“HAI UCCISO MIO FIGLIO. QUESTO È IL SUO SANGUE. E ADESSO IO COSA DOVREI PROVARE PER TE, EH...?". LA FOTO DEL PAPA’ CHE MOSTRA LE MANI AL SOLDATO RUSSO. HA PERSO IL FIGLIO CHE LO AIUTAVA ALLO ZOO DI KHARKIV: UNA PIOGGIA DI COLPI NON GLI HA LASCIATO SCAMPO. “L’HAI AMMAZZATO, AVEVA 15 ANNI. VEDI, QUESTO E’ IL SANGUE DI MIO FIGLIO”
-Giusi Fasano per corriere.it
«Hai ucciso mio figlio. Questo è il sangue di mio figlio, lo vedi? E adesso io cosa dovrei provare per te, eh...?». Vitaly Selevny è sgomento e calmo. Ha appena saputo che suo figlio Denis, 15 anni, se n’è andato. E mentre sua moglie Svetlana piange e urla disperata, lui si sente vuoto. Come se tutto improvvisamente fosse inutile. Tutto. Rabbia compresa. Così si inginocchia davanti al soldato russo che è convinto abbia ucciso il suo unico figlio e gli parla quasi sottovoce. Lui, il soldato, è seduto sui gradini di una scala di cemento e piange senza ritegno. Piange e fissa la punta dei suoi scarponi. Ha un nastro adesivo verde sugli occhi e non vede che faccia ha l’uomo che gli sta parlando, ma poi qualcuno glielo toglie e i suoi occhi incrociano gli occhi di quel padre che non ha più nemmeno lacrime.
«Questo è il sangue di mio figlio», continua a ripetergli lui. Lo raccontano i giornalisti e i fotografi che giovedì mattina erano con la famiglia di Vitaly a documentare l’evacuazione degli ultimi animali rimasti nello zoo di Kharkiv, il Feldman Ecopark. Fra loro Björn Stritzel, del quotidiano tedesco Bild, che ha ripreso e pubblicato anche la fuga precipitosa verso l’ospedale sotto il fuoco russo e gli ultimi istanti di via di Denis. Sono settimane che i soldati di Putin vanno giù pesanti con i bombardamenti, da quelle parti. Sono settimane che i lavoratori e i volontari dello zoo cercano di nutrire e portar via gli animali che non è stato ancora possibile mettere al sicuro.
Ogni volta rischiando la vita, perché lo zoo è sotto il tiro costante dei russi e perché fino alla settimana scorsa erano già morti in cinque nel tentativo di salvare quelle povere bestie intrappolate nei loro recinti. Giovedì mattina la speranza di salvezza toccava ai bufali e agli struzzi, dopo sforzi titanici per assicurare un futuro a un leone, a tigri, scimmie, leopardi, giaguari, tapiri, tartarughe, canguri...
Denis, con l’entusiasmo della sua adolescenza e con l’amore sconfinato che aveva per quegli animali, si è impegnato tutta la mattina per aiutare i suoi genitori che da tempo si danno da fare per lo zoo. La sua famiglia e un gruppo di aiutanti dell’Ecopark erano riusciti a guidare struzzi e bufali fino all’ingresso quando è partita una pioggia di colpi. Urla, ricerca di un riparo, fuga e i fotografi a immortalare quel momento. Quando è tornato il silenzio c’erano alcune delle auto dello zoo distrutte, e c’erano tre feriti fra i quali Denis. Era stato colpito alla gamba sinistra, perdeva molto sangue. Sua madre l’ha caricato su una macchina di servizio ancora funzionante e ha supplicato il cielo che non glielo portasse via, per favore. Dio non poteva farle questo, Denis era il suo unico figlio... Tutti gli altri sono saliti sulle auto dei giornalisti, intatte. Via, di corsa, fino all’ospedale più vicino. Non è servito a niente.
Una scheggia aveva reciso l’arteria femorale di Denis e prima che i medici potessero fare qualsiasi tentativo lui era già morto dissanguato. Gli altri due feriti sono stati ricoverati, in gravi condizioni. Nello stesso ospedale dove avevano portato il ragazzo sono arrivati poco dopo di lui anche due soldati russi dell’agguato allo zoo, tutti e due feriti (uno grave e l’altro no) e catturati dagli ucraini. Il padre e la madre di Denis avevano appena saputo di non avere più il figlio. Nel loro abbraccio e nelle loro lacrime c’era ogni istante degli ultimi quindici anni passati assieme a Denis. C’era la sua voce, c’era il suo sorriso di poco prima davanti agli struzzi che non volevano andare nella direzione giusta, c’era l’angoscia nel sapere che da quel momento in poi Denis sarebbe stato soltanto un ricordo. Svetlana ripeteva come un disco rotto «non ho più mio figlio, non ho più Denis».
L’autista del Feldman Ecopark si è avvicinato al soldato russo e gli ha urlato contro di tutto, e quando Vitaly è andato in quella stessa direzione gli ha detto: «Guardalo, dannazione. Guarda quest’uomo. È il padre del ragazzino che hai appena ucciso». Vitaly sembrava non sentire più nessuna voce. Si è inginocchiato davanti al prigioniero perché quell’uomo guardasse da vicino tutto il suo dolore. Forse è un padre anche lui, forse ha pensato ai suoi ragazzi mentre la voce calma di Vitaly gli diceva: «Vedi... questo è il sangue di mio figlio…». Gli occhi fissi negli occhi di quello sconosciuto, i rumori del mondo lontanissimi, le mani aperte perché si vedesse bene il rosso addensato fra le piccole pieghe della pelle. L’ultima drammatica traccia di vita di Denis.