“NON ERA IL CTS A COORDINARE GLI INTERVENTI DEI RUSSI SUL TERRENO NÉ È STATO MAI CHIESTO A NOI DI FARE UNA RELAZIONE SULLA LORO ATTIVITÀ” - AGOSTINO MIOZZO RICORDA LA MISSIONE DEI RUSSI IN ITALIA A MARZO 2020: “NON ABBIAMO MAI VISIONATO ALCUNA LISTA DELLE APPARECCHIATURE E DEI SUPPORTI SANITARI SCARICATI DAI LORO AEREI. NON SO DIRLE SE ERANO ATTREZZATURE VALIDE O MENO. I RAPPORTI CON RUSSI ERANO TENUTI DA UN UFFICIALE DA UN COLONNELLO INDICATO DAL MINISTERO DELLA DIFESA - I SOGGETTI CHE AVEVAMO DI FRONTE SOSTENEVANO DI AVERE UN MANDATO PRECISO, OVVERO DI BONIFICARE LE STRUTTURE PUBBLICHE…”
-Lorenzo Calò per “il Mattino”
Agostino Miozzo era il coordinatore del Cts nel marzo 2020 quando, in piena pandemia, arrivò in Italia la missione di supporto umanitario russa: 104 unità di cui 28 medici e 4 infermieri. Il resto erano militari.
Dottor Miozzo, chi erano quei medici e, nello specifico, che cosa dovevano fare nelle strutture sanitarie?
«Sapevamo che erano figure esperte in ambito Nbcr, ci avevano offerto collaborazione per la sanificazione degli ambienti ma noi del Cts non abbiamo mai avuto alcuna lista con i nominativi dei medici e infermieri partecipanti alla missione russa né abbiamo potuto conoscere o valutare i profili professionali e scientifici di questi esperti».
E nelle Rsa della Lombardia, dove furono inviati, che cosa hanno fatto?
«Mi risulta che abbiano collaborato con le autorità sanitarie locali con le quali poi sono state in contatto per la bonifica di ambienti, nelle Rsa, negli ospedali e nelle strade. Mi risulta che anche i medici hanno offerto il loro supporto. Non era il Cts a coordinare questi interventi sul terreno né è stato mai chiesto a noi di fare qualsiasi relazione o di ricevere alcun report sulla loro attività. Pensi: non abbiamo mai visionato alcuna lista delle apparecchiature e dei supporti sanitari scaricati dai loro aerei. Non so dirle se erano attrezzature valide o meno».
Quindi la missione russa arriva in Italia il 22 marzo 2020, fa un briefing con i vertici del Cts, con il generale Portolano, all’epoca comandante del Coi, e poi voi la perdete di vista...
«Ad accoglierli all’aeroporto di Pratica di Mare c’ero anch’io assieme al ministro Di Maio. Abbiamo saputo che poi sono andati via, circa due mesi dopo. Ma al Dipartimento di Protezione civile non mi risulta che nulla sia stato formalmente notificato».
Dopo l’incontro con il generale Sergej Kikot, capo della spedizione, vi siete più rivisti?
«No. L’ho incontrato soltanto quando c’è stata la riunione per definire le modalità operative».
E con i russi chi stava in contatto?
«Non noi del Cts. Mi risulta che i rapporti fossero tenuti da un ufficiale di collegamento indicato direttamente dal nostro ministero della Difesa, se ben ricordo un colonnello. In quel periodo ospitavamo numerose delegazioni anche di altri Paesi: cubani, rumeni, libici, americani, tedeschi. La situazione era molto complessa, eravamo nella fase acuta del disastro e non so dirle se in Italia ci fossero le capacità e le competenze per ottenere sul piano sanitario quella risposta immediata e operativa che la gravità dello scenario in quel momento avrebbe richiesto».
Chi ha deciso di non autorizzare l’ingresso dei russi in strutture della Pa e negli uffici pubblici? C’è stato un input preciso da Palazzo Chigi?
«Come Cts nessuno ci ha fornito indicazioni o regole d’ingaggio. Ci siamo consultati con il generale Portolano e abbiamo deciso di insistere su quella che per noi era la priorità: ai russi chiedevamo assistenza sulla sanificazione delle strutture sanitarie e delle Rsa».
La riunione operativa con la delegazione russa fu molto tesa. Perché?
«Perché i soggetti che avevamo di fronte sostenevano di avere un mandato preciso, ovvero di bonificare le strutture pubbliche. Questo è quello che disse Kikot e posso immaginare a che cosa si riferisse».
Perché? Lo conosceva già?
«Non lui ma conosco bene il suo capo: l’attuale ministro della Difesa di Mosca, Sergey Shoigu. È stato per anni capo della Protezione civile russa e ho a lungo collaborato con lui in missioni bilaterali e internazionali. È un militare esigente e deciso. Non so se Kikot si riferisse a Shoigu o a Putin quando ci parlava del mandato ricevuto ma poco importa, noi abbiamo tenuto il punto».
Ha mai conosciuto l’ex console a Milano, Paramonov, dal quale sono arrivate minacce all’Italia, al ministro Guerini, e illazioni sull’aiuto russo ai tempi del Covid?
«Non ne ho un ricordo preciso, potrei averlo incontrato in qualche meeting con l’Ambasciatore russo con il quale invece i contatti erano più frequenti».
Ha mai parlato di questa vicenda con il presidente Conte o con esponenti dei nostri Servizi?
«Non nello specifico. Del resto, questa collaborazione con la Russia in quel tempo avveniva in condizioni di assoluta amicizia e con relazioni diplomatiche molto solide».
Ma militari russi hanno girato per due mesi in strutture sanitarie pubbliche di un Paese Nato...
«Questo è vero. Ma vede: in 40 anni di missioni di cooperazione internazionale ho imparato che una buona percentuale dei componenti i team operativi sul terreno, a tutti i livelli e in ogni Paese, è sempre appartenuto ai servizi di sicurezza e di intelligence. Per questo sono certo che anche i nostri apparati fossero stati allertati».
Che effetto le fa rivivere quei momenti, oggi, due anni dopo, con i contorni di una spy story?
«Se un’operazione d’intelligence di un Paese, allora amico, è stata camuffata da missione umanitaria in un momento così difficile per l’Italia, non può che suscitarmi delusione e amarezza».