IL “BIBI SHOW” NON SI FERMA – ALL’ONU, MENTRE ISRAELE BOMBARDAVA BEIRUT, NETANYAH HA TENUTO UN DISCORSO DURISSIMO E HA MOSTRATO I CARTELLI DEI PAESI MUSULMANI “BUONI” E “CATTIVI” – MOLTI DIPLOMATICI HANNO LASCIATO L’AULA DEL PALAZZO DI VETRO. L’IRA DEL PREMIER ISRAELIANO: “L’ONU È UNA PALUDE ANTISEMITA” – LA MINACCIA ALL’IRAN: “HO UN MESSAGGIO PER I TIRANNI A TEHERAN: SE CI ATTACCATE, VI ATTACCHEREMO” – VIDEO
-Le strategie militari di Israele sono sempre state fonte di controversia in sede ONU. Ma le immagini dei rappresentanti di mezzo mondo che lasciano l’aula della GA mentre parla Netanyahu sono scioccanti. pic.twitter.com/kgb5DJjhnx
— Yoda (@PoliticaPerJedi) September 27, 2024
Estratto dell’articolo di Davide Frattini per il “Corriere della Sera”
La Benedizione e la Maledizione. Ormai in tutti i suoi discorsi alle Nazioni Unite il premier Benjamin Netanyahu estrae dal podio qualche cartello, disegnato a misura di bambino, perché vuole che quelle immagini restino impresse.
[…] Ieri mattina, ora di New York, ha mostrato una mappa del Medio Oriente con i Paesi musulmani (più Israele e l’India) evidenziati in verde chiaro e attraversati da una freccia rossa che indica la direzione verso la Benedizione: pace, commercio, prosperità.
Da contrapporre alla cartina ricoperta di nero che alza con l’altra mano, rappresenta l’asse sciita che va dall’Iran fino al Libano. Accompagnata dalla minaccia «ho un messaggio per i tiranni a Teheran: se ci attaccate, vi attaccheremo. Non c’è luogo in Iran che Israele non possa raggiungere».
Scandisce più volte la parola «basta basta basta» come un ritornello bellico, «è quel che vogliamo far capire a Hezbollah». Poche ore dopo dovrà lasciare in fretta l’incontro con i media e i suoi portavoce diffonderanno la foto di Bibi, com’è soprannominato, al telefono con lo Stato Maggiore durante il raid sulla roccaforte del gruppo sciita a Beirut.
L’Ala di Sion, l’aereo primoministeriale, è decollato in anticipo e il primo ministro è rientrato nella notte, lasciandosi dietro il Palazzo di Vetro e l’Onu che ha definito «una palude antisemita».
Quando sale sul palco, l’aula dell’Assemblea generale è già quasi deserta, è il giorno dei titoli di coda. Si svuota ancora di più perché la maggior parte dei diplomatici non occidentali si alza e se ne va, pure il rappresentante dell’Arabia Saudita.
La regia inquadra la sedia vuota nel momento in cui Netanyahu rilancia la possibilità di un’intesa per la normalizzazione, un patto che dovrebbe delineare il nuovo Medio Oriente come aveva proclamato l’anno scorso: «Continueremo su questa strada fino a ottenere un accordo storico». Non può non sapere che Mohammed Bin Salman, il principe ereditario, ha vincolato ancora una volta l’alleanza alla nascita dello Stato palestinese.
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Anche i suoi critici riconoscono al premier di aver ricordato più volte la tragedia degli ostaggi — a Gaza ne restano 97 —, di aver ripetuto che l’obiettivo è «riportarli a casa», di aver aperto il discorso rivolgendosi ai famigliari volati con lui a New York, più di quanto abbia fatto in questi 358 giorni. Assieme però allo slogan della «vittoria totale su Hamas».
Mentre a Tel Aviv gli ufficiali dell’esercito spiegavano di aver avvertito il governo: «Se la tregua non arriva presto, non resterà nessuno da riportare indietro vivo», oltre la metà degli israeliani rapiti il 7 ottobre e ancora tenuti dai terroristi fondamentalisti sarebbe morta.
Ribadisce che lo scontro totale con Hezbollah in Libano «andrà avanti fino al raggiungimento degli obiettivi». Il governo ha votato come traguardo «il rientro nelle loro case» degli oltre 60 mila sfollati dall’Alta Galilea, israeliani che sono fuggiti dal bersagliamento quotidiano, gli attacchi con i razzi condotti nell’ultimo anno dall’organizzazione armata dall’Iran per aprire un altro fronte e sostenere Hamas contro l’offensiva ordinata da Netanyahu dopo i massacri perpetrati dai jihadisti lo scorso autunno nel sud del Paese. […]