IL GIALLO DI SARA PEDRI – LE ANGHERIE, L'OMERTÀ E L'OSPEDALE CASERMA: L'INFERNO QUOTIDIANO DIETRO IL MISTERO DELLA GINECOLOGA SCOMPARSA A MARZO DOPO AVER DATO LE DIMISSIONI - LA PISTA DEL SUICIDIO. I SUOI ULTIMI APPUNTI: “VIVO UN PROFONDO STATO D’ANSIA” - RIMOSSO IL PRIMARIO DEL REPARTO – SECONDO LE TESTIMONIANZE IL PRIMARIO SAVERIO TATEO E LA SUA ASSISTENTE SOTTOPONEVANO IL PERSONALE A VESSAZIONI CONTINUE...

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Fabio Poletti per La stampa
 

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Un casermone di cemento bianco e azzurro. O forse solo una caserma, come quelle di tanti anni fa. Dall'ospedale Santa Chiara di Trento, divisione Ginecologia, chi poteva scappava. Sessantadue dimissioni dal reparto in 6 anni. Undici solo nel 2019. L'ultima, quella che ha fatto scoppiare il caso e travolto i vertici dell'ospedale e pure dell'azienda sanitaria, agli inizi di marzo.
 
Quando se ne è andata la dottoressa Sara Pedri, 31 anni, forlivese, dimessasi per non aver retto le pressioni psicologiche e le angherie - si chiama mobbing, la parola non rende tutto quello che deve essere successo - del primario del reparto, il dottor Saverio Tateo, un luminare a detta di tutti, ma con il carattere del kapò a detta di molti.
 

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La dottoressa si dimette il 3 marzo, anche dall'ospedale di Cles dove era stata appena trasferita. Il giorno dopo all'alba, trovano la sua Volkswagen T-Roc nella piazzola accanto al ponte di Mostizzolo sul torrente Noce. Lo chiamano il ponte dei suicidi. Di due che si erano buttati qualche anno fa non è mai stato trovato il corpo. Di lei non c'è traccia.
 
La cercano pure nel lago di Santa Giustina dove sfocia il torrente, fondali profondi e fangosi, un mare di alghe. Nero e Luna, i cani molecolari arrivati dalla Malpensa dove sono di servizio in aeroporto, hanno sentito le sue tracce 12 volte lungo la riva del lago. Ma di lei niente di niente.
 

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Rimangono i suoi ultimi appunti sul tavolo della cucina: «Vivo un profondo stato d'ansia, sono completamente bloccata. I risultati ottenuti sono solo terrore. Sono stata addirittura richiamata perché ho perso troppo peso».
 
Trasferimenti tardivi Richiami, ingiurie, punizioni, turni di lavoro vessatori, per non parlare dei riposi saltati, erano la norma sotto il dottor Saverio Tateo, tardivamente trasferito a Pergine e ora in ferie, insieme alla sua più stretta collaboratrice Liliana Mereu, spedita all'ospedale di Rovereto.
 

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Giusto per smantellare la coppia in camice bianco. Vessazioni continue, dicono in ospedale. Tanto che non pochi medici si erano rivolti all'ordine professionale per essere tutelati, come racconta il presidente dei medici trentini Marco Ioppi: «Era chiaro che qualcosa non andava, ma gli iscritti che ci facevano le segnalazioni non volevano apparire per paura di ritorsioni.
 
Abbiamo fatto presente la cosa alla struttura ospedaliera ma non abbiamo potuto aprire nostre istruttorie. Segnalavamo che rapporti troppo verticistici andavano attutiti. Il turnover era molto forte, i concorsi andavano deserti, sembrava che nessuno volesse andare al Santa Chiara, men che meno a ginecologia. Era un campanello d'allarme che è stato sottovalutato».
 

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Un campanello inascoltato, spiegano molti, perché le cose sarebbero dovute andare a posto da sole con il cambio nel 2019 dell'Amministrazione provinciale, da centrosinistra a leghista, che avrebbe comportato un ricambio ai vertici dell'azienda sanitaria. Poi però è scoppiata la pandemia, e non se n'è fatto più niente. Ma poi è scoppiato il caso della dottoressa Sara Pedri e si sta facendo di tutto.
 

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Le nuove nomine sono attese per settimana prossima. Tra non pochi imbarazzi di chi non sapeva e di chi sapeva e non ha fatto niente che era pure peggio. Ma il bubbone è scoppiato. C'è di mezzo la magistratura, un'inchiesta ministeriale sull'ospedale e pure una interna al Santa Chiara, ospedale d'eccellenza oramai nella tempesta.
 
La sorella Emanuela L'intervento sui vertici ospedalieri e della Sanità trentina, come minimo tardivo, non può certo placare l'ansia di sapere la verità e di giustizia, della sorella della ginecologa scomparsa, Emanuela Pedri: «Noi familiari desideriamo che emerga tutta la verità. La nostra speranza è che le persone finalmente raccontino quello che è successo. Spostare semplicemente dei dirigenti non risolve alcun problema. Magari lo si ricrea solo altrove».
 

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Ma lei, così vicina alla sorella sparita nel nulla, è anche l'ultima a raccogliere le sue confidenze, le sue sofferenze: «Mi diceva che non ce la faceva più, che arrivava a casa così stanca che non riusciva nemmeno a mangiare. Quando il 3 marzo, l'ultima volta che ci siamo sentite, mi ha detto che si era dimessa, ero contenta per lei. speravo che tornasse presto a casa».
 
«Un reparto polveriera» Il clima in ospedale era pesante. A fiatare ci voleva coraggio. L'avvocato della famiglia di Sara Pedri, Nicodemo Gentile, pensa che la situazione poteva essere migliorata da molto tempo: «In tanti si sono girati dall'altra parte mentre sarebbero potuti intervenire prima. Quel reparto era una polveriera».
 

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Sei ginecologhe, alcune non giovanissime, tutte di grande esperienza, si sono rivolte a un avvocato per denunciare i fatti. A smuoverle proprio la scomparsa della loro collega. Un esposto dovrebbe finire presto in procura. Una racconta: «Abbiamo tutte vissuto vessazioni mortificanti. Alcune di noi prese particolarmente di mira sono state demansionate».
 
Un'altra ricorda momenti di terrore puro: «Quando un primario dice che ti rovina, davanti ai tuoi pazienti, sai che la carriera è a rischio». Dove non arrivavano le intimidazioni, c'era ben altro: «Ho visto una stretta collaboratrice del primario dare uno schiaffo sulla mano che impugnava un bisturi, a una dottoressa impegnata in un intervento chirurgico con una paziente in anestesia locale che ha sentito tutto».
 

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Racconta l'avvocato Andrea De Bartolini che le assiste: «Molte di loro ci hanno raccontato l'inferno che hanno vissuto per anni. Siamo di fronte a più vittime di fatti penalmente rilevanti».
 
L'inchiesta della Procura Il procuratore capo di Trento Sandro Raimondi ha aperto un fascicolo, per ora senza reati e senza indagati. Vox populi vorrebbe un'indagine per istigazione al suicidio, reato difficilissimo da motivare senza uno scritto o testimonianze certe. Più facile sarebbe indagare per maltrattamenti, anche se bisogna trovare quel rapporto di causa effetto tra il clima in ospedale e la scomparsa della dottoressa.
 

liliana mereu col primario saverio tateo

Spiega il magistrato: «Non sapere ancora che fine abbia fatto la dottoressa Pedri è un elemento che ci condiziona. Ma non siamo in una situazione di stallo. Abbiamo sentito oltre cento persone tra medici, sanitari e personale amministrativo. Abbiamo sentito anche le ginecologhe che stanno preparando l'esposto. Stiamo analizzando gli scritti e il telefonino della dottoressa scomparsa. Tra poco tireremo le nostre conclusioni».