“MESSINA DENARO CONSERVA TANTI SEGRETI, LEGATI AL PASSAGGIO DI COSA NOSTRA DALLA STAGIONE DELLE BOMBE A QUELLA DEGLI AFFARI” – I RETROSCENA DELL’ARRESTO DEL BOSS NEL LIBRO “LA CATTURA”, SCRITTO DAL PROCURATORE CAPO DI PALERMO, MAURIZIO DE LUCIA, CON L’INVIATO DI "REPUBBLICA", SALVO PALAZZOLO: “MESSINA DENARO HA CONTINUATO A RITENERE STRATEGICA PER LA SUA LEADERSHIP L’INFILTRAZIONE NEL MONDO DEGLI APPALTI. ANCHE PERCHÉ IL CONTATTO CON GLI IMPRENDITORI È IL PERCORSO CHE PORTA A DIALOGARE CON LA POLITICA…” – L’ANTICIPAZIONE DEL LIBRO

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1. "LA CATTURA" DI MESSINA DENARO NEL LIBRO DI DE LUCIA E PALAZZOLO

Da www.adnkronos.com

 

maurizio de lucia 4

«L’indagine che ha portato all’arresto di Matteo Messina Denaro è stata parecchio movimentata sino alla fine, nulla era scontato, abbiamo anche rischiato di fallire – racconta il procuratore Maurizio de Lucia – le prime ricerche nel registro dei tumori, per provare a interpretare il pizzino ritrovato a casa della sorella del latitante, non avevano infatti portato proprio a nulla. E sembrava non ci fossero altre strade». I retroscena dell’arresto del padrino delle stragi, avvenuto il 16 gennaio scorso dopo 30 anni di latitanza, diventano un libro edito da Feltrinelli.

 

libro la cattura di maurizio de lucia e salvo palazzolo

Si intitola: “La cattura – i misteri di Matteo Messina Denaro e la mafia che cambia”. A firmarlo, il procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia e l’inviato di Repubblica Salvo Palazzolo.

Un racconto intenso, che rievoca i tanti passaggi ancora inediti di un’indagine complessa condotta dai carabinieri del Ros, la svolta è avvenuta nel dicembre scorso, con il ritrovamento del pizzino a casa di Rosalia Messina Denaro. «Era nascosto nel piede di una sedia – ricorda il procuratore – lì dove i nostri investigatori volevano piazzare una microspia. Invece, hanno trovato il diario clinico del latitante. Ma c’è voluta la banca dati del ministero della Salute per scoprire dove si curava il capomafia che si spacciava per un anonimo geometra di Campobello».

 

Così l’ultimo padrino delle stragi è finito in carcere: «Ma la lotta alla mafia non può fermarsi, istituzioni e società civile devono continuare ad impegnarsi», dice ancora de Lucia. «Ecco il perché di questo racconto. Per non dimenticare che Messina Denaro conserva tanti segreti, legati al passaggio di Cosa nostra dalla stagione delle bombe a quella degli affari, un dato che non possiamo sottovalutare, considerato il momento assai delicato che viviamo, per l’arrivo dei fondi del Pnrr, un’occasione unica di sviluppo che va difesa dai rischi di infiltrazione criminale».

MATTEO MESSINA DENARO

 

Ora, Matteo Messina Denaro è rinchiuso nel carcere dell’Aquila. Il boss condannato per le stragi del ’92 e del ’93, per il rapimento e l’uccisione del piccolo Di Matteo, per il delitto dell’agente della polizia penitenziaria Montalto, continua ad essere un irriducibile. Negli interrogatori fatti con i magistrati di Palermo, ha accettato di rispondere, ma a modo suo. Sfidando chi aveva davanti.

 

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«La prima volta che ci siamo trovati faccia a faccia, poche ore dopo la cattura, ha detto: “Con voi parlo, ma non collaborerò mai” – racconta ancora il procuratore de Lucia – Gli ho risposto: “Ma io le ho chiesto di collaborare? Sono venuto qui solo per sapere come è stato trattato e poi, siccome sappiamo che lei è malato, voglio assicurarle che lo Stato le offrirà tutto ciò che è necessario per far fronte alle sue condizioni di salute».

salvo palazzolo

 

Il libro “La cattura” scritto da Maurizio de Lucia e Salvo Palazzolo intreccia l’attualità con la storia di Messina Denaro. E diventa una riflessione sulla mafia di oggi. «Io ho sempre avuto la mentalità di fare soldi», ha detto il padrino dopo l’arresto, durante uno dei suoi interrogatori.

 

Un’altra espressione di sfida, che conferma quanto emerge sull’ormai ex latitante e sull’organizzazione mafiosa da una lunga stagione di indagini. «Messina Denaro ha continuato a ritenere strategica per la sua leadership l’infiltrazione nel mondo degli appalti – scrive nel libro il procuratore di Palermo – Anche perché il contatto con gli imprenditori è il percorso che porta a dialogare con la politica. Storia antica, che conviene tenere ben presente per provare a scoprire i segreti di quello che era diventato il più imprenditore dei mafiosi».

matteo messina denaro con montone

 

2. STORIA, DIO E STATO IL VOCABOLARIO ALL’INCONTRARIO DI MESSINA DENARO

Estratto dell’articolo di Maurizio De Lucia e Salvo Palazzolo per “la Repubblica”

 

[…] bisogna svelare fino in fondo le parole della mafia, espressione di una subcultura che pervade la nostra società, non solo quella meridionale.

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Da sempre, Messina Denaro ha annotato con cura le parole dei pizzini. Sin da quando scriveva ai boss Lo Piccolo e Provenzano, all’ex sindaco di Castelvetrano Vaccarino. In quei biglietti, non c’erano solo affari e questioni di mafia, c’erano delle vere e proprie riflessioni. Puntava a riscrivere la “storia”, così la chiamava. Eccolo il più grande pericolo che la mafia oggi rappresenta: si è data l’obiettivo di cercare nuovi consensi.

matteo messina denaro 2

 

Soprattutto fra i più giovani. Ecco perché la sfida contro la mafia, sul piano giudiziario e poi culturale, non può fermarsi dopo l’arresto di Messina Denaro. Anzi, deve essere rilanciata. Combattendo proprio le parole dei mafiosi.

Scriveva all’ex sindaco Vaccarino: «La lettura è il mio passatempo preferito». Ne abbiamo avuto conferma trovando nel suo covo decine di libri: da Dostoevskij a Catullo, da Baudelaire a Murakami e Vargas Llosa. Libri e autori straordinari, che dovrebbero avere la forza del cambiamento. E, invece, un capomafia irriducibile come Messina Denaro, autore di stragi e omicidi, puntava a riappropriarsi delle parole più belle, per distorcerne il significato.

 

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Correttezza. Così scriveva di sé: «Oggi vivo per come il fato mi ha destinato, mi preoccupa soltanto di essere un uomo corretto, ho fatto della correttezza la mia filosofia di vita e spero di morire da uomo giusto, tutto il resto non ha più valore». Detto da un mafioso stragista fa davvero paura. Si appropriava pure della parola “umiltà”: «Non c’è arroganza nel mio dire, solo umiltà, non c’è neanche cattiveria e astio verso qualcuno nelle mie parole». Odia invece magistrati e giornalisti: «Quando revocai gli avvocati qualche piccolo e insignificante Torquemada insinuò sui giornali che era un gesto di sfida».

 

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Dopo l’arresto, non ha voluto difendersi, revocando l’avvocato di fiducia, nel processo in cui era imputato per le stragi Falcone e Borsellino. Nei pizzini aveva già anticipato la sua scelta: «Non è mio costume lanciare sfide a suon di scartoffie in quanto do alla sfida un valore più nobile, da vero uomo».

 

Eccolo, il vocabolario del mafioso irriducibile che punta a passare per vittima della giustizia. Invocava addirittura una commissione d’inchiesta: «Questo è un punto chiave — annotava in un altro pizzino a Vaccarino — non tanto per cambiare le cose perché tutto rimarrà per come è, ma solo per il fatto di portare le istituzioni ad assumersi le proprie responsabilità, sarebbe una grande vittoria portare le cose in chiaro, far sapere al popolo tutte le torture che ha perpetrato lo Stato, così almeno la finiscono di definirsi paese civile». Lui aveva un altro concetto di Stato, di potere, di amicizia. E pretendeva di avere un rapporto diretto con Dio.

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Un giorno raccontò l’incontro con un sacerdote che gli offriva la sua benedizione: «Padre, se io sono stato nel giusto, Dio mi ha già dato la sua benedizione, se io non sono stato nel giusto, mi perdoni, ma lei non può fare alcunché per me». Rifiutava proprio intermediazioni, soprattutto della Chiesa che scomunica i mafiosi.

Ora, abbiamo bisogno di recuperare le parole migliori, togliendole alla mafia. Per un nuovo vocabolario civile.

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