GRAFFITARI, MILLANTATI ARTISTI – LA SCRITTA SUL FRONTONE DELLA GALLERIA VITTORIO EMANUELE II A MILANO È SOLO L’ULTIMO SFREGIO DEI WRITER MENEGHINI - SECONDO IL GIUDICE GUIDO SALVINI ESISTE UNA BANDA CHIAMATA “WE CAN ALL” (“POSSIAMO TUTTO”) CHE, CON “UN’ORGANIZZAZIONE QUASI MILITARE” RIESCE A IMBRATTARE CENTINAIA DI METRI QUADRI DI VAGONI DELLE METRO GAREGGIANDO CON GANG DI GRAFFITARI RIVALI - MA I PM DI MILANO NON SIANO RIUSCITI AD ACCUSARLI DI ASSOCIAZIONE A DELINQUERE...
-Estratto dell’articolo di Luca Fazzo per “il Giornale”
Altro che cani sciolti. Dietro imprese come l’imbrattamento a Milano della Galleria Vittorio Emanuele si muovono gruppi organizzati attivi a livello internazionale, a volte coordinati tra loro, a volte in competizione: il risultato è sempre lo stesso, l’innalzamento del livello degli obiettivi da colpire.
Eppure nei casi non frequenti - in cui vengono individuati e incriminati, quasi sempre se la cavano con la condanna per i singoli episodi, come se si trattasse di reati occasionali. L’accusa di associazione a delinquere, ipotizzata dalla polizia giudiziaria, viene fatta cadere dagli stessi pubblici ministeri.
É quanto per esempio accade appena tre anni fa, all’esito della inchiesta più importante condotta dalla polizia locale di Milano su una serie interminabile di imprese ai danni dei mezzi della metropolitana, che venivano presi di mira dai graffitari appena consegnati all’azienda. Dietro quasi tutte le imprese, secondo le indagini, si muoveva la stessa banda, denominata Wca: ovvero We can all, «Possiamo tutto».
Ma la Procura il 10 maggio 2019 aveva chiesto il proscioglimento di tutti gli indagati dall’imputazione di associazione a delinquere sostenendo che gli accertamenti della polizia «non avevano fornito elementi per sostenere l’esistenza di un gruppo organizzato» dedito ai graffiti vandalici.
La richiesta di proscioglimento era però andata a cozzare contro il rifiuto del giudice preliminare Guido Salvini, secondo cui proprio il materiale acquisito durante le indagini e sequestrato nei computer degli indagati dimostrava che «le principali azioni erano programmate in modo metodico e con una precisa ripartizione dei ruoli. Alcuni si occupavano di trasportare un gran numero di bombolette, altri controllavano la zona, altri si occupavano di bloccare la chiusura delle porte dei treni o di sradicare gli allarmi anche mediante chiavistelli.
Subito dopo altri ancora intervenivano materialmente e in sincronia occupandosi in genere ciascuno di comporre un singolo carattere o disegno di ogni grande scritta. Altri soggetti infine avevano il compito di filmare l’intera azione. Inoltre nel corso delle perquisizioni sono state rinvenuti disegni e schizzi molto precisi che raffigurano il luogo dell’azione con la posizione delle telecamere e dei sensori di allarme e il percorso da seguire per giungere alla linea della metropolitana e sganciarsi».
I gruppi di graffitari agivano con una tattica quasi militare, «in questo modo si riusciva in pochi minuti a comporre graffiti lunghi anche decine di metri con l’estensione di centinaia di metri quadrati». […]