» che avrebbero costretto a trasbordare i passeggeri dalla cabina a un cestello di soccorso per farli tornare alla stazione. Quelle anomalie si verificavano da molto tempo, addirittura dal periodo di chiusura per il Covid, iniziato a ottobre 2020, durante il quale l' impianto aveva marciato quasi tutti i giorni. «Il sistema continuava ad entrare in pressione () ripetutamente e questo poteva causare problemi alle batterie scaricandole e deteriorandole, tanto è vero che le avevo già sostituite una volta durante l' inverno». Si rivolse allora al titolare delle Ferrovie Nerini che gli disse di contattare Perocchio il quale mandò i tecnici, l' ultima volta il 3 maggio, senza che si trovasse una soluzione.
«Negli ultimi giorni il problema era diventato però molto frequente (ogni 2-3 minuti, ndr ) e in attesa dell' intervento dei tecnici ho deciso di inserire i cosiddetti "forchettoni"», dichiara in un primo momento Tadini. Quindi ci ripensa e aggiunge di averlo fatto anche il 21 maggio, cioè il giorno prima dell' incidente, e poi aggiunge «più volte in questo ultimo mese». Li istallavano 3/4 operai della sua squadra. «Ne ho parlato con Perocchio al quale ho detto che per poter mantenere in funzione l' impianto regolarmente sarei stato costretto a usare tale accorgimento - afferma -. Bisognava fare così per far funzionare l' impianto.
Questa era la volontà della società, perché di fatto né l' ingegner Perocchio né Nerini, pur sapendo dei problemi e pur avendone le competenze e i poteri, non hanno mai ritenuto di bloccare l' impianto».
È questa dichiarazione a mettere tutti nei guai, anche perché per i pm la ragione del mancato fermo era di evitare di perdere gli incassi. Ciò di cui Tadini non riesce a capacitarsi è la rottura della fune traente. «Mai e poi mai avrei pensato che avrebbe potuto spezzarsi», «non me lo spiego, è un qualcosa che non doveva accadere. Secondo gli ultimi controlli (novembre 2020, ndr ) era in perfette condizioni e non ha mai avuto problemi lungo la linea». Dopo l' incidente, non è tornato in funivia «per evitare che si pensasse a un mio intervento di alterazione».
I PUNTI OSCURI
Andrea Pasqualetto per il Corriere della Sera
Si sa tutto sulla concausa della sciagura, quei freni disattivati, ma poco o nulla della causa prima, la rottura della fune. Si sa chi ha messo i cosiddetti «forchettoni» che hanno impedito alla vettura di fermarsi ma non si sa cosa ha determinato lo strappo del cavo. La dinamica è chiara, meno le responsabilità (anche alla luce di due fermati su tre), a parte quella del reo confesso, il capo servizio dell' impianto Gabriele Tadini, 63 anni, storico macchinista della funivia a un passo dalla pensione. A una settimana dal disastro del Mottarone, gli inquirenti hanno fatto buona luce sul caso.
Rimangono tuttavia dei punti oscuri. Vediamo cosa si sa e cosa no della più grande tragedia delle funivie italiane.
È ormai una certezza: la cabina precipitata aveva i freni disattivati dai cosiddetti «forchettoni». Si tratta di staffe in ferro inserite all' occorrenza sul sistema frenante della vettura per tenere aperte le ganasce. Vengono utilizzati di norma quando la funivia sta per chiudere, all' ultima corsa della giornata. Servono a rendere meno problematica la riapertura dell' impianto il giorno dopo, nel caso in cui il freno d' emergenza scatti per qualche ragione, come nel caso di un guasto elettrico. Regola numero uno: i «forchettoni» vanno inseriti solo a cabina vuota. Quel giorno c' erano i passeggeri e pure i «forchettoni».
Quattro giorni dopo la tragedia Tadini confessa: «Sono stato io a lasciarli, l' ho fatto perché c' era un' anomalia ai freni che li faceva chiudere spesso», dice precisando che i freni sono rimasti disattivati dal giorno della riapertura dell' impianto: 26 aprile. Tadini coinvolge il gestore dell' impianto, Luigi Nerini, 56 anni, titolare della Ferrovie del Mottarone, e il direttore del servizio, l' ingegner Enrico Perocchio, 51, che sovrintende alla gestione della funivia e che è anche dipendente del gruppo Leitner di Vipiteno (Bolzano) della famiglia Seeber, la società che ha fornito le cabine e che si occupa della manutenzione dell' impianto.
Un colosso del settore. Sostiene che Nerini e Perocchio erano a conoscenza dei forchettoni inseriti. I tre vengono fermati dai carabinieri il giorno stesso ma gli altri due prendono le distanze dalle sue dichiarazioni. In particolare Perocchio: «Quella di usare i forchettoni è stata una scelta scellerata di Tadini». Questo è un punto di contrasto. Chi la racconta giusta? Tadini o Perocchio?
Per cercare di sistemare il freno difettoso era intervenuta il 30 aprile la Rvs di Torino ma il problema, aggiunge il capo servizio, era rimasto. Domanda: può essere successo che a far scattare il freno fosse proprio un difetto della fune?
«Diciamo che se c' è un rumore relativo alla perdita di pressione del sistema frenante, cosa della quale Tadini non ricordo mi abbia però parlato - spiegherà agli inquirenti l' operatore della Rvs intervenuto, Davide Marchetto - può significare che la fune di trazione si sta muovendo dalla propria sede in maniera anomala attivando l' impianto frenante». Quindi, il collegamento poteva esserci. Tadini non lo sapeva. «Ma con quel rumore doveva comunque fermare l' impianto», spiega un ingegnere che conosce la funivia. Il mistero rimane sulla rottura della fune di traino.
Se non si fosse verificata, la vettura sarebbe arrivata alla meta. Perché si è spezzata? Lo diranno i periti e sarà una battaglia, perché tira in ballo controlli e manutenzioni di vari soggetti.
A parte quelli quotidiani e mensili, a vista, cui è tenuto il capo servizio dell' impianto, ogni anno la fune viene sottoposta a una verifica magnetoinduttiva, una sorta di elettrocardiogramma al quale però sfugge la parte terminale, chiamata testa fusa. Che oggi sale alla ribalta perché pare che la rottura sia avvenuta proprio in questa zona. La testa fusa è un cuneo di piombo che si aggancia alla cabina. Si tratta della parte più delicata che peraltro può essere controllata solo a vista. Ragione per cui il ministero ha disposto che ogni 5 anni venga tagliata e rifatta. Operazione che esegue la Leitner. L' ultimo taglio è del novembre 2016, pertanto sarebbe dovuta intervenire fra sei mesi.
Chi doveva accorgersi che la testa fusa stava cedendo? Fra i compiti del capo servizio, Tadini, c' è anche il controllo trimestrale di questo elemento, che dev' essere fatto seguendo una procedura ben definita.
L' aveva fatto? Quella mattina aveva sentito un rumore anomalo. «È possibile che fosse quello della testa fusa che si stava muovendo in modo scorretto - ipotizza l' ingegnere -. Il cavo sarà poi andato in tensione alla stazione di arrivo, la testa ha ceduto e la fune si è strappata». E la cabina ha preso a correre per poi precipitare con i suoi 15 passeggeri.