“ITALIA E GIAPPONE ERANO DISPONIBILI AD ASSISTERE ARCHIE” – FRA POCHE ORE SARÀ STACCATA LA SPINA AI MACCHINARI CHE TENGONO IN VITA ARCHIE BATTERSBEE, IL 12ENNE INGLESE IN STATO VEGETATIVO PERMANENTE DA 4 MESI – LA MADRE ACCUSA LA GIUSTIZIA INGLESE DI NON AVER VOLUTO TRASFERIRE ALL'ESTERO IL BAMBINO, NONOSTANTE CI FOSSERO STRUTTURE PRONTE AD ACCOGLIERLO. E HA CHIESTO CHE IL FIGLIO NON MUOIA IN OSPEDALE MA IN UNA STRUTTURA PER MALATI TERMINALI – MA CHI DEVE DECIDERE SE LASCIARE IN VITA O NO IL BAMBINO: I GENITORI, I MEDICI O I GIUDICI?
-1. MAMMA DI ARCHIE, “ITALIA E TOKYO ERANO DISPONIBILI A ASSISTERLO”
(ANSA) – Dance, la mamma del piccolo Archie Battersbee, in coma da mesi al London Royal Hospital e per il quale è stata ordinata l'interruzione del supporto vitale, critica il sistema sanitario e giudiziario inglese e racconta che vi sarebbero state strutture messe a sua disposizione "in Paesi come Italia e Giappone" per continuare a garantire sostegno al bambino. Ma, denuncia, il suo trasferimento all'estero non è mai stato preso in considerazione.
Lo riportano i media britannici. La donna ha affermato che la battaglia legale per rinviare lo stop al sostegno vitale che tiene in vita il figlio è "giunta al termine" ed è rassegnata all'epilogo dopo che ieri anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ha respinto il ricorso della famiglia e si è dichiarata incompetente a intervenire rispetto a quanto stabilito dalla giustizia britannica.
La madre tenta comunque di insistere, come si legge sul sito della Bbc, almeno per ottenere il trasferimento di Archie all'interno di un hospice in cui possa ottenere una "morte più degna". Per questo vuole rivolgersi all'Alta corte di Londra presentando un ricorso per spostare il figlio in una struttura vicino a casa, in modo da staccare la spina lì e non in ospedale. Lo stop alla ventilazione assistita e ai trattamenti che tengono in vita il bambino è previsto per le ore 11 di oggi, le 12 in Italia, se non si allungano i tempi per un braccio di ferro sull'hospice, visto che i medici dell'ospedale londinese hanno sconsigliato il trasferimento.
2. ARCHIE NEL LIMBO
Caterina Soffici per “La Stampa”
A chi appartiene la morte? I genitori di Archie Battersbee stanno lottando in Inghilterra perché loro figlio non venga staccato dalle macchine che lo tengono «in vita». Lo scorso 7 aprile Archie Battersbee, 12 anni, talentuoso ginnasta e appassionati di arti marziali, viene trovato impiccato alla ringhiera delle scale dalla madre. La dinamica dell'incidente non è chiara, forse uno di quei giochi online, una sfida su Internet.
La madre, che era in cucina, lo trova agonizzante e la lesione celebrale provocata dall'asfissia è tale che il ragazzino vive da allora attaccato ai macchinari. Archie è (o era) un bel ragazzino, biondo e con gli occhi azzurri, ha (o aveva) un coniglio chiamato Simian e quella sera doveva vedere Batman. La domanda è: Archie è ancora vivo o è già morto? Per i medici si deve usare il verbo al passato.
Per loro non c'è più alcuna speranza che le cellule danneggiate possano tornare a funzionare senza il supporto esterno. Ma i genitori, Hollie Dance e Paul Battersbee, dicono che - sebbene non sia cosciente - Archie è ancora vivo e vogliono che venga tenuto ancora attaccato a un ventilatore e a un tubo di alimentazione fino alla morte «naturale».
E qui introduciamo un'altra variabile complicata, cosa significa morte «naturale» in casi come questi? I medici del Royal London Hospital affermano che, poiché Archie non ha prospettive di coscienza e non può respirare da solo, è già «naturalmente» morto. Anche un giudice di primo grado inglese è arrivato alla stessa conclusione: una prima sentenza dice che Archie è morto a mezzogiorno del 31 maggio sulla base di una risonanza magnetica sul cervello effettuata quel giorno.
In appello un altro giudice ha stabilito che tenere il ragazzino attaccato alla ventilazione non è «nel suo migliore interesse». I genitori però non si danno per vinti. È difficile accettare la morte di un figlio, la più terribile delle morti, soprattutto quando puoi ancora vederlo e toccarlo, seppure non cosciente e attaccato alle macchine. La madre Hollie sostiene che lui le ha stretto la mano, che ha visto delle lacrime scorrere sul volto del figlio.
La famiglia si è appellata alla Corte Suprema, ma anche in questo caso i giudici inglesi non hanno modificato il verdetto dei primi due giudici. La Corte Suprema ha detto che ieri a mezzogiorno la spina doveva essere staccata, ma la famiglia di Archie, sostenuta dal Christian Legal Centre, poche ore prima aveva presentato un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani.
Il ricorso ha interrotto la procedura e, in quel momento, in attesa del responso europeo, Archie è rimasto sospeso in un limbo che non è più vita e non è ancora morte dichiarata, anche se per i medici è già morto. Ieri sera, poi, anche la corte di Strasburgo ha respinto l'appello, dichiarando «inammissibili le doglianze dei ricorrenti» e ha detto che non interferirà con la giustizia inglese.
Oggi, la spina sarà staccata. Casi come questi aprono voragini di dubbi e pongono questioni di etica molto complesse. Da una parte la scienza e la legge, che non può far altro che affidarsi al parere dei medici. Dall'altra la famiglia, che non si vuole arrendere all'idea di lasciare andare il proprio figlio, seppure nel suo stesso interesse. Sono già state prese decisioni simili per il piccolo Charlie (che fece molto scalpore anche in Italia) e per un'altra neonata, Alta Fixsler, con la stessa dilaniante battaglia legale tra i genitori e le strutture mediche.
Dietro i disaccordi e i tecnicismi legali che hanno portato a questo punto ci sono una serie di domande profonde su cosa costituisce la vita, come decidere quando è finita e chi può rappresentare al meglio gli interessi di un bambino. Ciò che salta agli occhi, leggendo la sentenza della giudice inglese Arbuthnot che ha dichiarato morto Archie il 31 maggio, è la profonda umanità e la laicità della decisione.
Lo sforzo principale, quello di salvaguardare la dignità e il valore della vita di Archie. Prima di scrivere la sentenza la giudice è andata a far visita alla famiglia al capezzale del bambino e scrive: «Un ragazzo dall'aspetto adorabile, Archie sembrava molto tranquillo nonostante fosse collegato a una serie di tubi e apparecchiature mediche».
«Da quanto so, la madre non si è quasi mai allontanata da lui nelle otto settimane dall'incidente. Ho visto il comodino che si trasforma in un letto singolo su cui ha dormito». Racconta dei peluche, del dolore dei genitori, della loro dignità e conclude: «La visita mi ha permesso di imprimermi Archie nella mente... È diventato molto più reale per me». Per questo ha laicamente e dignitosamente deciso di staccarlo dalla macchina.