“IN ARIA VOLAVANO PEZZI DI NON SO COSA, FORSE ERA IL CASCO DI ALEX, FORSE PARTI DELLA SUA HANDBIKE, FORSE ANCHE...” – IL CICLISTA TESTIMONE: "ERO DIETRO DI LUI E HO VISTO TUTTO. SI È SPAVENTATO OPPURE LA HANDBIKE HA AVUTO UN CEDIMENTO STRUTTURALE. LUI ERA COSCIENTE? NON PARLAVA. DICONO CHE L'HANNO SENTITO URLARE. ERAVAMO NOI CHE URLAVAMO! LA POLEMICA SULLA STRADA CHE NON ERA CHIUSA? RIDICOLA, NON ERA UNA GARA MA UN’ESCURSIONE…"
-Fabio Tonacci per la Repubblica
«Era una nuvola di frammenti. In aria volavano pezzi di non so che cosa, forse era il casco di Alex, forse parti della sua handbike, forse anche...». Le parole di Marcello Bartolozzi si fermano sul ciglio dell'orrore. Il fiato si spezza a metà frase, come se una spina lo avesse punto tra le costole. Lui era lì. In sella alla sua bicicletta ha visto tutto. Tutto quello che sperava di non vedere mai.
Al chilometro 39 della statale che collega Pienza a San Quirico d'Orcia seguiva Zanardi a quattro metri di distanza. Ha visto il camion apparire sull'altra corsia e ha visto il campione sbandare e cadere. «È successo nel tempo di un lampo, forse Alex si è spaventato».
Poi la nuvola di frammenti, rimasta impressa nei suoi occhi di testimone oculare. Il più vicino alla scena dell'incidente, il più provato dal ricordo, il più attendibile. Marcello Bartolozzi ha 66 anni.
Vive a Sinalunga, dove la staffetta Obiettivo Tricolore ha fatto tappa venerdì scorso, prima di proseguire verso Pienza. Di professione è architetto e nel 2014 si è candidato alle primarie del Pd del suo paese. La vera passione, però, non è la politica ma la bicicletta. L'anno scorso a Brno, in Cecoslovacchia, ha vinto il titolo over 65 nella categoria olimpica di "Cross Country".
Altri trofei li ha conquistati in Austria e in Slovenia tra il 2009 e il 2017. Ieri mattina è stato sentito come testimone dagli inquirenti di Siena. Lo incontriamo mentre entra di fretta nel suo studio professionale a Sinalunga. Non ha voglia di interviste, accelera il passo, scuote la testa. Poi però decide di rispondere. E di raccontare.
Stavate andando troppo forte?
«Ma no. Andavamo a quaranta chilometri all'ora. Su una strada in leggera discesa è una velocità normalissima».
Allora come ha fatto Zanardi a sbandare?
«Non l'ho ancora capito. Prima di quella dannata curva a destra, Alex si trovava vicino alla linea di mezzeria della strada. Vedendo il camion arrivare forse si è impaurito. L'ho visto sterzare a destra per cercare di allontanarsi dalla mezzeria e riportarsi al centro della nostra corsia».
Poi che è successo?
«La ruota sinistra della sua handbike si è sollevata da terra. A quel punto, per recuperare l'assetto ed evitare di ribaltarsi, ha dato una controsterzata a sinistra. È una mossa da pilota, quale lui è. Da lì in avanti, però, non è più riuscito a controllare il mezzo ed è caduto, urtando sulla fiancata del tir».
L'asfalto nel punto immediatamente precedente alla sbandata non è in perfette condizioni, ci sono delle crepe. Può aver inciso?
«Di solito quando l'asfalto è così tiene di più, non avevamo un problema di grip».
E se una delle ruote della handbike si fosse infilata proprio in una fessurazione? «Quello potrebbe creare una certa instabilità, sì.Però non lo so, non mi sono accorto delle crepe».
Quindi Alex si è spaventato dall'arrivo del camion?
«Può essere una spiegazione. Ma è anche vero che è un fuoriclasse, famoso proprio per come riesce a controllare le traiettorie in curva. Se non è stato lo spavento, allora la handbike ha avuto un cedimento strutturale. Non vedo altre cause plausibili».
Com' eravate posizionati in quel tratto di strada?
«Bennati (Daniele, ex ciclista professionista amico di Zanardi, ndr) era più avanti, insieme a un altro ragazzo di cui non ricordo il nome. Ci avevano staccato, quindi non si sono accorti di nulla. Alex era preceduto da Paolo Bianchini e dietro c'ero io. Quando ha sbattuto contro il camion è stato sbalzato sul lato opposto della strada: ho rischiato di investirlo con la bicicletta, ma ce l'ho fatta ad evitarlo. Bianchini ha sentito il frastuono ed è tornato indietro».
Dopo l'impatto Alex era cosciente?
«Secondo me no, non parlava. Ma mi potrei sbagliare, ero sotto choc».
L'hanno sentito urlare. «Eravamo noi che urlavamo! C'erano molte macchine ferme, io urlavo disperato: 'C'è un medico? Qualcuno lo aiuti!'. Altri chiamavano il 118. E grazie a Dio un medico l'ho trovato. Era lì per caso, in una delle macchine, e ha prestato i primi soccorsi».
C'è chi ritiene che la vostra staffetta andasse organizzata avvertendo le autorità e con un servizio di scorta.
«È una polemica che trovo ridicola. Non era una gara, era un'escursione. Come ha fatto Jovanotti o come ho fatto anch' io quando sono stato all'estero. Ho girato tutto il mondo in bicicletta».
Zanardi è un personaggio popolare il cui nome aveva richiamato, in alcuni tratti, una trentina di ciclisti. E la procura sta indagando.
«Ripeto: non era una gara. Per quelle amatoriali, e alcune anche professionistiche, non è neanche prevista la chiusura del traffico. La chiusura del traffico che io sappia si fa solo sulla maratona delle Dolomiti».
Ha parlato con Alex prima di quella curva?
«Sì, ci siamo fatti un filmino dopo aver lasciato Pienza. 'Siamo rimasti solo noi, ci stiamo dirigendo a San Quirico', dicevamo così così. Eravamo felici».