Alessandro Giorgiutti per “Libero quotidiano”
Roberto Formigoni ieri ha chiesto di nuovo di poter uscire dal carcere di Bollate, dove è rinchiuso dal 22 febbraio, e di scontare la sua pena ai domiciliari. Molto dimagrito, l'ex governatore lombardo, che ha compiuto 72 anni a marzo, si è presentato davanti ai giudici del Tribunale di sorveglianza di Milano con indosso un paio di jeans e una polo bianca. Al termine dell' udienza, durata tre ore, mentre Formigoni veniva fatto salire su un van della polizia penitenziaria che lo avrebbe riportato in prigione, i suoi avvocati, Luigi Stortoni e Mario Brusa, non hanno voluto rilasciare dichiarazioni. Ma qualcosa è trapelato.
I legali avrebbero nuovamente contestato l'applicazione retroattiva della legge cosiddetta spazzacorrotti, entrata in vigore lo scorso gennaio, che nega la possibilità della detenzione domiciliare per chi si macchia di reati contro la pubblica amministrazione, come la corruzione, anche se ha più di settant' anni. Per la difesa Formigoni ha invece diritto a una pena alternativa al carcere, come è stato riconosciuto ad altri condannati, anch' essi ultrasettantenni.
Lo scorso marzo la Corte d'Appello aveva respinto una richiesta simile, definendo «legittimamente eseguito» l' ordine di carcerazione. Ma durante l' udienza di ieri, il sostituto procuratore generale Nicola Balice ha dato parere favorevole all' istanza presentata dagli avvocati: Formigoni può quindi attendere con un po' di ottimismo in più la decisione del collegio, prevista tra qualche giorno.
Presidente della Regione Lombardia dal 1995 al 2013, l'ex esponente della Dc e di Forza Italia è stato condannato a cinque anni e dieci mesi per corruzione. Avrebbe indebitamente favorito due strutture ospedaliere in cambio di benefici ottenuti dall' uomo d' affari Pierangelo Daccò: fatti che si sarebbero prolungati fino al 2011. Lo scorso giugno aveva scritto una lettera dal carcere, pubblicata anche da questo giornale: «Hanno potuto condannarmi ma non hanno potuto decidere del mio modo di reagire e di vivere, non hanno potuto inquinare né il mio cuore né il mio cervello», diceva.
E raccontava qualcosa della sua nuova vita da carcerato, con poco tempo a disposizione per le mille incombenze quotidiane: «Devi sottoporti a pratiche burocratiche e tempi di attesa, devi compilare la "domandina" per ogni cosa (domandina, il diminutivo non è a caso, c' è in molti particolari un' implicita regressione infantile)... E pure le medicine (che sono quelle che prendevo a casa, non ho nuovi malanni) le devo ritirare, una pastiglia al giorno, in tre momenti diversi». Il tempo recuperato a tutto questo, concludeva, «lo sto utilizzando per studiare, testi classici e contemporanei, politica, economia, teologia».
Un messaggio, nemmeno tanto sibillino, per il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, esponente di primo piano del M5S. Il sottosegretario del Carroccio è stato uno dei tre assolti nel procedimento, mentre gli altri nove sono stati condannati, tra cui appunto Mantovani a 5 anni e 6 mesi, dopo essere finito anche in carcere quasi quattro anni fa per corruzione, concussione e turbativa d' asta nell' inchiesta del pm Giovanni Polizzi. Roberto Lassini, legale di Mantovani, ha annunciato di esser pronto «a ricorrere in appello per riaffermare, nel processo di secondo grado, una per una le ragioni» dell' ex assessore.