“CON LORO DEVI LAVORARE IN MANIERA TRIBALE, DEVI FARE IL MASCHIO DOMINANTE” – INSULTI, SPUTI E TURNI DA 12 ORE SENZA GIORNI DI PAUSA: ECCO IL MODELLO “GREEN” DELLA START-UP MILANESE STRABERRY, PREMIATA DA COLDIRETTI DUE VOLTE. I BAGNI ERANO SOLO PER GLI ITALIANI E AI BRACCIANTI ERA CONCESSO BERE SOLO SE AVEVANO CON SÉ UNA BOTTIGLIETTA D’ACQUA – I METODI DEL “CAPO GRASSO”, EX BOCCONIANO, GUGLIELMO STAGNO D’ALCONTRES

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1 – MILANO, NELL'AZIENDA MODELLO INSULTI E SPUTI AI DIPENDENTI

Claudia Guasco per “il Messaggero”

 

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Il «Capo grasso» faceva paura a tutti: vessava, minacciava, imponeva ritmi massacranti nei campi per 4,5 euro all'ora. «Questo mese solo un giorno di pausa, sempre lavoro. Io sempre stanco, faccio il lavoro di dieci persone», si sfoga Ibrahim lamentando turni fino a dodici ore consecutive. StraBerry, la fattoria delle fragole, era tutt' altro che l'idillio agreste a quindici chilometri dal centro di Milano.

 

È il primo caso di caporalato all'ombra della Madonnina. La startup dei frutti di bosco a chilometro zero fondata dal bocconiano Guglielmo Stagno d'Alcontres, ha svelato l'inchiesta della Procura di Milano che ha indagato sette persone, era un'azienda agricola da 7,5 milioni con gli schiavi extracomunitari nei campi, sprezzante della legge e dell'umanità.

 

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MANCANZA DI SCRUPOLI

A imporre le regole, rivelano le intercettazioni, è il «Capo grasso» Stagno d'Alcontres, che dettando le direttive mostra la sua «totale mancanza di scrupoli», scrive il pm Gianfranco Gallo nella richiesta di sequestro convalidata dal gip Roberto Crepaldi.

 

«Questo deve essere l'atteggiamento, perché con loro devi lavorare in maniera tribale.  Tu devi fare il maschio dominante - ride d'Alcontres - è quello il concetto, io con loro sono il maschio dominante. Sono più orgoglioso di avere inventato StraBerry che avere questi metodi coercitivi, chiamiamoli così, nei loro confronti. Ma sono i metodi con i quali bisogna lavorare».

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Un manager muscolare sprezzante di ogni regola contrattuale, scrive il pm: chi non accetta turni massacranti viene licenziato, spesso nemmeno confermato dopo due giorni in prova senza retribuzione.

 

I braccianti non conoscono la lingua, non hanno il permesso di soggiorno e vivono nei centri di accoglienza, pur di racimolare qualche euro abbassano la testa. Qualcuno prova a ribellarsi, ma incassa solo umiliazioni: «Mi ha detto che siamo dei poveracci africani che non hanno niente, poi mi ha spintonato violentemente provando a buttarmi fuori dall'ufficio e mentre mi spingeva continuava a venirmi sulla faccia e continuava ad urlare e sputacchiarmi in faccia», è il trattamento ricevuto da Mohamed da parte di uno dei capi.

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«Erano molto offensivi, sempre, contro tutti gli africani. Usavano parole come cog...one, negro di merda, animali. Offendevano». Le condizioni di lavoro non erano da meno. «È concesso bere ma soltanto se hai con te una bottiglietta d'acqua, non è permesso poter andare a bere alla fontanella. Quindi se non hai la bottiglietta non bevi e io, quel giorno, me la ero dimenticata - ricorda Diallo - Ci sono altre proibizioni.

 

Per esempio non è possibile parlare con i compagni di lavoro, ho visto tante volte Capo grasso mandare via le persone perché parlavano tra di loro». O soltanto perché, stremate dalla sete, sono andate alla fontanella distante dieci minuti di cammino.

 

BAGNI SOLO PER ITALIANI

Non ci sono toilette, riferisce un ex stagista, «i servizi igienici sono costituiti da un bagno chimico a esclusivo uso del personale di origine italiana. Non c'è un servizio igienico per gli operai» provenienti dall'Africa.

 

«Ogni volta che avevo bisogno del bagno andavo nei cespugli - dice Idron - Non ci sono docce, c'è un rubinetto con il tubo di plastica per bere ma era vietato usarlo per lavarci, andavamo in un piccolo canale. Non c'è la mensa, mangiavamo lungo il viale d'ingresso dell'azienda, per terra».

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Chi prova a protestare viene cacciato. È la regola del Capo grasso: «Domani cominciamo a buttarli fuori uno alla volta, anche quelli vecchi. Cominci a buttarne uno, no? E vediamo gli altri. Il primo che rompe i cog...ni va a casa, vediamo se gli altri non stanno attenti».

 

2 – CASO STRABERRY DALLE CARTE EMERGE IL CLIMA DI TERRORE INSTAURATO DALL'EX BOCCONIANO. IL GIP: QUADRO DESOLANTE D'ALTRI TEMPI

Giampiero Rossi per il “Corriere della Sera”

 

«Noi noi con questa cosa qua che abbiamo il contratto a chiamata, non ti dico che chiamo... Però lo usiamo come strumento, no? Lavori male non ti chiamo, lavori bene ti chiamo». Guglielmo Stagno d'Alcontres spiega così, ignaro di essere intercettato dalla Guardia di finanza, la sua strategia nella gestione della forza lavoro nei suoi campi di fragole.

stagno d'alcontres straberry

 

«Questo deve essere l'atteggiamento perché con loro devi lavorare in maniera tribale, come lavorano loro, tu devi fare il maschio dominante ( ride ), è quello il concetto, io con loro sono il maschio dominante».

 

A far scattare il sequestro della StraBerry è stata un'indagine complessa, condotta dalle Fiamme gialle. Per capire che cosa accadesse davvero nelle serre «fotovoltaiche» di Cassina de' Pecchi, oltre all'incrocio di molte testimonianze - soprattutto da parte dei lavoratori africani - sono state necessarie molte verifiche di documenti e, anche, intercettazioni telefoniche.

 

sequestro straberry

E quello che ne emerge, nelle parole dello stesso giudice per le indagini preliminari Roberto Crepaldi, è un «quadro desolante, francamente degno di ben altra epoca e contesto, emerso dalle indagini», che «denota una visione meramente economica del lavoratore, inteso come mezzo produttivo da "spremere" per conseguire un maggior margine di profitto».

 

È questa l'altra faccia - quella brutta - della start up modello creata dal giovane bocconiano siciliano dal cognome blasonato e premiata due volte da Coldiretti. Ad aprire il primo squarcio sul «clima del terrore», come lo definiva lo stesso manager dalle nobili origini, sono proprio i ragazzi africani, i lavoratori reclutati per passaparola nei centri di accoglienza e poi arruolati per lavorare a Cascina Pirola, secondo regole non scritte ma urlate.

caporalato

 

Uno dopo l'altro, i braccianti - molti dei quali domiciliati nel centro di accoglienza di via Corelli - si sono rivolti alla Guardia di finanza per raccontare le condizioni vessatorie di lavoro imposte a Cascina Pirola. Hanno paura, ma i conti non tornano: e poiché chi è ai margini inferiori della scala economica lavora soprattutto in cambio di denaro, la rabbia iniettata dalle vessazioni quotidiane si incanala nella denuncia di buste paga irregolari.

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Per esempio, in vista di controlli, come quello degli emissari della Coop, il padrone istruisce così i lavoratori: «Se lui chiedere quanto prendere soldi una persona azienda, tu bisogno dire "io non lo so"». E poi: «Tu devi dire "io no pagare orario ma pagare giornata, giornata prendiamo più o meno 50 euro"».

 

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I racconti dei giovani braccianti africani si confermano a vicenda. Ma gli investigatori cercano ulteriori prove nelle conversazioni telefoniche tra i dipendenti e i consulenti della StraBerry. Ascoltano conversazioni dalle quale emerge chiaramente che - per politica aziendale non c'è alcun legame tra ore lavorate e salario percepito, fino al giorno in cui, quasi increduli, intercettano una richiesta inusuale alla consulente delle paghe (a sua volta indagata): «A Guglielmo serviva una busta paga che fosse giusta, ok? Come se... un facsimile ».

 

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E così finisce che ai lavoratori vengono riconosciuti 4,5 euro all'ora, la metà di quanto spetterebbe loro per contratto. Sui campi, intanto, incombe il più severo controllo. Una squadra di cinque persone, quattro italiani e un africano, sorvegliano ogni mossa del centinaio di lavoratori chini sulle piantine di fragole.

 

Nei racconti dei braccianti ci sono un «capo grande» e un «capo piccolo» che controllano ogni mossa. Guai a chi risponde al telefono o fa durare più di pochi secondi una pausa per bere o per fare pipì. E soprattutto, vietato considerare conclusa la giornata di lavoro se non sono stati raggiunti gli obiettivi stabiliti dal dominus .

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Chi non ha raccolto o non ha zappato abbastanza non può andarsene: «Tu quanto hai fatto? Hai finito cinque? Ok ci vediamo domani» dice per telefono Stagno d'Alcontres a uno dei suoi dipendenti. Gli altri li manda via. In altre conversazioni intercettate, del resto, è lo stesso manager bocconiano a teorizzare un «sistema del terrore».

 

Il giudice parla anche di «uso strumentale del contratto a chiamata» e di «tono violento e razzista». Insomma nel 2020, a 15 chilometri dal Duomo, osserva il giudice, c'è chi fa impresa «sfruttando l'enorme disponibilità di mano d'opera straniera che accetta condizioni di lavoro al limite con la schiavitù pur di sopravvivere in Italia».

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