“MI SONO SENTITA UMILIATA PERCHÉ HO DECISO DI ABORTIRE” – IL RACCONTO DA INCUBO DI LINDA FEKI, LA 33ENNE CHE HA INTERROTTO LA GRAVIDANZA A NAPOLI TRA MILLE DIFFICOLTÀ: “ALL’OSPEDALE SAN PAOLO MI HANNO SBAGLIATO IL CONTEGGIO DELLE SETTIMANE. QUANDO GLI HO FATTO NOTARE CHE ERA IMPOSSIBILE PERCHÉ IL MIO COMPAGNO VIVE IN UN’ALTRA CITTÀ, IL MEDICO MI HA RISPOSTO: "FORSE C’E' UN ALTRO". SONO DOVUTA ANDARE DA UN GINECOLOGO PRIVATO. ALLA FINE HO ABORTITO AL CALDARELLI DOVE HANNO FATTO DI TUTTO PER FARMI SENTIRE IN COLPA E…”

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Estratto dell’articolo di Riccardo Bruno per il “Corriere della Sera”

 

Che cosa ha provato?

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«È stata un’esperienza drammatica e violenta, mi sono sentita umiliata. Per questo ho voluto raccontare cosa mi era successo. E moltissime mi hanno scritto, raccontandomi esperienze simili, anche peggiori della mia».

 

Linda Feki, 33 anni, in arte LNDFK, è una musicista e producer emergente. Padre tunisino, madre italiana, vive a Napoli e adesso sta lavorando al suo nuovo album. Tre mesi fa ha deciso di abortire, è andata in ospedale non immaginando che fosse l’inizio di un incubo, che ha raccontato sui social.

linda feki racconta il suo aborto su instagram 2

 

Partiamo dall’inizio.

«Mi presento all’ospedale San Paolo. Il ginecologo mi visita, non mi chiede nemmeno il nome, ma se avessi un partner e che lavoro facesse. E poi il suo conto non mi tornava».

 

In che senso?

«Dice che sono alla decima settimana. E aggiunge che se eravamo arrivati fino a questo punto voleva dire che il bambino in realtà volevamo tenerlo».

 

Non era vero?

«No, ero convinta della mia scelta. Ed ero all’ottava settimana. Lo sapevo per certo perché il mio compagno vive in un’altra città».

 

E il ginecologo?

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«Allude che forse c’è un altro, dice che le macchine non sbagliano, e si rifiuta di firmare l’ecografia».

 

Cosa fa a questo punto?

«Consulto un ginecologo privato, che mi spiega che erano stati messi dei parametri sbagliati. Conferma che ero all’ottava, come dicono anche al Caldarelli, dove decido di andare».

 

Ma anche qui non è stato facile.

«Intanto le visite sono possibili solo il mercoledì perché negli altri giorni ci sono solo obiettori. La ginecologa decide per l’intervento, nonostante ci fossero le condizioni per utilizzare il farmaco, mi mettono in una stanza con altre due donne proprio di fronte alle partorienti. Né al mio compagno né a quello delle altre è consentito l’accesso.

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Eppure avere una persona accanto sarebbe importante. Non sono previsti degli antidolorifici e ad oggi mi chiedo se questo non fosse una sorta di punizione .

 

[…] Quando mi hanno portato in barella sono passata proprio davanti alla sala d’aspetto dove c’era il mio compagno, mia madre e tanta altra gente. Può sembrare un dettaglio insignificante, ma l’ho trovato una violazione della mia intimità, come se ti facessero passare in “un corridoio della vergogna”. Quando ho chiesto a un’infermiera di staccarmi la flebo lei mi ha risposto di no perché era un’obiettrice. Alla fine dell’operazione mi hanno detto che la prossima volta ci avrei dovuto pensare bene, di stare più attenta».

 

Come si è sentita?

«È stato brutale, hanno fatto di tutto per farmi sentire in colpa e rendere scoraggiante l’esperienza».

 

Non salva nessuno?

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«L’assistente sociale è stata molto gentile ed empatica. E l’anestesista è stata l’unica figura che ha dimostrato professionalità, rispetto e supporto, in quei momenti è stato di grande conforto. Per il resto, niente […] ».

 

Perché ha raccontato tutto sui social?

«Ho sentito la necessità di denunciare le ingiustizie che ho subito […] ».

 

Chi le ha scritto?

«Moltissime donne mi hanno raccontato le loro esperienze […] sto lavorando ad una lista di ospedali consigliati in base a tutte le esperienze inviatemi. Ho ricevuto anche tanti messaggi di odio, in cui sono stata insultata e definita un’assassina».

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