“ABBIAMO MANGIATO I CORPI DEI NOSTRI AMICI. NON AVEVAMO ALTERNATIVA PER SOPRAVVIVERE” – A 50 ANNI DI DISTANZA, DUE DEI 16 SOPRAVVISSUTI DEL DISASTRO AEREO SULLE ANDE RIPERCORRONO I LORO 72 GIORNI IN ATTESA DELLA SALVEZZA: “LA PRIMA NOTTE È STATA LA PEGGIORE. AI MIEI PIEDI C'ERA UN RAGAZZO A CUI MANCAVA UNA PARTE DEL VISO E SOFFOCAVA PER IL SANGUE. NON HO AVUTO IL CORAGGIO DI TENERGLI LA MANO, DI CONFORTARLO”- E SUL CANNIBALISMO AMMETTONO: “ABBIAMO VOTATO. ABBIAMO PRESO UNA DECISIONE TERRIBILE, MA PER NON MORIRE DOVEVAMO…” - VIDEO

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DAGONEWS

 

roy harley

«La prima notte è stata la peggiore» ricorda Roy Harley, uno dei sopravvissuti all’incidente aereo di 50 anni sulle Ande. Lui e i suoi amici riuscirono ad aggrapparsi alla vita su un ghiacciaio andino senza cibo né riparo, e con pochissimi motivi di speranza: dei 45 occupanti dell'aereo, 16 sono tornati a casa dopo un calvario di 72 giorni che è ancora noto come il "miracolo delle Ande".

 

L'unico modo per sopravvivere era mangiare la carne dei morti. Ma per Harley, un ingegnere in pensione che ora ha 70 anni, non è stato il momento peggiore dell'incubo.

Dopo lo shock iniziale dello schianto contro le Ande quel fatidico venerdì 13 ottobre 1972, Harley e altri 31 sopravvissuti si trovarono nel buio pesto a meno 30 gradi Celsius a un'altitudine di circa 3.500 metri .

 

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Molti di loro non avevano ancora 20 anni - l'aereo stava portando una squadra di rugby amatoriale uruguaiana e le loro famiglie a una partita in Cile – e nessuno era vestito per il freddo.

 

«Quella notte, ho vissuto l'inferno - ha detto Harley - Ai miei piedi c'era un ragazzo a cui mancava una parte del viso e soffocava per il sangue. Non ho avuto il coraggio di raggiungerlo, di tenergli la mano, di confortarlo. Avevo paura. Avevo molta paura».

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Il mattino seguente altri quattro ragazzi erano morti. Da quel momento iniziò un calvario alla fine del quale solo in 16 riuscirono a sopravvivere.

 

«Non ho parole per descrivere quanto facesse freddo - ha detto l'ex compagno di squadra di rugby di Harley, l’amico Carlos Paez, 68 anni – Faceva così freddo. Molte volte ho pensato di non farcela». Dopo 10 giorni sentirono alla radio che le ricerche del loro aereo erano state interrotte.

 

«Una delle cose più dolorose è stata realizzare che il mondo stava andando avanti senza di noi» ha detto Paez. Ma è stata anche la scossa di cui i sopravvissuti avevano bisogno per prendere in mano la situazione e iniziare a cercare di trovare una via d'uscita dal ghiacciaio.

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Un altro momento difficile è stato quando hanno dovuto decidere di mangiare i corpi dei loro amici per sopravvivere. Avevano scavato per giorni sotto la neve trovando da mangiare solo l’erba d’asino. Ma continuavano a dimagrire a vista d’occhio e alla fine votarono per decidere cosa fare. «Abbiamo preso la decisione terribile: per sopravvivere avremmo dovuto superare tutti gli ostacoli, religiosi o biologici. Ci siamo detti: se Gesù, durante l'Ultima Cena, ha condiviso il suo corpo e il suo sangue tra gli apostoli, non dobbiamo capire che dovremmo fare lo stesso?».

 

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«Avevamo provato a mangiare la pelle, abbiamo provato a mangiare le sigarette, abbiamo provato a mangiare il dentifricio - ha ricordato Harley - Stavamo morendo. Avevamo una sola scelta: morire o usare l'unica cosa che avevamo. Abbiamo fatto quello che abbiamo fatto per vivere». Dopo 16 giorni dall’incidente un nuovo disastro si è abbattuto sui sopravvissuti.

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Una valanga seppellì la fusoliera maciullata, l'unico rifugio dei sopravvissuti, mentre dormivano. Otto rimasero uccisi, lasciando solo 19 dei 32 sopravvissuti allo schianto originali. Altri tre sarebbero morti nei giorni successivi.

 

«La valanga è stata come se Dio ci avesse pugnalato alle spalle» ha detto Paez.

Mostrando un'incredibile ingegnosità e tenacia, i sopravvissuti impararono, senza strumenti, a usare i detriti degli aerei per fare dei cappelli, guanti, racchette da neve, trapunte e occhiali scuri per evitare di restare accecati dalla neve. Hanno trovato un modo per sciogliere il ghiaccio per bere.

 

E alla fine, l'aiuto arrivò. 

carlos paez

 

In un ultimo, disperato sforzo che è quasi costato loro la vita, i sopravvissuti Roberto Canessa e Fernando Parrado hanno camminato per 10 giorni in una zona sconosciuta, guidati solo dall'istinto.

 

Alla fine giunsero a un fiume e videro uomini a cavallo dall'altra parte. Riuscirono a scrivere un biglietto con mano tremante in cui chiedevano aiuto per loro e i compagni. Avvolsero il foglio a una pietra e la lanciarono.

 

Il giorno successivo arrivarono i primi elicotteri. Quando era salito a bordo dell’aereo precipitato, Harley pesava 84 chilogrammi. Quando è stato salvato era arrivato a 37 chili.

In media, i sopravvissuti hanno persero 29 chilogrammi.

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