“MIA FIGLIA NON È UN UOMO, GIORGIA MELONI NON AVREBBE DOVUTO ABBASSARSI A DIRE QUELLE COSE” – IL PADRE DI IMANE KHELIF, LA PUGILE ALGERINA VINCITRICE DELL’ORO ALLE OLIMPIADI, LANCIA UN SASSO ALLA DUCETTA CHE DIFESE L’AZZURRA ANGELA CARINI DOPO IL RITIRO DALL’INCONTRO CON IMANE (“PENSO CHE ATLETI CHE HANNO CARATTERISTICHE GENETICHE MASCHILI NON DEBBANO ESSERE AMMESSE ALLE GARE FEMMINILI”): “NON È UNA TRANS. L’ISLAM, NON AMMETTE TUTTO QUESTO: QUI MANCO SE NE PARLA DEI TRANS”
-Estratto dell’articolo di Leonardo Martinelli per "la Repubblica"
Omar Khelif, con tanta pazienza, lo ribadisce per l’ennesima volta: Imane, la sua primogenita, pugile che a 25 anni ha conquistato a Parigi l’oro olimpico nella categoria 66 kg, «non è una trans e non è mai stata un uomo. L’islam, la nostra religione, non ammette tutto questo: qui manco se ne parla dei trans». […]. Parla dell’orgoglio per Imane e tra le sue dita scivolano via foto ingiallite, che rimandano l’immagine di una bambina mingherlina: tiene stretta la mano del padre. […] Omar sorride sempre, non polemizza, ma ci tiene a dire che «Giorgia Meloni non avrebbe dovuto abbassarsi a dire quelle cose».
Dopo l’abbandono della pugile Angela Carini, nel primo incontro ai Giochi contro Khelif, la premier si era espressa così: «Penso che atleti che hanno caratteristiche genetiche maschili non debbano essere ammesse alle gare femminili». Alla soglia del garage di Omar, la sua vecchia Lada scassata, e poi il dedalo di strade sterrate di Biban Mesbah, borgo agricolo, a più di quattro ore di auto al Sud-Ovest di Algeri, sugli altopiani coltivati a grano. […]
Iniziò a 15 anni. «Prima aveva cominciato a giocare a calcio per strada con i ragazzi – ricorda il padre – Era brava e loro si sentivano minacciati. Si battevano con lei. Lì ha imparato a schivare i pugni dei compagni ». Abdelkader Ben Aissa, giovane pugile del villaggio, la notò e parlò di lei a Mohamed Chaoua, il suo allenatore, al club della Protezione civile, a Tiaret. Era la fine del 2015 e, «per la prima volta, decisi di creare un gruppo di ragazze pugili, appena cinque», racconta oggi nella palestra Chaoua, che è ancora uno dei coach di Imane.
Le pugili si allenavano con i maschi. Tra di loro, Mustapha Bensaou, 27 anni, oggi coach, amico di Imane: «Era difficile per le ragazze – dice – soprattutto per lei, che veniva da un paesino, dove la maggior parte della gente era contraria alla sua scelta». […] Anche Omar, il padre, riconosce di aver «disapprovato agli inizi la volontà di fare la boxe, ma poi l’ho accettata». Come Nasria, la madre di Imane, da cui l’uomo è separato. Ma entrambi sono oggi i suoi più grandi sostegni, la figlia lo ripete sempre.
«Certe volte voleva abbandonare, ma io non l’ho mai mollata – confida Chaoua – Aveva raggiunto un tale livello che ormai si allenava solo con i ragazzi. È diventata più muscolosa, ha cambiato morfologia». «Non ha mai saltato una sessione. Se io ne annullavo una, mi perseguitava per farla comunque. Durante il Covid andava con i colleghi maschi nei boschi ad allenarsi». Determinata, ma non indistruttibile: «Durante le Olimpiadi l’ho vista piangere a più riprese, a causa delle polemiche. Ha pensato addirittura di lasciare. Ma alla fine gli attacchi subiti sui social hanno alimentato la sua rabbia, che l’ha fatta vincere».
Oggi, pure a Biban Misbah sono tutti dalla sua parte. «Si è difesa, ma mai cadendo nella volgarità degli altri, di chi l’aggrediva – sottolinea Ben Issa, un vicino di casa – Ha fatto onore all’Algeria anche per quello».
È diventata, volente o nolente, un simbolo per il nazionalismo del Paese e per quel regime che lo domina. Il presidente Abdelmadjid Tebboune, appena rieletto (ma il tasso di partecipazione dichiarato del 48%, già basso, non sembra veritiero, segno di un grosso disagio), cavalca la “Khelifmania”. Lei approva, perché è sinceramente riconoscente o forse perché non ha scelta. Intanto, con Imane il suo Paese diventa (paradossalmente) un simbolo progressista di femminismo e tolleranza.
Il giorno dopo, ritorno ad Algeri. Anzi, ad Ain Taya, sobborgo sul mare, a 25 km dalla capitale: […] in una chiesa sconsacrata, dall’allure modernista, lasciata dai francesi, si pratica la boxe. Per tutti, maschi e femmine, l’allenatrice è Malika Abassi, 42 anni, occhi chiari e un sorriso dolce. «Un anno fa le ragazze erano una quindicina – racconta – Ora siamo a più di quaranta. E l’effetto Imane Khelif si fa sentire ancora. Ci chiamano le famiglie per iscrivere le figlie. Non so se riusciremo a soddisfare tutte le domande. La sala è piccola e ci sono solo io a insegnare». Nesrine, 16 anni, una delle sue allieve, dice che «in tanti ci guardano male, perché siamo femmine, ma i miei genitori sono dalla mia parte». […]