GIUSTIZIA ALL’ITALIANA: PERCHÉ IL GIP DI VARESE HA DATO IL PERMESSO DI VEDERE IL FIGLIO A UN UOMO AI DOMICILIARI, CHE UN MESE FA AVEVA PROVATO A UCCIDERE UN COLLEGA? - AL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI NON RISULTAVANO I MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA, NONOSTANTE LE DENUNCE DELLA MOGLIE, PER UNA MERA RAGIONE DI LUNGAGGINI BUROCRATICHE. NON RISULTAVA NEPPURE DELLA SEPARAZIONE TRA I DUE. L’UOMO ERA AI DOMICILIARI SOLO PER EVITARE CHE INQUINASSE LE PROVE, NON PERCHÉ RISULTASSE SOCIALMENTE PERICOLOSO
-Andrea Camurani per www.corriere.it
Davide Paitoni poteva vedere e stare col figlio di 7 anni, Daniele, che ha ucciso il primo di gennaio a Morazzone, nonostante fosse agli arresti domiciliari: era stato autorizzato dal Gip di Varese, come ha confermato il presidente del tribunale di Varese, Cesare Tacconi.
Paitoni è stato arrestato domenica mattina alla fine di un inseguimento coi carabinieri di Varese che l’hanno bloccato a Viggiù, al confine con la Svizzera: la sera prima, dopo aver accoltellato a morte il bambino e aver nascosto il corpo in un armadio, aveva suonato al campanello della moglie (da cui non si era ancora separato legalmente) a Gazzada Schianno, ferendola a coltellate.
Un contesto che, a quanto emerso, rappresenta la punta dell’iceberg di una situazione deteriorata da tempo (anche se nell’ultimo periodo i legali avevano registrato dei «tentativi di riconciliazione»), in quanto sono due le denunce per maltrattamenti presentate contro Paitoni dalla moglie.
I due di fatto non abitavano più insieme: lei si era trasferita a casa dei genitori a Gazzada Schianno, sempre in provincia di Varese. Gli stessi genitori della donna avevano segnalato i maltrattamenti, tanto che in Procura a Varese sarebbe stato attivato il «codice rosso», la procedura che tutela le vittime di violenza di genere.
Paitoni, 40 anni, magazziniere alla «Colfert spa» di Azzate, si trovava ai domiciliari con l’accusa di aver accoltellato un collega di lavoro, il 26 novembre scorso. Dopo l’arresto per quei fatti, la misura venne convalidata dal Gip di Varese tre giorni dopo. Ed è proprio in quella sede che venne presa la decisione degli arresti domiciliari, come richiesto dal pm.
«L’ordinanza per i domiciliari - ha spiegato il presidente del Tribunale di Varese Cesare Tacconi - è stata firmata il 29 novembre, avallando la misura richiesta dal magistrato, che l’ha motivata con il pericolo di inquinamento probatorio, non con la pericolosità sociale, e il giudice non può aggravare la richiesta del pm».
Successivamente, ha spiegato il presidente del Tribunale, «l’avvocato difensore dell’indagato ha chiesto che gli fosse concesso di vedere il figlio e la moglie, dato che secondo ordinanza non avrebbe potuto avere contatti se non con i familiari conviventi, quindi il padre». Il 6 dicembre «il Gip ha autorizzato l’uomo a vedere il figlio».
Relativamente alle denunce della donna e il codice rosso, Tacconi ha precisato che in Tribunale non risulta ancora, al momento, alcuna pendenza a carico dell’uomo: «Quindi se le denunce ci sono, sono ancora in Procura», ha detto. «Ho svolto tutti gli accertamenti del caso, tra i due non vi era alcuna separazione formale in corso, se mi sarà richiesto formalmente presenterò una relazione», ha concluso il presidente Tacconi.
In sintesi: al Gip non risultava dei maltrattamenti (per lungaggini burocratiche con la Procura); non risultava neppure della separazione, perché questa non era stata formalizzata; l’uomo era sì ai domiciliari, ma solo per evitare che inquinasse le prove, non perché risultasse socialmente pericoloso. Da qui il «sì» del giudice, che purtroppo è costato la vita al piccolo Daniele.