“PRIMA CON LO STATO I RAPPORTI ERANO BUONI” – NELLE INTERCETTAZIONI DEI BADAGLIACCA, I BOSS ARRESTATI NEL BLITZ DI IERI, C’È TUTTA LA CONFUSIONE DELLE NUOVE LEVE DI COSA NOSTRA, DIVISI TRA LE CRITICHE A RIINA E I METODI SEMPRE PIÙ VIOLENTI DA STRAGISTI – DA UN LATO, GIOACCHINO BADAGLIACCA DAVA LEZIONI DI ONORE PARLANDO DELLO "STATUTO" DI COSA NOSTRA, DALL’ALTRO FACEVA RECAPITARE UNA BAMBOLA CON UN PROIETTILE IN TESTA A UN IMPRENDITORE E INSISTEVA PER UCCIDERE UN ARCHITETTO: “IO GLI DEVO SCIPPARE LA TESTA…”
-IL CLAN DELL'ORTODOSSIA MAFIOSA «NOI RISPETTIAMO LO STATUTO SCRITTO DAI PADRI COSTITUENTI»
R. L. V. per “il Messaggero”
Pietro Badagliacca, che di anni ne ha 78 (di cui 14 trascorsi in carcere per mafia) all'inizio degli anni Duemila scontava la misura di sicurezza dell'obbligo di dimora a Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani.
«Io intanto prendo i pizzini, tanti saluti da papà dice che già ha parlato con quello di Trapani», raccontava nel 2005 Angelo Badagliacca ad Antonino Rotolo, storico boss di Pagliarelli ed ergastolano. «Ma per parlare direttamente con Matteo?», chiedeva Rotolo, facendo chiaro riferimento a Messina Denaro.
Nei confronti del padrino trapanese nutrivano un profondo rispetto. Niente a che vedere con le critiche feroci rivolte ad altri pezzi da novanta della Cosa Nostra che fu. […]
L'ORTODOSSIA
[…] si sentivano i custodi dell'ortodossia mafiosa, i difensori dello «statuto di Cosa Nostra». Altri in passato hanno parlato di regole scritte «conservate a Corleone» e mai trovate. […]
Qualcosa di scritto ha lasciato Salvatore Lo Piccolo, capomafia del mandamento palermitano di San Lorenzo. Quando lo arrestarono aveva una valigetta piena di pizzini, di cui cercò maldestramente di disfarsi nel water. C'era anche un decalogo del perfetto mafioso.
«Non si guardano le mogli di amici nostri», «non si fanno comparati con gli sbirri», «chi ha tradimenti sentimentali in famiglia», «chi ha un comportamento pessimo e non tiene ai valori morali». Ed altro ancora, come se ci fosse della moralità nell'essere mafiosi […]
1 - LO «STATUTO MAFIOSO» NELLE INTERCETTAZIONI «PRIMA CON LO STATO I RAPPORTI ERANO BUONI»
Estratto dell'articolo di L. Sir. Per il “Corriere della Sera”
Cosa nostra resta attaccata al passato, mette ai suoi vertici i vecchi boss, rievoca con nostalgia il tempo in cui a comandare erano uomini con «principi»: è una mafia legata indissolubilmente alle antiche regole quella raccontata dall’ultima indagine dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo diretto dal colonnello Salvatore Di Gesare, che, a distanza di una settimana dalla cattura del boss Matteo Messina Denaro, tornano a colpire i clan.
[…]
«C’è lo statuto scritto … quello che hanno scritto i padri costituenti», dice durante un summit, in un casolare nelle campagne di Caltanissetta.
Una sorta di Magna Carta mafiosa, insomma, di cui gli investigatori hanno sentito parlare anche in altre indagini, ma che non è mai stata trovata.
Per anni i Badagliacca hanno avuto stretti contatti con Bernardo Provenzano […] E con Matteo Messina Denaro […]
gli ultimi a finire nella lista degli indagati, dopo la cattura del boss trapanese, sono stati Antonino e Vincenzo Luppino, i figli dell’uomo che gli faceva da autista. Dall’inchiesta di ieri emerge però uno spaccato inedito.
Se i legami con i corleonesi e con l’ala stragista sono sempre stati saldi, ora che i capimafia storici sono morti o in galera, i Badagliacca prendono le distanze dalla stagione del terrore. E, ricordando con nostalgia i boss d’altri tempi, criticano le azioni di Totò Riina e dei suoi. […]
Insomma, la guerra alle istituzioni è stata un errore. «Prima (della stagione di Riina ndr) c’erano buoni rapporti con gli organi dello Stato. Non si toccavano, non si toccavano», sbotta il mafioso Antonino Anello. «Anzi li allisciavano», concorda Gioacchino Badagliacca. Ma l’avversione verso il sangue dei capimafia di Rocca Mezzomonreale è solo apparente.
[…]
2 - LE REGOLE DI COSA NOSTRA NELLO STATUTO SCRITTO DAI PADRINI COSTITUENTI
Estratto dell'articolo di “la Repubblica”
«Io mi devo levare qualche scaglia, ma è una cosa mia personale — sbottò il mafioso più giovane della famiglia Badagliacca, Gioacchino, classe 1977 — io gli devo scippare la testa, ma questa è una cosa mia. E sarà l’ultima cosa che faccio».
Voleva uccidere un architetto che aveva sbagliato la pratica di sanatoria di un immobile del padre. Un omicidio per punire uno “sgarro”. Come nei ruggenti anni Ottanta della mafia a Palermo, quando si moriva per nulla. Per uno sguardo di troppo, per una precedenza non data, per un confine non rispettato. I giovani terribili di Cosa nostra vogliono il ritorno al passato.
[…] Badagliacca junior faceva lezioni di mafia ai suoi complici. […] E, intanto, aveva metodi sempre più violenti. A un imprenditore fece recapitare una bambola con un proiettile in testa.
L’anziano Pietro Badagliacca, classe 1944, invitava il nipote alla prudenza: «Qua non si possono fare questi discorsi, stai sbagliando Gioacchino, ci sono delle azioni che si fanno e che possono portare a delle conseguenze… le forze dell’ordine aumentano i controlli». I vecchi di Cosa nostra hanno imparato la lezione degli anni ’90: quando la mafia alza la testa con la violenza estrema, la risposta dello Stato è sempre decisa. Meglio stare sotto traccia.
Ma i giovani di Cosa nostra scalpitano, aspirano a tornare ai metodi sbrigativi dei Corleonesi. Anche se poi Badagliacca junior, rampante esponente della famiglia di Mezzomonreale, criticava Riina per le stragi: «Cose infami, ma perché queste bombe contro tutti questi giudici… far morire gente innocente, cose brutte, sono cose di uno che non ha onore». Criticava anche Brusca per l’omicidio del piccolo Di Matteo: «Non sono