“MI TORTURAVA: NON POTEVO FAR NULLA SENZA DI LUI. SE LO AVESSI DENUNCIATO SAREMMO MORTI TUTTI” – LA MADRE DI ALEX POMPA, IL VENTENNE ASSOLTO PER L’OMICIDIO DEL PADRE GIUSEPPE: “MIO MARITO ERA UN UOMO IMPOSSIBILE, FEROCE, PIENO DI RABBIA. QUELLA SERA ERA FURIBONDO PERCHÉ AVEVA VISTO CHE UN COLLEGA MI AVEVA APPOGGIATO LA MANO SULLA…”
-Anticipazione da “Oggi”
Maria Cotoia, 53 anni, la moglie di Giuseppe Pompa, l’uomo ucciso da suo figlio Alex, 20, per il quale l’accusa ha chiesto 14 anni di carcere per omicidio volontario e invece la Corte d’Assise ha deciso di assolverlo, racconta in esclusiva a OGGI, in edicola da domani, gli agghiaccianti dettagli della vita d’inferno a cui la tragedia ha posto fine.
Mentre Alex dichiara «Tornassi indietro, preferirei morire io», la madre rivela: «Mio marito era un uomo impossibile, feroce, pieno di rabbia verso di me, verso i miei figli e verso il mondo. Bastava una sciocchezza a farlo infuriare, quella sera era furibondo perché spiandomi aveva visto che un collega mi aveva appoggiato la mano sulla spalla.
Mi fa male quando mi dicono “perché non lo hai denunciato?”. È una domanda che può fare solo chi non ha mai vissuto all’inferno. Se lo avessi denunciato saremmo morti tutti. Ce lo urlava ogni giorno: “Se chiamate la Polizia, prima che arrivino vi ho già ammazzato”».
Poi racconta: «Mi torturava: non potevo far nulla senza di lui, nemmeno andare da mia madre o da mia sorella. Veniva con me dal medico di base: io ci andavo anche per chiedere aiuto. Volevo gli consigliasse una visita psichiatrica ma non potevo mai parlare perché c’era lui».
E ancora: «Una volta l’altro nostro figlio, Loris, gli ha detto: “Papà andiamo dallo psicologo, facciamo qualcosa. Io non ce la faccio più, sono così stanco che non ho più voglia di vivere, vorrei buttarmi dalla finestra”. E lui ha risposto: “Dai, fallo. Io sono contento così tutti capiranno che è colpa di tua madre”». Violenze per tutti, documentati da audio.
Racconta Loris a OGGI: «Li facevamo perché Giuseppe (suo padre, ndr) nella sua follia premeditava l’omicidio. Lui ai compleanni e alle feste comandate obbligava noi e soprattutto mia madre a fare foto sorridenti insieme, abbracciati, a mandargli messaggi di auguri con i cuoricini, cose tenere che potessero dimostrare che tutto andava bene, così se un domani ci avesse ammazzato, avrebbe mostrato i messaggi sostenendo che eravamo una famiglia normale; “guardate qui” avrebbe detto.
È arrivato a usare i nostri telefoni per mandarsi da solo quei messaggi. Era come se pianificasse. Sapevamo che prima o poi ci avrebbe ucciso e speravamo che gli inquirenti potessero trovare i nostri telefoni con gli audio che lo smascheravano». E la madre: «Quando ho sentito gli audio in aula sono stata malissimo: come ho fatto a resistere, a sopportare anche schiaffi e pugni? A sopportare che appena gli passava la crisi pretendesse effusioni e intimità, se no ricominciava? Alex usava il mio fondotinta per coprire i lividi sul viso. Una pena infinita vedere i suoi sforzi per nascondere quello che subiva e per tentare di avere una vita normale fuori di casa anche impegnandosi tanto a scuola».