Fulvio Fiano per corriere.it
MARCELLO COLAFIGLI renatino de pedis
Qualche anno fa, mentre Marcello Colafigli era detenuto, il suo avvocato assicurava che nell’usufruire dei benefici di pena concessigli, l’ex membro storico della Banda della Magliana sarebbe stato al riparo dagli errori del passato, che non avrebbe più frequentato, cioè, gli stessi ambienti criminali nei quali si è immerso tutta la vita e dove è tuttora un nome evocato con riverenza. E invece ieri «Marcellone», l’uomo condannato all’ergastolo per quattro omicidi, tra cui quello di Enrico De Pedis, detto Renatino, è finito di nuovo in carcere.
Originario del reatino, era tornato a Roma ospite della sorella a Casal Palocco. E in regime di semilibertà è stato sorpreso più volte dagli agenti del commissariato Lido a frequentare pregiudicati di Ostia, cosa che gli era espressamente vietata. Nessun nome di peso tra questi, sembrerebbe, e lui avrebbe assicurato ai poliziotti che neanche sapeva chi fossero. A 67 anni, dopo oltre 30 trascorsi in regime di detenzione, torna ora in cella (qui, cosa fanno gli altri boss sopravvissuti).
Meno di recente, la figura di «Marcellone» era stata riportata alla popolarità in tv da «Romanzo Criminale», anche se lui non si è mai riconosciuto nel personaggio di «Bufalo». De Pedis lo uccise, secondo la sentenza passata in giudicato, per vendicare dei torti subiti all’interno della Banda della Magliana, nella quale Colafigli incarnava con Franco Giuseppucci, «il Negro», e Maurizio Abbatino, l’ala originaria che si scontrò poi con i «testaccini». Alle 13 del 2 febbraio di 31 anni fa, dietro Campo de’ Fiori, affiancò «Renatino» in scooter e aprì il fuoco. Era evaso dall’ospedale psichiatrico giudiziario.
Alla guida del mezzo c’era Roberto D’Inzilllo legato ai neo fascisti, altro ambiente con cui Colafigli ha avuto frequentazioni, soprattutto all’Alberone, suo quartiere di elezione assieme a Magliana e San Paolo, che erano sotto il suo controllo. E sempre per vendetta, stavolta di un omicidio, quello di Giuseppucci, uccise nel 1981 Maurizio Proietti, il «Pescetto» del clan rivale dei Pesciaroli, in via di Donna Olimpia. Il soprannome «Bufalo» gli deriva anche dalla forza fisica con la quale, secondo un episodio tramandato nelle leggende criminali, ruppe il vetro di un blindato con un pugno.
Coinvolto e condannato anche per gli omicidi di Franco Nicolini “Franchino er criminale” ras delle scommesse a Tor di Valle, e del commerciante Sergio Carozzi, ha scontato le sue condanne facendo dentro e fuori dagli ospedali psichiatrici. L’ultimo carcere che l’ha ospitato è stato quello di Torino. Sarebbe dovuto uscire nel 2009, ma avendo più condanne superiori ai 24 anni (27 per De Pedis, 24 per Carozzi), la pena fu tramutata in ergastolo.
«Si aspetta di tornare il prima possibile libero per potersi rifare una vita da persona civile e cosciente di aver fatto parte di un gruppo criminale che non esiste più», diceva l’avvocato Gianluca Pammolli, che contro l’ergastolo si rivolse alla Corte Europea di giustizia. Colafigli non ha mai negato il suo passato malavitoso, ma ha considerato sbagliate le condanne su singoli episodi. Nega ad esempio di aver ucciso De Pedis (qui ricordato da «Franchino il becchino»). Il caso torna ora al tribunale di sorveglianza.
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