“LE APERTURE SONO STATE FATTE SENZA DATI A DISPOSIZIONE” – CRISANTI A “OGGI”: “SONO PREOCCUPATO PER L’AUTUNNO, DOBBIAMO PROVVEDERE CON TAMPONI A TAPPETO ED ELIMINARE GLI EVENTUALI FOCOLAI” – ZANGRILLO: “SERVE UN PROTOCOLLO PER IDENTIFICARE I CONTAGIATI” – “REMUZZI: “NON POSSIAMO CREARE ILLUSIONI, MA FORSE IL RISULTATO È VICINO. STIAMO SPERIMENTANDO UNA NUOVA TERAPIA E…”
-Anticipazione da “Oggi”
Su OGGI, in edicola da domani, tre interviste a tre luminari impegnati sul fronte del coronavirus. Andrea Crisanti, 65 anni, ordinario di microbiologia all’Università di Padova e artefice dell’efficace strategia anti-Covid-19 del Veneto, dice: «Se sono preoccupato per l’autunno? Sì: dobbiamo provvedere con tamponi a tappeto ed eliminare subito gli eventuali focolai. Mi preoccupa la risposta della sanità pubblica. In più gli asintomatici sono come fantasmi: non hanno sintomi, non sviluppano anticorpi… sarebbe bello scoprire un marcatore che li identifichi. Intanto dobbiamo usare i malati come sentinelle: seguirli e identificare i contagi».
Il professore esprime anche i suoi dubbi sulle modalità della Fase 2: «Le aperture sono state fatte senza dati a disposizione. A tutt’oggi non sappiamo quante persone hanno contratto il virus. Non facciamo abbastanza tamponi».
Alberto Zangrillo, anestesista-intensivista di fama e fresco autore del libro In prima linea contro il coronavirus, racconta a OGGI le sue settimane in trincea: «La prima fase del Covid noi l’abbiamo subita, è un fatto… c’è stato un momento in cui l’onda d’urto che dovevamo fronteggiare era scomposta, disordinata». Poi parla della risposta del San Raffaele, anche grazie alla raccolta fondi di Chiara Ferragni e Fedez: «Siamo riusciti in 200 ore lavorative, equivalenti a dieci giorni di lavoro, a realizzare una terapia intensiva tecnologicamente avanzatissima per accogliere i malati più gravi».
Quindi lancia una proposta: «In questo momento in cui dobbiamo ripartire non possiamo dare la caccia al numero in modo maniacale, la cifra che deriva dalla sierologia o dai tamponi. All'inizio, per esempio, il numero dei contagiati era assolutamente sottostimato… Io da anestesista, da intensivista, credo che la terapia intensiva sia da considerare il fallimento: noi non dobbiamo portarci i malati, dobbiamo fare in modo di proteggerli prima… Insieme al gruppo per il quale lavoro mi propongo di indicare una strada: lavorare sulla tutela delle persone più a rischio con una identificazione precoce di quelle contagiate, per fare in modo che una virtuosa triangolazione tra gli istituti clinici di riferimento (gli ospedali ad alta specialità), le Regioni e le agenzie della tutela della salute (Ats) sia punto di riferimento dei medici di medicina generale che hanno il contatto diretto col cittadino. È il protocollo che abbiamo chiamato POST: Prudenza, Organizzazione, Sorveglianza e Tempestività».
Infine Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri: «Non possiamo creare illusioni. Ma forse il risultato è vicino. Stiamo sperimentando una nuova terapia e i risultati sono molto incoraggianti». E la spiega: «È il passo successivo alla trasfusione del plasma che stanno sperimentando a Mantova e Pavia. Curando una malattia delle reni, la nefropatia membranosa, Pier Luigi Ruggenenti, direttore della nefrologia e della dialisi del “Papa Giovanni”, i suoi collaboratori e i ricercatori del Mario Negri hanno messo a punto una macchina che toglie dal sangue gli anticorpi dannosi e hanno applicato questa tecnica per togliere ai donatori guariti dal Covid 19 solo gli anticorpi specifici che, trasfusi nei malati, neutralizzano il virus».