“FRANCESCA MICHIELIN FA TANTE COSE E TUTTE MALE” – MICHELE MONINA FA A PEZZI LA CANTANTE E IL SUO NUOVO SINGOLO: “SOLITE CHIACCHIERE” È UNA CANZONE IRRILEVANTE DOVE PER DI PIÙ LA SUA VOCE È APPOGGIATA SU UNA MELODIA TALMENTE BANALE DA RISULTARE QUASI IRRICONOSCIBILE. LA ROUTINE DELLA MICHIELIN È NEL PORTARE AVANTI UNA CARRIERA SENZA PICCHI. POTREI DIRE: PECCATO, OCCASIONE PERSA, MA NON CREDO CHE CI SIA OCCASIONE PERSA NEL NON AZZECCARE MAI QUALCOSA…” - VIDEO
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Estratto dell'articolo di Michele Monina per www.mowmag.com
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partendo dal presupposto che titolo e foto di copertina vi abbia già spoilerato l’oggetto di questo pezzo vi abbia già fatto ben capire che sto parlando di Solite chiacchiere, il nuovo singolo di Francesca Michielin, e mettendo subito sul piatto la consapevolezza, anche quella abbastanza spavalda, che sia noto ai più, almeno ai più che mi leggono, che non nutro una stima altissima nei confronti della cantante di (se ce la fate infilate voi il titolo di un brano famoso del suo repertorio, a me non ne vengono in mente, titolo atto a non farmi ripetere all’interno della stessa frase, seppur frase lunghissima e infarcita di relative, tipiche del mio stile, il suo nome e cognome), ho giocato subito uno di quei trucchetti.
Così, in partenza, senza andar poi a introdurre figure per me conosciute, anche laddove variamente pimpate, di persone che appartengono al folder “mia vita privata” e che poi uso, appunto, arbitrariamente per andare a parlare d’altro. […]
la routine fosse quella con la quale deve fare i conti proprio Francesca Michielin, lì a ripetere ogni tot il compitino di tirare fuori una nuova canzone, provando a suscitare non tanto il proprio interesse, dubito che alla Michielin piacciano realmente le canzoni che propone, quanto piuttosto quello del pubblico, in fondo è il pubblico che sancisce il successo di un brano, seppur accompagnato nel farlo da tutte quelle forzature che impongono i brani nelle playlist di Spotify, in quelle delle radio e via discorrendo.
[…] E anche se, parlo indebitamente per la Michielin, lo so, lo so che quell’articolo davanti a un cognome di donna è un retaggio del patriarcato, perché non dire, che so?, il Renga, ma siccome la Michielin, appunto, e arrivo al punto, porta avanti da tempo un podcast femminista, Maschiacce, di una banalità sconcertante, mi sembrava legittimo giocare sullo stesso piano, volutamente urticante, anche se, quindi, parlo indebitamente per Michielin, ora posso smettere di fare il sessista, la sua carriera è talmente a 360° che dubito la routine ne faccia parte, canzoni, programmi, podcast, appunto, spettacoli teatrali, conduzione di talent, direzioni d’orchestra al Festival di Sanremo, essere polistrumentista, prendersi la triennale in canto Jazz al Conservatorio e quindi spiegare armonia mentre fa karaoke all’Arca, il sabato sera, collaborazioni eclatanti come quella con la Milano Music Week, varie e eventuali.
Una sorta di decathleta, non so se si dica così, dubito, ma non ho voglia di andare a cercare su google, che passando dalla corsa campestre al nuoto, improvviso, nulla so di questa multipla specialità olimpica, neanche se sia in effetti specialità olimpica, possa mai trovarsi a annoiarsi nel fare questo e quello, spesso contemporaneamente o comunque a distanza di pochi minuti. Certo, potrei lasciarmi andare alla routine dire che Michielin fa tutte queste cose male, anche perché fa tutte queste cose, va bene essere multitasking, ma magari concentrarsi sul fare bene qualcosa soltanto aiuterebbe, ma sarebbe appunto routine, tornare su un argomento già sviscerato tante e tante volte, anche perché io routinariamente ho scritto le pagelle di X Factor, da lei condotto, quindi semplicemente mi ripeterei.
[…] Per dirla con il Max Catalano di arboriana memoria, sarebbe meglio saper fare tante cose bene che saperne fare una soltanto male. Saperne fare tante male, beh, credo sia un mix tra l’accanimento e l’autolesionismo.
Ma nel parlare del nuovo singolo di Francesca Michielin, come d’uso di questi tempi giunto a pochi mesi dall’uscita dal suo ultimo album, Cani sciolti, non certo quello che si potrebbe indicare come un blockbuster né come un capolavoro, numeri e arte non vanno quasi mai a braccetto, ma il non incontrare i numeri spesso non equivale all’avere un valore incompreso, si tratta proprio di non valore compreso, a distanza di pochi mesi dall’uscilta dall’ultimo album ecco che arriva un nuovo singolo, in quell’album non contenuto, Solite chiacchiere.
Una canzone che ci viene raccontata come un ritorno all’indie-pop che sarebbe il suo marchio di fabbrica (in effetti - aggiungere i titoli dei suoi grandi successi - sono tipiche espressioni dell’ondata indie, al pari di, che so?, i brani di Calcutta, TheGiornalisti, Coez o I Cani, chiedo scusa se non l’avevo capito, che non è un titolo di una canzone indie, pur sembrandolo, ma una mia pubblica scusa), ma che nei fatti, veniamo al punto, è una canzone irrilevante, dove per di più la voce della nostra è appoggiata su una melodia talmente banale da risultare quasi irriconoscibile, che abbia una bella voce è indubbio, in genere. Era questa la routine di cui parlavo.
La sua nel portare avanti una carriera senza picchi, forse anche senza vita, e la mia nel sottolinearlo, perché una canzone routinaria non la si può raccontare che con la routine, per mimesi. Potrei dire: peccato, occasione persa, ma non credo che ci sia occasione persa nel non azzeccare mai qualcosa, semmai la constatazione amichevole che niente c’è da azzeccare.
Nella speranza che prima o poi mi potrò giocare il trucchetto di far finta di aver trovato routinaria una canzone che in realtà mi ha sorpreso (quella del giocarmi la carta routinaria del pensare che una canzone facesse cagare, fingere che così non sia stato per poi arrivare alla chiosa in cui confermo che fa cagare l’ho usata mille volte, routine, appunto). Spero abbiate almeno apprezzato che non ho fatto stupidi giochi di parole col titolo, e che non abbia citato Ivan Graziani, a tutto, credo e spero, c’è un limite.