“FILIPPO TURETTA, SU SPINTA DI GIULIA, AVEVA ACCETTATO DI FARSI VEDERE DA UN TERAPEUTA” – GINO CECCHETTIN, PADRE DELLA RAGAZZA UCCISA: “NE HA CAMBIATI QUATTRO E SEMPRE HA FATTO SCENA MUTA” – “LO AVEVAMO CONOSCIUTO, CI ERA SEMBRATO TIMIDO, UN PO’ FREDDO” – “NON SAPEVO DELLE TENSIONI CON FILIPPO. LA PENULTIMA VOLTA CHE SI SONO VISTI LUI L’AVEVA SPAVENTATA URLANDO IN MODO FORSENNATO” - “QUANDO SONO RIUSCITO A LEGGERE GLI ARTICOLI SULL’AGGRESSIONE HO PROVATO DOLORE PER MIA FIGLIA CHE ERA LÌ, SOLA, SENZA CHE POTESSI AIUTARLA” - L'ULTIMA SEDUTA DALLO PSICOLOGO SALTATA DA TURETTA, MENTRE...
GINO CECCHETTIN: «IL MIO ULTIMO ABBRACCIO A GIULIA CON LE MANI FASCIATE, NELLA BARA»
Estratto dell'articolo di Walter Veltroni per il "Corriere della Sera"
«Giulia era la figlia ideale. Elena è l’essere superiore. Davide ora il mio sostegno. Giulia era brava nello studio, era naturalmente portata a occuparsi del prossimo, a prendersi in carico gli altri. Quando aveva dieci anni e andavamo in pizzeria, dopo un poco si metteva da parte e attorno a lei si riunivano tutti i bambini del locale. A scuola era bravissima. Ha fatto il liceo classico, adorava le materie letterarie. [...]».
Gino Cecchettin mi ha accolto nella sua casa. E ora mi indica il divano sul quale è seduto.
«Qui abbiamo visto insieme A Star is born, una storia d’amore finita male. Da quando mia moglie se ne è andata il nostro rapporto si è fatto più stretto. La nonna mi ha detto che Giulia le aveva confidato di essere contenta per aver riscoperto il rapporto con il padre. Quando sua madre è morta, in questa stanza, era notte. Elena ed io l’abbiamo vegliata e se ne è andata tra le nostre braccia. I miei figli hanno conosciuto così la morte che ha spalancato le porte di questa casa.
Giulia forse è quella che mostrava in modo più visibile il suo dolore. Ogni tanto si bloccava, le lacrime le scorrevano sul viso e aveva bisogno di un abbraccio che le restituisse calore. Elena e Davide sono più come me: teniamo dentro, finché possiamo. Da quando Monica non c’è più ed Elena è andata a studiare a Vienna, Giulia era diventata la coordinatrice della casa, il sabato mattina su questo tavolo lei si metteva una sacchetta a tracolla, con il walkman, e cominciava a stirare. [...]».
Chiedo a Gino se c’è un giorno della sua vita con Giulia che vorrebbe rivivere. È uno dei due momenti in cui non riesce a trattenere l’emozione.
«Quest’anno le ho regalato un pomeriggio insieme in centro a Padova. Poteva fare quello che voleva, e lo facevamo insieme. Mi accompagnava con dolcezza in negozi per me strani. Ma eravamo insieme e questo ci bastava. [...]».
Ora Gino parla al presente di Giulia e in questo luogo, dove lei viveva, sembra davvero che possa arrivare, da un momento all’altro. Come è arrivato Davide, per salutare. Ha un sorriso dolce e forte, è già tornato a scuola e stasera ha l’allenamento di basket. Perché tra queste mura la morte è una presenza inevitabile con cui convivere, non un tunnel senza uscita.
«Quel sabato siamo stati a pranzo insieme. Poi lei è andata in camera sua. Le ho chiesto dalle scale che avrebbe fatto dopo e lei mi ha detto: “Forse stasera non torno a cena”. Non le ho chiesto di più. Era una ragazza di grande responsabilità, che non aveva mai dato un problema, concentrata. Io non sapevo delle tensioni con Filippo. Lo avevamo conosciuto, quando stavano insieme; ci era sembrato timido, un po’ freddo. Ho saputo tutto solo dopo.
Mi hanno detto che lui, la penultima volta che si sono visti, l’aveva spaventata urlando in modo forsennato. Su spinta di Giulia aveva accettato di farsi vedere da un terapeuta. Ma ne ha cambiati quattro e sempre ha fatto scena muta. Elena aveva capito e le aveva detto il suo giudizio su Filippo. Forse per questo, per timore della disapprovazione della sorella maggiore, Giulia non l’aveva informata dello stato d’animo poi rivelato, anche per noi, dal messaggio trasmesso da Chi l’ha visto. Quella sera io dovevo andare a prendere Davide in centro. Aspettando il momento mi sono addormentato qui, sul divano.
Quando mi sono svegliato erano le undici e trequarti. Sono tornato e lei non c’era, ma non avevo alcuna ragione per preoccuparmi, capitava, il sabato sera. Non avevo sonno e mi sono messo, come eravamo d’accordo, a correggere la sua tesi. Le ho mandato uno screenshot di un errore e solo allora mi sono accorto che era l’una e quarantacinque. Ho pensato che la mattina dopo l’avrei rimproverata, ma quando mi sono alzato non c’era e da allora è cominciato tutto.
In questa casa eravamo tre a due. Ora, con Elena a Vienna, siamo rimasti Davide ed io, ma ce la caveremo. I miei ragazzi sono forti. Elena ha ignorato gli assurdi attacchi che ha ricevuto, ma si è sentita riscaldata dall’immensa ondata di coscienza civile di affetto che le sue parole hanno determinato nel Paese».
Chiedo a Gino se tra queste mura arriva il rumore delle chiavi della piazza di Padova.
«Vorrei preservare questa casa come la dimora di noi cinque. Il dolore ce l’ho dentro e mi accompagnerà. Ma ciò che mi preme ora è fare in modo che, finita l’emozione, non ci si torni ad assopire. Noi italiani siamo bravi ad avere slanci civili ma siamo anche capaci di dimenticare in fretta. Il rumore è il campanello che ogni mattina ci deve tenere svegli e farci chiedere cosa abbiamo fatto per far finire i femminicidi. Quando ho parlato di un impegno civico ho voluto dire che, con una Fondazione o in altro modo, io voglio dedicare la mia vita a far sì che non ci sia un’altra Giulia.
Per me bisogna partire dall’educazione. La violenza non è un problema di altri. Prendi le due famiglie coinvolte in questa vicenda: due ragazzi universitari, cresciuti in determinate famiglie. Sembra un ambiente al riparo, invece no. Per i genitori di Filippo non provo odio, ma tristezza e persino tenerezza. Io ho già ricominciato a camminare nella vita, per loro sarà più difficile. Li abbraccio virtualmente, hanno avuto, se possibile, una disgrazia più feroce della mia.
In questi giorni non ho provato né odio né rabbia. Quando sono riuscito a leggere gli articoli sull’aggressione ho provato solo dolore per mia figlia che era lì, sola, spaventata, senza che io potessi aiutarla. Ho voluto vederla, dopo. La prima volta, due giorni fa, le ho toccato la gamba. Ho visto le sue mani fasciate e avevo il desiderio di stringerle. Prima che chiudessero la bara ci sono riuscito. È stata dura, ma l’ho sentita vicino a me, come non mai».
Gino ha piacere che io salga nella stanza di Giulia. Il letto è disfatto, come lo ha lasciato lei quel sabato mattina. Le lenzuola arruffate, i vestiti in disordine. Gino ne afferra uno, lo odora. È il secondo momento in cui si lascia andare, come è giusto. [...]
FILIPPO TURETTA ANDAVA DALLO PSICOLOGO: L'ULTIMA SEDUTA SALTATA DURANTE LA FUGA
Estratto dell'articolo di Francesca Galici per www.ilgiornale.it
[...] Una pressione psicologica costante, opprimente ed evidentemente disturbata, quella che Filippo perpetrava verso l'ex fidanzata, che lo aveva però convinto a farsi vedere da uno psicologo. E Turetta lo stava facendo, anche se con risultati non adeguati, facendo scena muta agli incontri. Ci sarebbe andato il 22 settembre, il 3, il 17 e il 27 ottobre e il 4 novembre. Avrebbe avuto in programma un'altra seduta il 17 novembre, quando era già latitante.
Era in cura presso lo sportello della Uls 6 Euganea e sembrava anche costante nelle sue sedute, almeno nella cadenza tempistica. Ma questo non gli ha impedito di uccidere Giulia e, forse, anche di premeditare quell'omicidio, anche se su questo punto le forze dell'ordine e gli inquirenti stanno ancora lavorando. [...]