Mattia Feltri per “la Stampa”
Il mio vecchio amico Andrea Tornielli anni fa ricordò su questo giornale una frase di Angelo Sodano, segretario di Stato vaticano, evidentemente (l'avverbio è di Andrea) concordata con Papa Karol Wojtyla: «Gli stati europei e le Nazioni unite hanno il dovere e il diritto di ingerenza per disarmare chi vuole uccidere». Era il 1992, c'era la guerra nell'ex Jugoslavia e Sarajevo era sotto assedio. Pochi mesi dopo, Wojtyla la fece sua: laddove la diplomazia non ottenga nulla e «intere popolazioni sono sul punto di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore», allora è «dovere disarmare questo aggressore».
Non intendo arruolare San Giovanni Paolo II fra noi guerrafondai da salotto né contrapporlo a Bergoglio. Altre volte Wojtyla espresse opinioni diverse, come in occasione del bombardamento di Belgrado, in cui vide inutile violenza in risposta a inutile violenza. Per lui l'intervento armato è concepibile se contiene i danni anziché moltiplicarli e se è una decisione presa non dalla Nato ma dall'Onu, che esortava a elevarsi a centro morale delle nazioni.
Prima altri papi non maledissero le armi, per esempio Pio XII che diffidò dal «lasciare abbandonato un popolo aggredito» in nome di un «atteggiamento di impassibile neutralità». Intendo soltanto pensare a questa guerra, se armare gli ucraini abbia contenuto i danni, e credo di sì, e se continuerà a contenerli, e davvero non lo so, è difficile saperlo. E intendo pensare al pacifismo che se è senza se e senza ma, e senza armi, sempre e comunque, per rifugiarsi in un'impassibile neutralità, rischia di diventare un pacifismo senza testa e senza cuore.