IN ITALIA CHI SI RIBELLA ALLO SFRUTTAMENTO SPARISCE – IL GIALLO DEL 37ENNE IVORIANO DAOUDA DIANE, SCOMPARSO DALLO SCORSO 2 LUGLIO, SUBITO DOPO AVER DENUNCIATO LE CONDIZIONI DI LAVORO NEL CEMENTIFICIO IN PROVINCIA DI RAGUSA IN CUI ERA PAGATO IN NERO – IN UN VIDEO INVIATO AL FRATELLO AVEVA DETTO: “QUI SI MUORE”. PER LA PROCURA “QUASI CERTAMENTE NON È VIVO” – SOSPETTI SUL PROPRIETARIO DELL'IMPIANTO, CHE SI DIFENDE: “NON ERA UN DIPENDENTE, NON HO NULLA DA TEMERE”– VIDEO
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Laura Anello per “La Stampa”
«Qui si muore». Sono le ultime parole di Daouda Diane, scomparso dopo avere girato un video che è insieme testamento e denuncia, la sua faccia in primo piano, il telefonino a inquadrarla dentro un cementificio del paese di Acate, in provincia di Ragusa. «Qui si muore», dice Daouda, profeta del suo destino, parlando da quel che sembra l'interno di una betoniera, una mascherina logorata sul viso, un martello pneumatico nelle mani, senza guanti, senza protezioni. «Inutile - racconta in quel video-denuncia che invia al fratello in Costa d'Avorio - che nel nostro Paese andiamo a raccontare che lavoriamo in fabbrica. Questi sono posti pericolosi, qui si muore».
È sabato 2 luglio. E da allora Daouda Diane, 37 anni, della Costa d'Avorio, operaio, mediatore culturale, sindacalista, marito e padre di un bambino, è diventato Daouda il fantasma. Scomparso nel nulla, con la procura di Ragusa che ammette: «Quasi certamente non è vivo». Fatto sta che manda quel video intorno alle due e mezzo del pomeriggio, poche ore dopo il suo cellulare si spegne, la "cella" telefonica è talmente grande che non si possono distinguere i suoi spostamenti nel dettaglio, le telecamere interne al cementificio della Sgv Calcestruzzi sono rotte, quelle sulla strada non registrano il suo passaggio.
Secondo il titolare dell'azienda, Gianmarco Longo, «è uscito a mezzogiorno, io non c'ero ma me l'hanno riferito. È venuto alle otto, chiedendo di svolgere qualche lavoretto di pulizia, è stato pagato e se n'è andato. Non abbiamo nulla da temere». Lo stesso titolare secondo cui Daouda era «una presenza saltuaria e amichevole, teneva compagnia al personale, rendendosi utile a spazzare il cortile, ottenendo in cambio una piccola somma».
Versione, questa, spazzata via dalle indagini: «Una delle poche certezze è che lavorasse in nero nel cementificio», per dirla con il procuratore di Ragusa, Fabio D'Anna, che ha aperto un fascicolo per omicidio e occultamento di cadavere e ha iscritto nel registro degli indagati i responsabili legali dell'azienda, come atto dovuto. Gianmarco Longo è figlio di Carmelo, coinvolto in passato in indagini per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla turbativa d'asta. Il fratello di Carmelo, Giovanni, è stato arrestato nel 2019 in un'operazione che ha consentito di fare luce sul clan mafioso di Vittoria. Il padre era Salvatore Longo, ucciso nel '90 ad Acate in un agguato di stampo mafioso.
Alle 14.30, quando Daouda manda il video, il cementificio è chiuso da più di due ore («Forse l'ha girato in un altro giorno - dice il titolare dell'azienda - o forse in un altro posto») e che nulla è stato contestato all'azienda se non l'utilizzo di manodopera irregolare.
Di sicuro c'è solo, secondo gli inquirenti, che l'operaio non era lì di passaggio. Ma i cani molecolari sguinzagliati in ogni angolo del cementificio e le apparecchiature più sofisticate che cercano resti umani non hanno fiutato niente. Ricerche e perquisizioni tardive, perché la denuncia è scattata solo otto giorni dopo la scomparsa, quando l'amico Marcire Doucoure (destinatario pure lui di quel video) non sa più dove cercarlo.
Quel video lo ha rivisto centinaia di volte, stupendosi del fatto che Daouda parli in francese, e non nel loro dialetto, come se volesse farsi capire da tutti. Non uno sfogo privato, ma una denuncia. L'ipotesi dell'allontanamento volontario suona quasi come un insulto: Daouda sarebbe partito venti giorni dopo per riabbracciare la moglie Awa e il figlio, dopo cinque anni. Per questo aveva comprato il biglietto aereo, 600 euro, che ha lasciato a casa insieme al permesso di soggiorno, i soldi, il passaporto.
I sindacati sono in rivolta, un paio di volte le manifestazioni di protesta hanno rischiato di finire con l'assalto del cementificio. Il magistrato Bruno Giordano, fino a pochi giorni fa direttore dell'Ispettorato nazionale del lavoro, ha scritto al presidente Mattarella: «Non possiamo sciogliere Diane nell'acido dell'oblio e dell'indifferenza». La moglie Awa, che nelle fotografie sorride abbracciata a lui, dice: «Queste cose possono accadere da noi, in Africa, non in un Paese civilizzato come l'Italia». E poi esprime il suo unico desiderio: «Restituitemi almeno il suo corpo in modo che possa pregare per lui».