“GIOVANNI BRUSCA E’ ANCORA SOCIALMENTE PERICOLOSO” - IL QUESTORE DI PALERMO DISPONE LA SORVEGLIANZA SPECIALE PER IL BOSS ERGASTOLANO USCITO DI CELLA IN QUANTO "PENTITO" - SOLO ORA SCOPRIAMO CHE "LO SCANNACRISTIANI", QUELLO CHE HA MANDATO AL CREATORE CHINNICI E FALCONE E CHE SCIOLSE NELL’ACIDO IL 12ENNE GIUSEPPE DI MATTEO, NON È UNO STINCO DI SANTO? – LA RABBIA DEI FAMILIARI DELLE VITTIME
-Claudia Osmetti per “Libero quotidiano”
Toh, Giovanni Brusca è «socialmente pericoloso». Il fedelissimo di Totò Riina, quello che ha mandato al Creatore i giudici Rocco Chinnici e Giovanni Falcone, il responsabile (per sua stessa ammissione) del sequestro e della morte di Giuseppe Di Matteo, che nel gennaio del 1996 aveva appena 12 anni; "u' verru", cioè "il porco", come lo chiamavano quando faceva parte di Cosa Nostra; ecco, lui, detto anche "lo scannacristiani", non è davvero uno stinco di santo. Ma va'? In ogni caso, se n'è accorto il questore di Palermo Leopoldo Laricchia, che ha firmato una (nuova) valutazione che dice proprio così. Dice che Brusca è «socialmente pericoloso».
E se n'è accorta pure la sezione Misure di prevenzione del tribunale del capoluogo siculo, che quella valutazione l'ha accolta e ha deciso di riattivare, per Brusca, la sorveglianza speciale che aveva anche prima, quando era un mafioso e tutti se lo ricordavano con quei nomignoli agghiaccianti. Solo che se ne sono accorti ieri. E Brusca, nel frattempo, è uscito dal carcere (lo scorso maggio), è un uomo libero (da un anno e qualche mese), si è ripulito (quantomeno) la fedina penale.
È un cortocircuito paradossale, il faldone di Brusca. Perché da un lato c'è la vicenda giuridica (fatta di carte, processi, condanne, presunti pentimenti e collaborazioni, e poi sconti di pena e rigetti di scarcerazione anticipata), e dall'altra quella umana, che riguarda più che altro le sue vittime, o meglio i familiari di queste vittime. «Sono indignata, lo Stato ci rema contro», sbottava nel 2021, per esempio, la vedova Tina Montinaro, moglie del caposcorta di Falcone.
Partiamo dunque dalla giurisprudenza. Brusca esce dal penitenziario romano di Rebibbia il 31 maggio del 2021 con 45 giorni di "sconto". «Fine pena», recita il foglio che gli consegnano ai cancelli: è fuori per effetto di una legge del 13 febbraio del 2000 che consente ai collaboratori di giustizia di mutare le proprie condanne dall'ergastolo ostativo (quello che dura per sempre, per intenderci) all'ergastolo normale (quello che, invece, consente di ottenere permessi e che non può protrarsi fino alla morte).
«Il principio che sta alla base di quella norma è che le pene devono rieducare, chiudere una persona in cella senza possibilità di farla uscire non va in questa direzione», ci spiega Marco Biagioli, avvocato penalista di Grosseto che conosce a menadito i cavilli del Codice penale.
È la legge, quella che fonda lo Stato di diritto. Vale per tutti, anche per Brusca. Nel maggio del 2021, però, sul suo capo scatta anche la libertà vigilata per quattro anni. «Una forma di estensione della pena- continua l'esperto, - misura che generalmente, in casi come questo, viene accordata». Bene.
E adesso arriviamo alla seconda questione: a Palermo, 14 mesi dopo, la giustizia, in un certo senso, tira il freno a mano. Questa sorveglianza speciale («sanzione amministrativa ulteriore») durerà fino al 2023. E l'uomo normale, quello che non è obbbligato a conoscere a fondo i codici, si chiede: ma come, lo avete messo fuori, e ora ci dite che è socialmente pericoloso? Che senso ha? Poco, verrebbe da dire. Ma nello specifico, in cosa consiste?
«È una forma di controllo aggiuntivo. Chi la subisce non può frequentare soggetti condannati, deve restare a casa la sera, deve comunicare alle autorità il suo luogo di residenza, viene privato del passaporto», risponde il legale. Non avrà dunque le pattuglie sotto casa, "u verru". Non ci saranno i piantoni che lo terranno d'occhio giorno e notte. Ci saranno comunque gli uomini della scorta che lo seguono già da quando ha messo un piede per strada, l'anno scorso.
Lo hanno arrestato il 20 maggio 1996, Giovanni Brusca. In carcere ha passato 25 anni. Non un ladro di caramelle: è responsabile di decine di omicidi. Certo, ha collaborato con la giustizia, permettendo di capire aspetti di Cosa Nostra che senza di lui sarebbero rimasti oscuri. Ma è anche uno che «non ha mostrato pieni segni di resipiscenza», scrissero i giudici quando, nel 1999, rigettarono la sua richiesta di scarcerazione anticipata.
Così come fece la Cassazione vent' anni dopo, nel 2019, quando lui avanzò una domanda per gli arresti domiciliari. «Umanamente è una notizia che mi addolora», aveva detto nel 2021 la sorella di Falcone, Maria, quando Brusca era stato rilasciato in via definitiva, «ma questa è la legge e va rispettata». Anche se, nel passaggio dalle carte alla realtà, sconfina nel paradosso.