“NON SONO QUEL MOSTRO CHE TUTTI PENSANO” – PARLA PER LA PRIMA VOLTA SAVERIO TATEO, L'EX PRIMARIO DI GINECOLOGIA DEL SANTA CHIARA DI TRENTO, FINITO NELLA BUFERA DOPO LA SCOMPARSA DELLA DOTTORESSA SARA PEDRI: “IL CLIMA PESANTE IN REPARTO? IO NON LO COGLIEVO. NON SONO AGGRESSIVO, SONO UNA PERSONA PIUTTOSTO SEVERA, AMO IL RIGORE. I GENITORI DI SARA NON DEVONO PERDERE LA SPERANZA. È RIMASTA POCO CON NOI, LA SAPEVO SOLA IN TRENTINO, AVEVO VISTO CHE ERA DIMAGRITA E…”


Paolo Colonnello per "La Stampa"

 

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Il dottor Saverio Tateo, 59 anni, è un uomo minuto, con i capelli grigi e l'aria spaventata. Era considerato un luminare in ascesa all'ospedale Santa Chiara di Trento, riconfermato per tre volte in undici anni primario di un reparto, quello di ginecologia, diventato un eccellenza nella sanità pubblica trentina.

 

Poi, il 4 marzo dell'anno scorso, la giovane dottoressa Sara Pedri, 31 anni, in forza al reparto di Tateo per tre mesi, scompare abbandonando la sua auto vicino a un ponte di un torrente e per il primario è l'inizio della fine: scattano accuse gravissime di maltrattamenti per lui e la sua vice, Liliana Mereu, e il sospetto di aver indotto al suicidio la dottoressa scomparsa. Tateo, licenziato dall'ospedale, ora rischia 8 anni e mezzo di carcere e per la prima volta, da quando è iniziata questa storia, ha deciso di rilasciare un'intervista.

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Dottor Tateo, quando la dottoressa Pedri è scomparsa, che cosa ha pensato?

«Rimasi sbigottito, pensai che fosse successo qualcosa che si sarebbe risolto. E comunque dopo qualche giorno pensai di organizzare un supporto psicologico in reparto e fare in modo che tutti potessero partecipare».

 

Perché aveva capito che nel suo reparto c'era un clima pesante?

«Io questo clima pesante non lo coglievo. Se non fossi stato convinto di guidare una buona struttura, di cui i pazienti erano soddisfatti, come dimostrano le lettere e le telefonate che ho ricevuto in questi mesi, me ne sarei andato accettando un invito ricevuto nel 2019 da un ospedale estero molto prestigioso».

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Nessuno le aveva mai fatto presente del disagio che si viveva tra le corsie?

«Se qualcuno mi avesse esposto i suoi problemi, avrei risposto, non scappo da nessuna parte. Invece mi sono impegnato nella sanità pubblica, forse questa cosa ha dato fastidio a qualcuno. E del resto l'Azienda Sanitaria trentina mi ha sottoposto a valutazione ogni anno e riconfermato ogni 5 anni. Nel 2021 l'ultima riconferma».

 

Cosa ricorda di Sara Pedri?

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«Che era una ragazza emiliana, educata e desiderosa di imparare. Era una specialista da poco tempo, la sapevo sola in Trentino e per di più durante la seconda ondata di Covid. Per questo le avevo dato dei turni che la lasciavano libera i fine settimana e i festivi. Nei 59 giorni in cui è rimasta in reparto aveva fatto due sole notti, di cui una in sostituzione di una collega che si era ammalata. Ho avuto poco tempo per conoscerla meglio, perché è rimasta con noi poco, poi è andata a Cles, la prima sede di ospedale che aveva scelto».

 

Non l'aveva mai vista in difficoltà?

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«Durante i meeting mattutini con i colleghi avevo notato che era dimagrita, le avevo chiesto se mangiasse e le mi aveva risposto con un cenno di circostanza».

 

L'hanno accusata di essere un mobbizzatore, al punto da indurre la Pedri al suicidio. Cosa risponde?

«Che è un'odiosa e gravissima falsità. La dottoressa Pedri ha ricevuto da me tutti i riguardi che sono dovuti a una giovane professionista che, lasciato pochi giorni prima l'ambiente comunque protettivo dell'università, si è trovata a dover fronteggiare i ritmi e le esigenze della corsia e della sala operatoria».

 

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Dove si dice volassero gli insulti e persino i bisturi

«Senta, io vivevo in sala operatoria, ho svolto migliaia di interventi e non ho mai assistito né tantomeno messo in atto comportamenti simili. Semmai mi è stata rimproverata l'eccessiva serietà ma si può ben capire come le responsabilità e la posta in gioco richiedessero sempre la massima attenzione»

 

I magistrati parlano di «condotte vessatorie eccedenti l'ordinario potere di correzione verso un dipendente» e ben 21, tra medici e infermieri, testimoniano contro di lei. Invenzioni?

«Si tratta di una sintesi errata del provvisorio capo d'imputazione che è frutto di scelte mai supportate dalla realtà dei fatti».

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La commissione disciplinare dell'Ospedale ha ascoltato 110 tra medici e infermieri. 17 episodi sono stati considerati «gravissimi».

«Posso dirle che ho chiesto formalmente all'Azienda di consentirmi di visionare tutti i 110 verbali, ma mi è stato negato, così come mi è stata negata la possibilità di leggere la relazione degli ispettori ministeriali. Quando sono comparso davanti alla commissione disciplinare mi sono stati consegnati solo 14 verbali e solo recentemente ho potuto avere una più ampia visione delle audizioni che riportano spesso dichiarazioni generiche riconducibili a molte fattispecie e non alla mia gestione. Non va dimenticata la lettera di 13 colleghi ginecologi che hanno apertamente dichiarato apprezzamento per quanto costruito insieme e stima nei miei confronti».

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L'hanno accusata di essere aggressivo.

«Non sono aggressivo, sono una persona piuttosto severa, amo il rigore perché nell'ospedale il rigore è fondamentale: non dobbiamo dimenticarci che dobbiamo curare dei pazienti, delle persone e bisogna essere estremamente onesti anche verso i propri errori».

 

I suoi pazienti si sono mai lamentati di lei con l'ospedale?

«Mai, nemmeno in forma anonima».

 

Perché ha deciso di fare questa intervista?

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«Perché mi hanno descritto come un mostro che non sono. Nei mesi precedenti ero così traumatizzato che non riuscivo nemmeno a leggere le carte che mi riguardavano».

 

Se dovesse incontrarli, cosa direbbe ai genitori della Pedri?

«Che sono dispiaciuto per quanto è successo a questa ragazza. Sono anche io un genitore e li inviterei a sperare che forse la loro figlia non ha fatto una scelta irreversibile. E racconterei loro come sembrava la loro ragazza: educata, interessata a ciò che faceva e con un senso di responsabilità verso il lavoro».

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