A FURIA DI ROMPERE I COGLIONI A TUTTE LE SPECIE DEL MONDO CI SIAMO BECCATI IL COVID - COME HA FATTO IL VIRUS AD ARRIVARE ALL’UOMO? QUAMMEN, L’AUTORE DEL LIBRO “SPILLOVER”, AVEVA PREVISTO LA PANDEMIA NEL 2014: “QUEI PIPISTRELLI SONO IMPORTANTI PER GLI ECOSISTEMI E ANDREBBERO LASCIATI IN PACE” - INVECE LA NOSTRA PROMISCUITÀ CON GLI ANIMALI È SEMPRE PIÙ SCRITERIATA E HA FAVORITO IL CONTAGIO - “LE PIÙ GRAVI MINACCE A CUI È SOTTOPOSTO IL PIANETA SONO..."
-Paolo Giordano per il ''Corriere della Sera''
È disorientante, arrivati qui, pensare che tutto ha avuto inizio in un momento specifico e in un luogo specifico. Che esiste un istante zero della pandemia, quando il primo essere umano è venuto in contatto con il virus, probabilmente tramite un pangolino, probabilmente in un mercato cinese, nell’indifferenza generale.
In realtà, non è nemmeno così chiaro se sia stato quello l’inizio. Forse bisogna andare più indietro, al primo travaso del virus, quello fra i pipistrelli e i pangolini, ammesso che siano davvero la specie serbatoio. O ancora più indietro, dentro la grotta dove i pipistrelli vivevano in pace tra loro.
L’inizio
«Il genoma del SarsCov-2», mi dice David Quammen, «è compatibile al 96% con altri riscontrati nei pipistrelli. Ma una differenza del 4% può significare quaranta o cinquant’anni di separazione evolutiva». Ovvero: forse il Sars-Cov-2 ha intrapreso il suo viaggio verso di noi molto prima di quanto siamo portati a credere. Quando è cominciata allora? Nessuno può dirlo.
La storia della pandemia prima della pandemia è destinata a rimanere in larga parte un mistero, avvolta in un alone mitico. Forse non interessa nemmeno a così tanti conoscerla. Ormai il virus è nostro, ed è ciò che conta. Anzi, ciò che conta è estirparlo il prima possibile.
Quammen continua a osservare un isolamento rigoroso, a casa sua in Montana, un ritiro identico a quello in cui l’avevo trovato in primavera, quando avevamo chiacchierato di Covid e del suo ultimo libro, L’albero intricato, che parla proprio di separazione evolutiva. Non incontra gli amici o i parenti stretti, nemmeno quelli che abitano nella sua stessa cittadina, Boseman.
Sono lui e la moglie, insieme a due cani, un gatto e un pitone, da mesi. «Mascherina e due metri di distanza da chiunque incrociamo in uno spazio chiuso. Due metri e non necessariamente la mascherina, se succede all’aperto». Per il resto, trascorre il tempo nella stanza-studio coperta di legno, e da lì discute con chiunque glielo chieda, attraverso il monitor.
Concede molto del proprio tempo, ma non concede al virus nessuno spiraglio, proprio come il virus ha dimostrato di non concederne a noi. Gli spillover non esistono solo in natura. Anche la conoscenza è fatta di continui salti: concetti nuovi che irrompono nel dibattito comune, che passano da un mezzo all’altro, da una comunità all’altra - dagli scienziati al pubblico, dagli articoli specialistici ai libri, alle televisioni. Molti italiani, me compreso, individuano lo spillover di consapevolezza riguardo a questa pandemia, alle epidemie in genere, ai pipistrelli e ai coronavirus, nella lettura di Spillover di David Quammen, alcuni anni fa, nel 2014 per l’esattezza, quando il libro uscì per Adelphi con quella copertina nera e carica di presagi.
C’è una pagina, nella prima parte del saggio, che avevo evidenziato con un tratto di penna a margine e che sono andato a cercare a gennaio, quando le notizie che arrivavano con il contagocce da Wuhan iniziavano a costruire un quadro preoccupante. In quel passaggio Quammen parlava del “Next Big One”, il patogeno emergente che prima o poi avrebbe infettato il mondo intero attraverso il traffico aereo. Non si trattava di “se”, ma di “quale” patogeno, di “quando” e di “come” sarebbe avvenuto.
Magari si sarebbe trattato di un virus, anzi di un coronavirus, anzi di un coronavirus dei pipistrelli, e magari il coronavirus dei pipistrelli avrebbe esordito in un mercato della Cina meridionale. Magari. Durante una cena a casa, una delle ultime, avevo declamato il paragrafo ad alta voce ad alcuni amici. Erano rimasti turbati, forse più dal mio fanatismo che dal contenuto in sé, e la serata non si era granché risollevata, dopo.
Ho letto la stessa pagina alla prima lezione di un corso, a febbraio, a studenti che non avrei più incontrato in presenza, anche se nessuno di noi poteva immaginarlo. Il monito era nel libro e il libro era il monito.
Un rapporto compromesso con gli ecosistemi
Eppure Quammen ha sempre rifiutato il ruolo dell’oracolo: «Se ci sono stati dei profeti, sono stati gli scienziati con cui ho parlato. Sono stati loro a spiegarmi che i pipistrelli ospitano molti coronavirus potenzialmente pericolosi per l’uomo, che quei pipistrelli sono importanti per gli ecosistemi e andrebbero lasciati in pace. Io ho solo ascoltato».
Con quegli scienziati si era infilato, strisciando pancia a terra, nelle grotte del Guangdong, grotte «non più grandi di un garage», per catturare esemplari di pipistrelli usando retini da farfalle e raccoglierne la saliva con un cotton-fioc. «In retrospettiva, siamo stati piuttosto imprudenti, ma ci è andata bene».
Nella sua riflessione sul «Next Big One», Quammen si era ispirato alla malattia emergente più vicina nel tempo, l’ultima epidemia che aveva minacciato di trasformarsi in pandemia, ovvero la Sars del 2003, quella che adesso chiamiamo la «prima Sars». Se avesse ritardato la stesura del libro di qualche anno avrebbe forse puntato su virus diversi, magari più simili a quello dell’influenza suina del 2015, o a Ebola, che ha avuto un outbreak spaventoso nello stesso periodo.
Ma tutto questo non ha nessuna importanza. Ciò che importa è rileggere quelle pagine, quel capitolo, oggi. Per ricordarsi che sì, c’è stato un istante zero del disastro Covid, ma quell’istante zero, nella sua casualità statistica, è stato reso possibile da pratiche umane costanti e prolungate. Gli spillover avvengono sempre più di frequente perché sempre più compromesso è il nostro rapporto con gli ecosistemi, perché la nostra promiscuità con gli animali è sempre più scriteriata e pericolosa. E non esiste altra prevenzione efficace contro i nuovi virus del futuro se non il cambiamento radicale del nostro modo di abitare il pianeta.
Gli domando, a questo proposito, della strage dei visoni. «Adesso in Europa vengono uccisi perché le caratteristiche del loro apparato respiratorio li rendono suscettibili al coronavirus, e infatti alcuni l’hanno contratto. Ma stiamo semplicemente uccidendo con qualche mese di anticipo degli animali che avremmo ucciso comunque, per prenderne la pelliccia».
Il problema non è il coronavirus, «il problema è che quei visoni non dovrebbero trovarsi in cattività, punto». Mi ribadisce che sono tre le minacce più gravi a cui è sottoposto il pianeta, e quindi noi: «Scomparsa della biodiversità, nuovi patogeni e cambiamenti climatici. Non sono l’una la causa dell’altra, ma sono collegate».
Una comunità consapevole
Quammen non ha cambiato idea di un millimetro dall’epoca in cui scrisse Spillover, non ha avuto bisogno di aggiungere davvero nulla a quello che sapeva già, ma prosegue con costanza nella sua opera di divulgazione, di persuasione. «Ho parlato con moltissimi italiani negli scorsi mesi, sui giornali, nei programmi televisivi, ma anche con classi di studenti e piccoli gruppi di lettura. “Parleresti con noi, David? Naturalmente”. Abbiamo parlato di questi tre problemi collegati. Spero di non aver perso il fiato inutilmente e di non aver sprecato il loro tempo. Dobbiamo raccoglierci, tutti, intorno allo stesso falò intellettuale, e costruire una comunità di persone consapevoli».