“IL 5G? SI TRATTA DI UNA QUESTIONE DI POTERE PIU’ CHE DI SICUREZZA” - LA "TALPA" DEL DATAGATE, EDWARD SNOWDEN: “USA, REGNO UNITO, AUSTRALIA NUOVA ZELANDA E CANADA, HANNO RACCOLTO I DATI DI MILIONI DI PERSONE, CON LE RETI 1G 2G, 3G E 4G. ORA I CINESI SONO LEADER DEL MERCATO MA LA NARRATIVA SU HUAWEI NON È ONESTA, È CHIARO CHE SAREBBE PIÙ FACILE CONTROLLARE LA RETE SE QUESTA FOSSE REALIZZATA DA AZIENDE CON CUI GLI USA COLLABORANO GIÀ DA DECENNI - È IL MOMENTO DI CHIEDERSI SE ABBIAMO MAI DETTO DI ESSERE D'ACCORDO CON QUESTA VISIONE DEL FUTURO”
-Bruno Ruffilli per “la Stampa”
Un clic, e sul computer compare Edward Snowden. È in collegamento da Mosca per la quarta edizione di Campus Party, quest' anno interamente online. Affabile e gentile, l'uomo che nel 2013 ha rivelato l'esistenza di sistemi di sorveglianza digitale che spiano mezzo mondo, parla di privacy e social network, di fake news e 5G con quattro giornalisti da diversi Paesi, tra cui La Stampa per l'Italia. Ma - visto che il tema della discussione è «Reboot the world», far ripartire il mondo, iniziamo dall'attualità: «Il lockdown per me è stato duro, ma non così diverso dalla vita di tutti i giorni negli ultimi sette anni», spiega.
Per milioni di persone il lockdown ha significato rimanere in casa e guardare la realtà attraverso uno schermo.
«Questo ha messo una distanza ancora maggiore tra noi e il mondo, siamo testimoni e non prendiamo parte a quello che succede. Ma è il momento di chiedersi se abbiamo mai detto di essere d'accordo con questa visione del futuro. In realtà la nostra risposta non importa a nessuno: i governi hanno le leggi, la polizia le pistole, Facebook dice solo "clicca Ok e continua".
E se non lo fai, non puoi andare da nessuna parte, perché controllano le regole, e con queste le piattaforme, e con le piattaforme l'opinione pubblica. Così ci separano da quella che consideriamo una vita normale, e danno per scontato che ci stia bene la situazione attuale. La scelta è forzata, non abbiamo alternative, e i termini d'uso possono essere modificati unilateralmente senza preavviso, sia che si tratti di un social network che di un governo. Ma le persone stanno cominciando a capire che si può fare qualcosa per cambiare».
Cosa?
«Essere consapevoli di avere un peso nelle scelte che ci riguardano. Per personaggi come Trump, Orbán, Bolsonaro, i presidenti a vita di Cina e Russia, nulla è vietato o impossibile, mentre il minimo errore che una persona qualsiasi fa rimane cristallizzato per sempre in archivi che non ci appartengono. Dobbiamo lottare e fare sacrifici, il cambiamento non arriva dalle concessioni del potere, bisogna guadagnarselo, impegnandosi attivamente».
E con il coronavirus la situazione è cambiata?
«Mi pare che molti abbiano compreso il senso delle disposizioni a tutela della salute pubblica nei vari Paesi, in generale c'è stata empatia e attenzione al prossimo. Sono preoccupato però dall'ondata crescente di autoritarismo: più che imporre regole sarebbe stato giusto spiegarle. E poi vedo che spesso i pareri di scienziati ed esperti sono stati messi in discussione o ridicolizzati».
Il che ci porta al 5G, su cui la narrativa è assai variegata: da una parte chi dice che fa male alla salute, dall'altra chi lo considera un pericolo per la sicurezza nazionale. Ma Trump ha ragione a non fidarsi dei cinesi?
«La realtà non è mai bianca o nera: come ho spiegato nel 2013, Usa, Regno Unito, Australia Nuova Zelanda e Canada, hanno raccolto i dati di milioni di persone, con le reti 1G 2G, 3G e 4G. Alla NSA (National Security Agency, l'organismo del Dipartimento della difesa degli Stati Uniti d'America per il quale collaborava Snowden, ndr), non si può portare lo smartphone in ufficio: il timore è che qualcuno possa utilizzarlo per spiare. Noi lo facevamo, quindi anche altri potevano farlo. Il 5G è il nuovo standard mondiale di trasmissione dati, e i cinesi sono leader del mercato, con prodotti migliori e più economici. Come poi ci siano arrivati è un altro discorso.
Se qualche agenzia di intelligence avesse le prove che Huawei spia le nostre comunicazioni, Paesi come Canada e Germania non sprecherebbero denaro per studiare la questione. Ma possiamo lasciare che l'infrastruttura digitale di una nazione sia controllata da un'azienda straniera?
La risposta per la Cina è no. Ci fidiamo di Germania, Svezia, di altri, ma gli Usa non producono questi apparecchi in casa e quindi sono esposti a una certa vulnerabilità che aumenta con l'aumentare delle aziende e dei Paesi coinvolti. Così la narrativa su Huawei non è onesta, è chiaro che sarebbe più facile controllare la rete se questa fosse realizzata da aziende con cui gli Usa collaborano già da decenni: si tratta di potere più che di sicurezza».
A proposito di sicurezza, le app di tracciamento come l'italiana Immuni sono state presentate come un strumento tecnologico efficace per controllare la pandemia: ma una volta finita, non c'è il rischio che i dati che generano possano essere usati per altri scopi?
«Ho studiato i documenti della piattaforma Apple e Google (su cui è basata anche Immuni, ndr): non c'è una data di scadenza, ma devo dire che è migliore delle alternative nazionali; l'app di contact tracing australiana, ad esempio, è un incubo per la privacy, registra moltissimi dati e li invia ai server. Con Apple e Google le informazioni invece rimangono sullo smartphone, vengono condivise volontariamente e solo in caso di contagio; l'idea è rispettare le persone, dare a ciascuno il controllo dei suoi dati.
Il modello è migliore del passato, ma possiamo fidarci? In questo caso, i giganti della tecnologia aiutano i governi, ma agiscono prima che ci siano delle leggi che impongono loro di farlo in un determinato modo, e questo è motivo di preoccupazione. Esistono già registri delle nostre attività ampi e dettagliati, e non credo che questo sia compatibile con una società libera, ma come facciamo a sapere se i dati di riconoscimento facciale di un'app non vengono trasmessi ad esempio alla Cina, che ha una tutela della privacy molto diversa dalla nostra? E infine, tornando al contact tracing, credo sia utile per piccoli focolai, ma se sono migliaia o decine di migliaia potrebbe essere troppo tardi».
Facebook è tra le aziende che più di tutte ha accesso ai nostri dati personali. Ma il dilemma che deve risolvere è un altro: il traffico arriva per la gran parte da fake news, discorsi di odio e opinioni radicali, esattamente quei contenuti che Zuckerberg dice di voler rimuovere. Possiamo credergli?
«Molti dei problemi di Facebook sono problemi dell'umanità, che si riflette nel social network: violenza, terrorismo, ignoranza, bugie. Non dobbiamo aver fiducia di Zuckerberg, ma nel senso che Facebook, YouTube, Google e altre piattaforme non devono decidere quello che noi possiamo dire e fare. I governi hanno le leggi per punire questi reati, quando ci sono, e invece lasciano la responsabilità alle piattaforme, che a loro volta la riversano sui governi.
Oggi ognuno ha la possibilità di essere ascoltato, ma ad avere maggiore impatto sono quei messaggi che coinvolgono le emozioni. Internet non è più un bambino, è un adolescente in preda a sentimenti diversi, che fa ancora fatica a comprendere. Sono convinto che la tecnologia maturerà e che maturerà la nostra relazione con essa: un giorno cominceremo a ragionare, non sarà più l'emozione a farci cliccare un link. E ci renderemo finalmente conto del valore della nostra partecipazione».