“È GENTE CHE ASCOLTA NON GLI ECONOMISTI, MA I PROFETI” – DOMENICO QUIRICO: “ENTRANO IN SCENA LE NOSTRE UNICHE DIVISIONI CORAZZATE, IL FONDO MONETARIO, LA BANCA MONDIALE, LE CASSEFORTI DELLA UNIONE EUROPEA. SI INSISTE CHE I TALEBANI DOVRANNO PUR SFAMARE TRENTACINQUE MILIONI DI SUDDITI DEL NUOVO EMIRATO, E NON HANNO SOLDI. VERO. SE NON FOSSE CHE PER I FONDAMENTALISMI L'ECONOMIA NON COSTITUISCE UNA VOCE FONDAMENTALE DEL PROGETTO POLITICO E SOCIALE. ANZI: UN MONDO DI POVERI MA PURI È MEGLIO CHE UN EMIRATO DI BENESTANTI DOVE CON LO ‘STERCO DEL DIAVOLO, ARRIVEREBBERO TUTTI I VITUPERATI VIZI E LE TENTAZIONI DELL'IDRA OCCIDENTALE…”
-Domenico Quirico per “La Stampa”
Soldi, euro, dollari, contributi, finanziamenti, linee di credito, diritti speciali di prelievo, palanche sotto infiniti nomi e definizioni: sotto le percosse delle cronache di Kabul siamo tornati subito al nostro terreno, l'unico in cui, forse, abbiamo qualcosa da offrire quando solchiamo acque pericolose. Per affatturare i talebani alla mansuetudine almeno formale, resta dunque all'Occidente ormai una sola strategia, far balenare lo sblocco di miliardi di «aiuti umanitari», astuta metafora per non dire che siamo disposti a pagare perché gli emiri siano buoni.
La faranno fruttare, probabilmente, a partire dai prossimi vertici allargati sul futuro del Paese caduto, per nostra colpa, nel potere crudo dei turbanti neri. I talebani tengono in pugno milioni di afgani? Purtroppo.
Ma noi, per fortuna, abbiamo in cassaforte le riserve della loro Banca centrale. Con questo tesoretto dovremmo cercare di mantenerci spiritualmente in piedi sotto le percosse della Storia.
Usciti di scena marines e bombardieri, è sconveniente contrapporre le seduzioni del modello democratico vista la triste esperienza di quella farsesca, puramente propagandistica che abbiamo per vent' anni gettato come elemosina agli afghani, cambiamo partita, scendiamo un po' più in basso. Entrano in scena le nostre uniche divisioni corazzate, il Fondo monetario, la Banca mondiale, le casseforti molto miracolose della Unione europea.
Stringe il cuore dirlo, la prognosi non è fausta. Non basta individuare segni incoraggianti di una normalizzazione economica dei nuovi taleban: annuncio cioè della riapertura delle banche, nomina di un ministro dell'economia. Forse qualcuno si illude che avrà un ruolo centrale nell'Emirato, analogo a quello che da anni riveste nelle nostre economie.
Difficile possa rubar la scena, ad esempio, al funebre capo della commissione militare, che l'addestramento all'arte del governo, purtroppo, l'ha svolto nella galera di Guantanamo. Potrebbe funzionare la leva economica, la conversione al pratico, al tornaconto, si insiste, perché i talebani dovranno pur sfamare trentacinque milioni di sudditi del nuovo Emirato, e non hanno soldi.
Dal permanere della miseria potrebbero insorgere motivi infiniti di ribellione.
Vero. Se non fosse per un particolare: che per i fondamentalismi come quello talebano l'economia, al contrario di quanto accade nel nostro mondo, non costituisce una voce fondamentale del progetto politico e sociale. Anzi: un mondo di poveri ma puri, a cui provveda per l'essenziale la carità medioevale della zakat, l'elemosina maomettana, è meglio che un emirato di benestanti dove inevitabilmente con lo «sterco del diavolo», arriverebbero tutti i vituperati vizi e le tentazioni dell'idra occidentale. È gente che ascolta non gli economisti, ma i profeti.
Ciurme operose in quella parte del mondo predicano che il paradiso è la guerra santa, non un Pil ben aggiustato. Ancora una volta, nonostante la lezione che la diserzione afgana dovrebbe averci inflitto, commettiamo l'errore di attribuire agli altri il nostro modo di pensare, il nostro modello.
Mercato e democrazia viaggiano insieme, si dice sempre con una svelta sintesi di alcuni secoli di travagliato percorso zeppo di smarrimenti: peccato che in Afghanistan la caricatura della democrazia abbia fatto prova disastrosa, perché dovrebbe far meglio l'economia dell'aiuto con clausola? Parlare a un mullah talebano dei vantaggi di buoni rapporti con il Fondo monetario: tanto varrebbe intrattenerli sul mistero trinitario.
Con gli occhi dell'Occidente a guardare nello specchio afgano ci si ritrova nudi. Fuori corso per incapacità e bugia i meravigliosi slogan del modello fatto di diritti e tolleranza, restii ormai a usare una forza umanitaria non per dubbi sull'ipocrisia e l'unilateralità, ma perché non abbiamo la forza e l'interesse di sopportarne costi e conseguenze, non ci resta che pagare, come gli antichi imperi moribondi, i nuovi barbari che si affacciano ai nostri inutili muri.
Altri milioni di persone diventano sudditi del non diritto, dopo che abbiamo fatto balenare illusorie meraviglie. Non c'è nulla che gettar denaro a coloro che sorvegliano con mano di ferro quel non diritto. Come sempre. I migranti fuggono guerre e carestie, luoghi dove l'odio mette fusto e foglie: si paga perché li si custodisca lontano da noi. Infiniti Paesi sono manomessi dal malgoverno? Paghiamo i ladri che li affamano perché ci evitino il corpo a corpo con le nostre colpe. Come a Kabul