“HO DISTRUTTO I MIEI PIEDI SPECIALI PER SALIRE SUL VULCANO” – L’ULTIMA IMPRESA DI BEBE VIO, LA FARFALLA D’ACCIAIO CHE DOPO LE OLIMPIADI HA CONQUISTATO LA CIMA DELLO STROMBOLI: “CI SIAMO FATTI 12 CHILOMETRI. ERO CONSAPEVOLE CHE MI SAREI FERITA, SAPEVO CHE FACENDO QUELLO SFORZO SAREI ARRIVATA SU CON I MONCONI ROTTI, MA È STATO BELLO. LE OLIMPIADI? SEMBRAVA IMPOSSIBILE. AVEVO PERSO DIECI CHILI, SVENIVO E VOMITAVO. IL MEDICO CHE HA SCONSIGLIATO A MIA MADRE IL VACCINO? NON POSSO DIMENTICARE CHE…”
-Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
«Dura come l'acciaio, delicata come l'ala di una farfalla». «Ci sta. Sono io!», squilla allegra Bebe Vio. E spiega che sì, certo che se la sente addosso anche lei quella stupenda definizione che lo scrittore Carlos Fuentes riservò a Frida Kahlo: «Ha subito 32 operazioni ed è eternamente circondata da bende, aghi, pungente odore di cloroformio... Eppure incanta tutti, dura come l'acciaio e delicata come l'ala di una farfalla».
Non bastasse, spiega, lei ha anche l'handicap dei sampietrini... «Un incubo. In realtà io mi faccio male in qualsiasi modo, camminando per strada, salendo le scale, scendendo due gradini... Mi faccio male se piove e scivolo, mi faccio male se inciampo in una pietra, mi faccio male se mi distraggo un attimo e mi si storce un ginocchio... Non bastasse, a Trastevere dove faccio l'università americana, è pieno di sampietrini... Per una senza le gambe è la cosa più difficile del mondo, sopravvivere sopra ai sampietrini».
Cadi e ti rialzi, cadi e ti rialzi.
«Esatto. Se dovessi stare attenta a tutto quello a cui dovrei stare attenta non potrei fare niente, non potrei vivere davvero la mia vita. Quindi sì, mi riconosco nell'essere delicatissima in ogni cosa che faccio, anche se sono abbastanza "elefante" nel farla».
Sei anche dura come l'acciaio, però...
«Testarda, più che dura. Per questo resisto a tutto. Sono appena tornata da un giro bellissimo con un gruppo di amici alle Eolie. Che figata! Ero lì, abbiamo visto Vulcano, ho detto: cavoli, saliamo su! E il giorno dopo siamo saliti anche a Stromboli. Oddio, Stromboli! Ci siamo fatti dodici chilometri per andare su! Vuoi vedere i miei piedi?».
Cioè?
«Distrutti. Te li mostro in una foto sul telefonino. Piedi tecnologici. Materiali speciali. Rovinati. Un disastro. Lo vedi il carbonio che ha bucato la plastica dura e esce fuori? È stata davvero dura, andar su fra le rocce. Ho preferito non mettere le scarpe e farmi la salita scalza. Ero consapevole che mi sarei ferita, sapevo che facendo quello sforzo sarei arrivata su con i monconi completamente rotti però salire era talmente bello!».
Sei pazza. Quante volte sei caduta?
«Tante. Ammetto che è stato abbastanza devastante. Ma sai cosa? È stata un'impresa tale salire lassù... "Forza, dai, arriviamo fino in cima!". Il peggio è stato scendere. Faccio più fatica, in discesa. La rotula... Ho solo un quarto del legamento rotuleo e scendere impuntandomi sui talloni con la rotula costantemente in bilico è stato tostissimo. Però, boh, è stato talmente bello veder tutti contenti! Ho degli amici meravigliosi. Sono troppo fortunata!».
Non avrai forzato anche prima delle Olimpiadi?
«Sì. Ho sbagliato. Ero tornata dalle vacanze, sapevo che il mio corpo per rimettersi in pieno ha bisogno di tempo e invece, appena ho iniziato a tirare di scherma, ho forzato. E ho tirato una botta così forte che mi è quasi uscito il gomito... Un infortunio serio.
A un certo punto pareva tutto finito. Quel braccio mi era completamente morto. Mi hanno detto: "In due settimane va amputato, poco più e sei morta, se continui così sei morta". In pratica era come fosse tornata la malattia...».
Sei riuscita poi a perdonarlo, quel medico che sconsigliò tua mamma dal fare il vaccino contro la meningite?
«Più visto».
Mai cercato?
«Mai. Ma non posso dimenticare che disse a mia madre: "Signora, non vaccini assolutamente i suoi figli". Che doveva fare mia mamma? Si è fidata. È andata così. Sono viva solo perché un infermiere, in ospedale, riconobbe il male che aveva colpito due anni prima un bambino di Mestre, Pedro. Sennò...».
Va da sé che oggi, con il Covid...
«Io mi affido alla scienza e se mi dicono che quel vaccino può aiutare mi faccio aiutare... Ma so che ci sono anche persone che non si fidano. Perfino una mia amica strettissima. Cosa faccio, rinuncio a vederla? Cerco di difendermi: ho dodici tamponi fissi in macchina e ogni volta che ne finisco uno ne compro subito un altro.
Neanche il tempo di salutare qualcuno e gli infilo subito un tampone in bocca. Nonostante il vaccino. Se becchiamo il Covid sappiamo di poter fare del male ad altri. Non si scherza su queste cose».
Tornando alle Olimpiadi?
«Questa volta pareva davvero impossibile. Mancavano pochi giorni, avevo perso dieci chili, il braccio con cui tiro era magro magro, svenivo e vomitavo. Così sono arrivata ai Giochi di Tokyo. Svenivo e vomitavo».
Anche in gara?
«Anche. Una gara di scherma è composta da alcuni match la mattina, altri al pomeriggio. Faticosissimi. Il mio corpo proprio non era in grado di reggerli, fisicamente.
Durante un match l'adrenalina è talmente alta che non senti dolori ma appena finivo il match mi prendevano per la collottola del giubbetto elettrico e mi portavano via perché svenivo. Non potevamo far vedere che stavo male in gara. È uno sport di combattimento, non puoi dire al tuo avversario che stai male. Vomitavo e svenivo».
E la tua équipe?
«Durante la gara individuale il medico della nazionale è venuto più volte a dirmi "basta, per me è finita qua". Il gomito non c'era più, era gonfissimo, rosso, non riusciva a star fermo, tremavo tutto il tempo, piangevo...».
E non hai mollato.
«No».
Ma tuo papà e tua mamma lo sapevano?
«Sì e no. Diciamo... non esattamente. Infatti andavano ogni due secondi dai miei allenatori a chiedere come stessi e loro dovevano fingere perché io non avrei mai interrotto la gara e se loro avessero saputo tutto mi avrebbero bloccata subito. Avevo bisogno di loro e dei miei fratelli. Sennò non ce l'avrei fatta. Così, appena mi riprendevo un po' facevo una conferenza-stampa e dicevo: "Sto bene!", "Sì mamma, alla grande!". Poi mi giravo appena mi scendeva l'adrenalina. E quando scende l'adrenalina ti torna tutto il dolore...».
Insomma, te lo sei guadagnato il viaggio alle Maldive.
«Abbiamo festeggiato il terzo matrimonio di mio papà e mia mamma...».
Il terzo matrimonio?
«Si trovarono per caso a Cambridge per studiare inglese. Una settimana dopo erano da sposati. A Gretna Green, appena al di là del confine scozzese, famoso proprio per i "matrimoni in fuga" che venivano celebrati dal fabbro del paese. Tutto di nascosto».
E questo fu il primo...
«Le nozze vere e cioè le seconde le fecero due anni dopo, a Mogliano, con i parenti, la festa e tutto il resto. Il terzo, visto che erano passati trent' anni, l'abbiamo fatto appunto in un atollo».
Sono matti anche i tuoi...
«È vero. Sono fantastici. E io sono figlia loro...».
Come mai usi la parola «handicappata»?
«Appunto perché la uso io. Per me, non per gli altri. Anche come sfida a chi la usa per offendere i disabili. Non mi permetterei mai di dire "lo capirebbe pure un handicappato" o "un mongolo o un down"... Sono offese insopportabili».
C'è ancora strada da fare. I regolamenti comunali di mezza Italia, Milano compresa, diffidano ancora oggi i mendicanti a mostrare «deformità ributtanti»...
«Anch' io ho "deformità ributtanti". Le devo nascondere?».
Se è per questo, grazie a Dio, le hai portate anche al parlamento europeo. Com' è Ursula von der Leyen?
«Magica. Sono stata abbagliata da lei. Ha più o meno l'età di mia madre, ha fatto sette figli, è laureata in medicina, ha fatto tre mandati con la Merkel e adesso è il capo dell'Europa. Magica. Sai la cosa che mi ha colpito di più? Di solito persone così fanno di tutto per farti sapere che sono sì gentili ma insomma stanno un po' più in alto... Lei no. Ha fatto a me e ai miei un sacco di domande e vuoi sapere? Era davvero interessata a quello che rispondevo...».