FORSE ABBIAMO CAPITO PURE NOI CHE I MINORI VANNO PROTETTI DAI SOCIAL - L'ITALIA, CON GRAVE RITARDO, RECEPISCE LA DIRETTIVA EUROPEA CHE EQUIPARA IL WEB AI MEDIA TRADIZIONALI E AUMENTA TUTELE E SANZIONI: ALL'AGCOM MAGGIORI POTERI PER LIMITARE I MESSAGGI CHE ISTIGANO I GIOVANI ALL'ODIO - UN BAMBINO SU TRE VEDE ONLINE CONTENUTI PERICOLOSI: SFIDE ESTREME, GIOCHI DI ASFISSIA, RISSE. UNA RAGAZZINA È STATA TRAUMATIZZATA PERCHÉ COSTRETTA A PARTECIPARE A UN GIOCO DI SQUID GAME...

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1 - GIRO DI VITE PER I SOCIAL, ARRIVA LO STOP AI VIDEO CHE INCITANO ALLA VIOLENZA

Francesco Malfetano e Rosario Dimito per "Il Messaggero"

 

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Alla fine di gennaio di quest'anno, a Palermo, la piccola Antonella Sicomero, 10 anni, è morta in ospedale per asfissia dopo che lo zio l'ha ritrovata priva di sensi in casa.

 

Immediatamente la famiglia e gli inquirenti puntarono il dito contro TikTok, il social di video-sharing su cui la bambina era solita passare tantissimo del suo tempo. «Voleva essere la regina, la star di TikTok e c'è riuscita - dirà lo zio qualche giorno dopo - È finita proprio come voleva lei».

 

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L'ipotesi principale, ancora in piedi, è quella di una challenge mortale, cioè che la piccola sia stata suggestionata da qualche contenuto pericoloso visto sul web e l'abbia purtroppo imitato.

 

Di episodi del genere poi, anche prima del tragico epilogo palermitano, se ne sono verificati diversi altri, il più delle volte con protagonisti dei piccolissimi. Dalle risse al Pincio a Roma, fino ad altre morti spesso ancora inspiegabili che però fanno guardare con sempre maggiore sospetto alle cosiddette piattaforme di video-sharing.

 

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Non solo il social cinese, ma anche le varie YouTube, Facebook, Dailymotion, Twitch o Instagram e pure - specie dopo i numerosi casi di emulazione correlati alla serie tv Squid Game - le piattaforme on-demand come Netflix o Amazon Prime, sempre più spesso sotto accusa perché incapaci di controllare cosa gli utenti pubblicano davvero sui loro profili o chi ha ha davvero accesso ai loro contenuti.

 

Un fenomeno su cui ora, in ritardo rispetto ai tempi dettati dall'Unione europea, l'Italia sta finalmente intervenendo.

 

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IL DECRETO

Su delega del Parlamento infatti, il governo ha riscritto il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (la cosiddetta legge Gasparri), per recepire le disposizioni dettate già nel 2018 da una direttiva Ue, e adeguare il Testo alle piattaforme digitali.

 

Il decreto approvato dal Cdm del 4 novembre, già firmato dal Capo dello Stato e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, assegna ad Agcom pieni poteri di vigilanza.

 

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«L'obiettivo è di creare e garantire il corretto funzionamento di un mercato unico europeo per i servizi di media audiovisivi, contribuendo allo stesso tempo alla promozione della diversità culturale e fornendo un livello adeguato di protezione dei consumatori e dei minori», si legge nella relazione tecnica.

 

Tra le principali novità del decreto spiccano le disposizioni che estendono alcune regole di tutela già esistenti per i media tradizionali alle piattaforme di condivisione, al fine di adottare misure per salvaguardare i minori dai video e il pubblico da immagini che sono dirette a istigare alla violenza o all'odio.

 

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In altri termini la direttiva recepita rimette agli Stati membri il compito di adottare misure (quali ad esempio la scelta dell'ora di trasmissione, gli strumenti per la verifica dell'età o altre misure tecniche) volte a garantire che i minori, di regola, non vedano o ascoltino servizi di media audiovisivi, anche pubblicati da altri utenti come una storia su Instagram o appunto un video su TikTok, che siano potenzialmente lesivi per il loro sviluppo fisico, mentale o morale.

 

L'INTERVENTO

Tali misure, di cui in Italia si occuperà l'Agcom, «devono essere proporzionate alla potenziale nocività del programma». Per i contenuti più nocivi, come la violenza gratuita e la pornografia, sono quindi richieste misure più rigorose.

 

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E i fornitori di servizi di media dovranno fornire ai telespettatori informazioni sufficienti perché ciò non accada. «Ben venga qualunque intervento legislativo - spiega Ivano Zoppi, segretario generale di Fondazione Carolina, da tempo si occupa di cyberbullismo e benessere dei minori in rete - oggi troppi minori entrano a contatto con contenuti che non dovrebbero mai vedere. Non parliamo di un episodio quindi ma della prassi».

 

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In Italia infatti «si è normalizzata una situazione agghiacciante». E per un bambino oggi è facilissimo aggirare i limiti di età imposti dalle piattaforme o ovviare al parental control.

 

«Non serve solo più attenzione o consapevolezza da parte dei genitori che troppe volte non hanno gli strumenti per comprendere che lasciare un bambino davanti ad un tablet è un pericolo - continua Zoppi - ma serve soprattutto più attenzione da parte delle istituzioni. Spero che ora l'Agcom trovi la formula per intervenire e lo faccia immedesimandosi nei genitori, nella vita reale. Fino ad ora questo non è stato fatto».

 

2 - RISSE IN DIRETTA E SFIDE ESTREME, «CONTENUTI ILLECITI O PERICOLOSI VISTI DA UN BAMBINO SU TRE»

F. Mal. per "Il Messaggero"

 

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Il più delle volte sono innocue e divertenti. Balletti piuttosto che azioni buffe o scherzi. Altre però sono rischiose o addirittura mortali. Sono le cosiddette challenge e sono sempre più virali sulle varie piattaforme social come Facebook, Instagram, TikTok o YouTube.

 

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Si tratta di sfide a cui si partecipa per ottenere visibilità o consenso. Mini-video che spingono chi li guarda all'emulazione. Ne sono condizionati soprattutto i più piccoli. Per loro «La pressione tra pari gioca un ruolo importante - spiega in un report l'associazione Save the Children - imitare e impressionare i propri amici sancisce o rinforza il senso di appartenenza ad un gruppo».

 

Specie se la sfida in questione è una di quelle estreme, che spingono a compiere atti di coraggio. La Blackout Challenge ad esempio, prevede che il partecipante stringa una cintura attorno al collo e resista il più possibile. Una pratica che sarebbe folle mostrare in video a un ragazzino.

 

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Le piattaforme social infatti li oscurano non appena se ne rendono conto. Un lavoro enorme che permette (stando ad uno studio commissionato di recente da TikTok) di limitarne la diffusione, tant'è che sono solo il 17% le sfide percepite come rischiose o molto rischiose dagli utenti. Alcuni di quei video però non vengono individuati e bloccati.

 

Così secondo il World Anti-Bullying Forum un minore su 3 è stato esposto a contenuti lesivi, illeciti e pericolosi in rete. In altre parole, sempre più spesso si rischia la tragedia.

 

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L'EMULAZIONE

Le cinque sfide pericolose che i ragazzi fanno ad esempio, è l'ultimo contenuto visualizzato da Igor Maj, secondo la cronologia del suo computer. È il 6 settembre 2018 e il 14enne milanese campione di arrampicata, ha deciso di provare una di quelle sfide.

 

Si lega una corda attorno al collo e si lascia cadere, morendo per asfissia. Ma i casi di emulazione sono tanti. A fine gennaio, in due giorni, sono morti per asfissia prima una bambina di 10 anni a Palermo e poi un piccolo di 9 a Bari. E lo stesso triste destino è toccato il 15 marzo a una dodicenne della provincia di Ivrea.

 

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In tutti i casi è difficile provare una correlazione delle morti con le sfide, ma le indagini sono ancora in corso. Non è sempre così però. A maggio ad esempio si è chiuso con una condanna a un anno e mezzo, con pena sospesa e non menzione, il primo e unico processo celebrato davanti al Tribunale di Milano nel quale una ragazza, ora di circa 25 anni, è finita imputata con le accuse di atti persecutori e violenza privata aggravati, per essersi spacciata per curatore nell'ambito della fantomatica Blue Whale Challenge, e aver spinto una dodicenne palermitana ad infliggersi alcuni tagli sul corpo e ad inviarle le foto.

 

BLUE WHALE 1

L'emulazione però non riguarda solo sfide poi divenute mortali. In Italia ad esempio ci sono stati anche casi di planking. Si tratta di sdraiarsi in posti sempre più inconsueti, in particolar modo sulle strade, mentre sta sopraggiungendo un'auto.

 

Oppure la skullbreaker challenge, in cui tre persone si mettono d'accordo per saltare insieme nello stesso momento ma le due di lato scalciano quella in mezzo facendole perdere l'equilibrio e cadere.

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E poi hanno fatto scalpore a Roma i video delle risse di giovanissimi che, annoiati a fine lockdown prima e in estate poi, se le sono date di santa ragione al Pincio e al Circeo per poi pubblicare i video e vantarsi.

 

Ma il fenomeno riguarda anche le serie tv. La Fondazione Carolina ad esempio qualche settimana fa ha raccolto quasi 10mila firme per limitare la diffusione della serie tv Squid Game.

 

IL GIOCO SUICIDA BLUE WHALE

Netflix, che la produce, ne sconsiglia la visione sotto i 14 anni di età, ma sulle piattaforme circolano video virali tra i più piccoli. «Bisogna bloccarli - spiegano dalla Fondazione - Stiamo seguendo il caso di una bambina che frequenta la prima elementare tornata a casa terrorizzata perché costretta a giocare, come nella serie, a un, due, tre stella. Se beccata però, le compagne l'avrebbero picchiata».