“IN FIN DEI CONTI COS'HANNO FATTO? NIENTE. HANNO SOLO UCCISO UN EXTRACOMUNITARIO”, LE IGNOBILI PAROLE DEI FAMILIARI DEI KILLER DI WILLY – PER UNO L’ACCUSA DIVENTERA’ OMICIDIO VOLONTARIO – AD ARTENA C'È CHI RACCONTA CHE I FRATELLI FACESSERO I PICCHIATORI PER RECUPERARE CREDITI PER CONTO DEI PUSHER: “MA QUALI BULLI, SONO CRIMINALI…” - QUEL TATUAGGIO DI UNA LACRIMA NERA ALL'ANGOLO DELL'OCCHIO: NEL LINGUAGGIO DELLE GANG SIGNIFICA CHE…
Estratto dell’articolo di Federica Angeli per “la Repubblica”
(…) I quattro, più un quinto giovane di Velletri (risultato estraneo al pestaggio, ma comunque indagato) vengono portati in caserma a Colleferro. Vanno lì anche i loro genitori, così come i ragazzi di Paliano amici di Willy e gli altri testimoni.
Che sentono (e lo riferiscono poi ai militari) uno dei familiari degli arrestati dire: «In fin dei conti cos' hanno fatto? Niente. Hanno solo ucciso un extracomunitario». La notizia che Willy è morto è già arrivata, ma ai suoi genitori verrà comunicata due ore dopo, alle 7 del mattino. Il sindaco di Colleferro, Pierluigi Sanna, consegna ai carabinieri le immagini delle telecamere di sorveglianza.
Il buio ha oscurato tutta la sequenza di morte. Oggi alle 10.30 nel carcere di Rebibbia l' interrogatorio di garanzia dei quattro killer di Willy, difesi dagli avvocati Vito Perugini e Massimiliano Pica.
UNA VITA DA FICTION FRA DROGA E LUSSO "SOLO A INCONTRARLI FACEVANO PAURA"
Rory Cappelli per “la Repubblica - Roma”
Quelle case arroccate sul costone calcareo paiono quasi un miraggio arrivando in questo comune dell' area metropolitana di Roma, come quando si giunge a Calcata o a Monteriggioni. Sembra un quadro. Poi entri nella parte bassa del paese, parli con la gente, e di poetico in mano ti resta ben poco.
Qui - sette minuti in macchina da Colleferro, il luogo in cui sabato notte è stato ucciso a calci e pugni di Willy Monteiro Duarte - vivono i quattro ragazzi accusati dell' omicidio. «Abbiamo paura, sì, abbiamo paura » dice una signora che rientra dalla spesa, due grosse buste di plastica in mano, dietro di lei la sede del Comune. «A volte mi sembra di vedere per la strada i protagonisti di certe serie televisive, tutti rasati, pieni di tatuaggi, con l' aria aggressiva ». In piazza della Vittoria, anch' essa arroccata sul costone, c' è un bar.
Gli avventori con il volto coperto dalla mascherina anche qui, come dal giornalaio, dal tabaccaio, in ogni angolo in cui è possibile fare capanella, non parlano d' altro: dei fratelli Marco e Gabriele Bianchi, di Mario Pincarelli, di Francesco Belleggia. «Li conoscevo, sì, come tutti. Dei prepotenti, che quando camminavano se ti trovavi sulla loro strada, ti venivano addosso apposta, per darti un colpo, per fare vedere chi comanda» dice un ragazzo, 20 anni al massimo.
«Si credono dei veri dritti, io conosco bene Mario Pincarelli, abbiamo fatto cresima e comunione insieme » ricorda Massimo, 22 anni. «Fin da ragazzino è stato un gran prepotente, faceva cose assurde, tipo farmi vedere, sotto il banco della chiesa, durante la comunione, come si rolla una canna.
Ed eravamo veramente piccoli» Andrea, barista anche lui di 22 anni, parla invece dei tatuaggi di Pincarelli: «Io ne ho alcuni, e ognuno di questi lo ho sudato, nel senso che non te li regala nessuno, costano. Mario è pieno di tatuaggi: com' è possibile? Dove lo prendeva tutto il denaro che aveva? Eravamo in classe insieme ma lui era rimasto indietro, è stato bocciato un' infinità di volte, credo non sia neanche riuscito a finire le medie.
Il massimo è stato il giorno» racconta ancora Andrea, «in cui l' ho visto con il tatuaggio di una lacrima nera all'angolo dell'occhio: nel linguaggio simbolico delle gang significa che hai ucciso».
Tutti e quattro hanno precedenti per reati come la rissa, i due fratelli anche per spaccio. C' è chi racconta che i fratelli facessero i picchiatori per recuperare crediti per conto dei pusher, «criminali anche loro, altroché» racconta Marco. Quella sera a chiamarli era stato Pontiggia, che aveva il braccio ingessato. «E spacciavano, anche Pincarelli: fuori dalla sua villa, durante la notte, era tutto un via vai di macchine».
2 – I BULLI DIVENTATI ESATTORI DEI PUSHER "AVEVANO GIÀ FATTO AGGRESSIONI SIMILI"
Estratto dell’articolo di Paolo G. Brera e Rory Cappelli per “la Repubblica”
(…)
C' è di peggio. Un amico di Willy assicura che avessero trovato un modo di far soldi con la montagna di muscoli che si portavano addosso: «Ma quali bulli, sono criminali che fanno recupero crediti per i pusher », dice. Hanno precedenti per lesioni, droga. I carabinieri li conoscono bene, «criminali di una certa levatura, ben superiore agli altri due indagati », dicono dalla compagnia di Colleferro.
Ma per qualcuno erano un mito, i fratelli che sciamavano per la valle con il Suv Q8 e la Bmw, pestavano e facevano lo sguardo da duri, spacciavano e avevano bei soldini nelle tasche.
Mario Pincarelli, 22 anni, cintura nera di karate, era in scia: «Bocciato e ribocciato a scuola, abbiamo fatto cresima e comunione insieme e faceva il bullo con erba e cartine in chiesa, a dieci anni», dice Andrea il barista. Tatuato da capo a piedi, lacrima nera sotto l' occhio che nel linguaggio delle gang è messaggio sinistro da picchiatore: papà faceva il piastrellista, lui mette su ponteggi, la gente dice che «è solo un pischello» ma è un pischello che fa paura. Un pischello che ha pestato un vigile, il 21 agosto, perché provava a dirgli che fosse meglio indossare una mascherina.
Poi c' è Francesco Belleggia, il geometra 23enne. Anche loro sono quattro fratelli, ha un braccio ingessato ed è lui che ha chiamato gli amici per chiedere aiuto, sabato notte a Colleferro. Ora dice che gli dispiace tanto, «è disperato» racconta il suo avvocato. Lui e Pincarelli sono di Artena vecchia, piccola meraviglia abbarbicata a monte, pedonalizzata per orografia impraticabile, tutta scalinate in porfido.
Qui le consegne porta a porta arrivano ancora oggi col mulo. Ma i giovani van via, se possono, sognano i soldi e le ragazze tatuate come loro, le auto sportive e la vita frizzante che qui è un miraggio perché ci sono i Tir fermi per far transitare il gregge, ed è troppo difficile spiegar loro che quella vita che sognano è un miraggio che finisce a Rebibbia.