“CON LA FINE DELL’OLIVETTI L’ITALIA HA PERSO IN UN COLPO INFORMATICA E TELECOMUNICAZIONI” – LA SECONDA PUNTATA IN CUI DANIELE LUTTAZZI RANDELLA CARLO DE BENEDETTI PER AVER DEFINITO “UN COLOSSALE SUCCESSO” LA SUA GESTIONE DELL’OLIVETTI – DAL BLOG NEL BLOG “OLIVETTIANI”: “A UN CERTO PUNTO L’AZIENDA NON È STATA PIÙ GESTITA, È STATA USATA PER ALTRE OPERAZIONI. QUANDO L'OLIVETTI È MORTA ERA ORMAI IRRICONOSCIBILE, CARLO DE BENEDETTI CERCÒ DI UTILIZZARLA COME UNA RELIQUIA SENZA RIUSCIRCI…”
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Estratto dell’articolo di Daniele Luttazzi per “il Fatto Quotidiano”
Riassunto della puntata precedente: quando Carlo De Benedetti parla della sua avventura all’Olivetti se ne vanta sempre. I dirigenti dell’Olivetti raccontano però un’altra storia. I loro ricordi sono nel blog Olivettiani [...]
Gianni Di Quattro sta spiegando come si arrivò all’epilogo: “Nel frattempo non solo Visentini se n’è andato, ma anche molti dirigenti come Franco Tatò. Elserino Piol era stato mandato via da Francesco Caio, che temeva potesse fargli ombra e condizionarlo in qualche modo. Gli altri dirigenti si sono dispersi, tutti.
Di chi è la colpa della fine della Olivetti? A un certo punto l’azienda non è stata più gestita, è stata usata per altre operazioni, il management si è seduto impaurito, sono stati introdotti dirigenti di altre aziende che non hanno avuto successo, sono state fatte nomine molto improprie, Ivrea continuava a volere condizionare l’azienda come se gli anni non fossero passati, senza considerare le condizioni professionali e tecniche dell’azienda stessa e del mercato.
Alla fine hanno mollato tutti. Naturalmente quando l’azienda è morta era ormai irriconoscibile, e forse questo è stato un bene, per evitare di affermare che era morto il sogno e la visione di Adriano Olivetti, che era morto tanto tempo prima e che Carlo De Benedetti cercò di utilizzare come una reliquia senza riuscirci e soprattutto con persone che mancavano di coraggio. Una brutta storia del nostro paese e un disastro culturale enorme!”.
Bruno Bardelli conferma: “Un lucido e chiarissimo esame. Purtroppo i fatti si sono svolti esattamente in questo modo. Quando la Olivetti aveva bisogno di grandi manager sono arrivati gli scarti della concorrenza”. Mario Gabbrielli: “Gianni Di Quattro parla giustamente di due fasi della presenza di Carlo De Benedetti. Per essere precisi la prima fase durò dal 1978 al 1982: gli interessi di CDB in quel periodo coincisero con quelli dell’azienda.
Dal 1983 in poi ci fu una divaricazione fra i suoi interessi e l’azienda che lui considerò risanata e merce di scambio. Dal 1978 l’opera dell’ingegnere fu formidabile: conoscenza profonda della struttura aziendale, visione strategica, dinamismo operativo, velocità decisionale, capacità di motivare i collaboratori.
Non è vero che non cambiò la dirigenza. Fece una cosa semplice, ma molto coraggiosa e rischiosa. Eliminò la prima linea e mise la seconda linea al posto della prima: Levi al posto di Treves, io al posto di Brioschi, Tatò al posto di Fei, Fornasari al posto di Caglieris, ecc. Venne poi formato un Consiglio Direttivo di cui faceva parte la prima linea più la Belisario, Piol, Garelli e altri: la sensazione era di far parte di una squadra vincente e i risultati furono brillanti.
Alla fine del 1982 iniziò la seconda fase che il management avvertì subito: disinteresse, rapporti negativi coi collaboratori, ecc. I suoi più stretti collaboratori non accettarono il cambiamento: Levi andò alla Piaggio, io alla Bnl, Tatò in Germania, Fossati alla Fiat e dai Benetton. Il poi è noto”.
Luciano Martocchia: “Carlo De Benedetti lasciò, estromesso nel 1996. Quindi furono svendute Omnitel (alla tedesca Mannesmann, che cede poi a Vodafone) e Infostrada (Enel), che erano i gioielli di Casa Olivetti. Furono cedute per far cassa con oscure manovre di azzeramento societario dai “Capitani Coraggiosi” capitanati dal rag. Colaninno [...]”.
Franco Lodi: “Il management fece nascere Omnitel e Infostrada. Bisognerebbe studiare e capire come l’Italia ha perso in sol colpo informatica e telecomunicazioni”. (2. Fine).