“LA PRIVACY? SONO CAZZATE, SIAMO IN GUERRA” – IL DIRETTORE DEL DIPARTIMENTO MALATTIE INFETTIVE DELL’ISS GIANNI REZZA LA TOCCA PIANO: “DOVREMMO SEGUIRE IL METODO COREANO CON TEST RAPIDI E MIRATI E LA MAPPA DEGLI SPOSTAMENTI DEI POSITIVI COL GPS. L’80% GUARISCE DA SE, ANCHE SENZA AVIGAN” – GIÀ DIAMO DATI PRIVATI A FACEBOOK, GOOGLE E DELIVEROO, PERCHÉ NON USARLI PER SALVARCI LA PELLE? LE ARMI TECNOLOGICHE CHE ABBIAMO'' – VIDEO
-CORONAVIRUS, MILENA GABANELLI E LA APP PER TRACCIARE I POSITIVI DA CORONAVIRUS
1 – GIANNI REZZA DIRETTORE DELL'ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
Paolo Russo per “la Stampa”
«Va bene aver chiuso fabbriche e uffici ma bisogna adottare il metodo coreano per rintracciare e isolare i positivi. Anche mappando gli spostamenti con il Gps dei cellulari». E la privacy? «Lo scriva per favore, sono c…, siamo in guerra e bisogna rispondere con tutte le armi che abbiamo». Non va per il sottile nel chiedere di implementare i controlli Gianni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell' Istituto superiore di sanità.
Era necessario spegnere il motore dell' economia in tutta Italia?
«Da epidemiologo dico che più fai per garantire il distanziamento e meglio è. E da Roma in giù la stretta può servire a tamponare gli effetti delle fughe recenti da nord a sud di decine di migliaia di persone. Poi le decisioni spettano a economisti e politici. Però è innegabile che nelle fabbriche il distanziamento è difficile da applicare e poi il contagio può avvenire anche sui mezzi di trasporto usati per gli spostamenti casa-lavoro».
Resta aperta la questione dei test. Dovremmo seguire il modello coreano e farne di più?
«Si. Loro hanno effettuato test rapidi ed estesi ma mirati, utilizzando la mappa degli spostamenti di ciascun positivo accertato, ottenuta utilizzando il Gps dei cellulari. Così sono riusciti individuare e a isolare i soggetti a rischio. Poi hanno utilizzato le informazioni per creare App che hanno consentito ai cittadini di individuare le aree di maggior transito di potenziali contagiati, così da evitarle o adottare il massimo delle precauzioni. Una strategia efficace che ha consentito di ridurre molto la crescita della curva epidemica. Anche se manca ancora un tassello».
Quale?
«Quello della trasmissione intra-familiare. Abbiamo centinaia di migliaia di persone in quarantena perché positive o a rischio di esserlo che in casa non riescono a garantire il distanziamento necessario. Se c' è un positivo, questo dovrebbe dormire in una stanza separata, non mangiare con gli altri, usare un suo bagno e i suoi asciugamani. Difficile per una larga parte degli italiani. Se non teniamo conto di questo il fermo delle attività produttive non basterà».
Cosa bisognerebbe fare?
«Seguire l' esempio cinese e isolare le persone che non sono nelle condizioni di fare la quarantena in casa. Magari requisendo alberghi e caserme».
Ma quanti sono gli asintomatici portatori del virus senza saperlo?
«Dallo studio condotto a Vo' circa un terzo della popolazione. Da altri studi che stiamo analizzando un po' meno di un quarto. E il 10% dei contagi avviene da parte di asintomatici e pre-sintomatici. Per questo è importante rintracciare e testare tutti coloro che hanno avuto contatti con persone positive».
E' vero che il virus può sopravvivere anche nell' aria?
«Uno studio dell' Istituto americano per le malattie infettive stima un tempo di sopravvivenza massimo di tre ore nell' aria delle goccioline che emettiamo con la respirazione. Ma sono indagini sperimentali. Il rischio maggiore resta quello della trasmissione tramite le particelle che emettiamo starnutendo, tossendo o parlando».
Cosa ne pensa dell' Avigan, l' antinfluenzale giapponese che impazza in Rete come anti-Covid per casi non gravi?
«La speranza è l' ultima a morire, ma non mi risulta siano stati condotti trials clinici che ne dimostrino l' efficacia. L' 80% delle persone infettate guarisce da se. Anche senza Avigan».
2 – LE ARMI TECNOLOGICHE PER FERMARE IL CONTAGIO
Milena Gabanelli e Fabio Savelli per “il Corriere della Sera”
Perché ora che dovremmo usare tutta la tecnologia che abbiamo non lo stiamo facendo? L' ordine, per tutte quelle persone che non svolgono un' attività cruciale a mantenere in piedi il Paese, è di stare in casa. Una regola che in troppi violano, perché stiamo ancora combattendo con le armi del Novecento.
Per vincere la sfida a questo virus subdolo bisogna partire dalle indicazioni dell' Organizzazione mondiale della Sanità: «Trova il contagiato, isolalo, testalo, tratta ogni caso e traccia ogni contatto». Per fare questo rapidamente le Autorità possono chiedere agli operatori mobili di mettere a disposizione i dati in loro possesso, e tecnologie efficienti per controllare il rispetto del distanziamento sociale su larga scala, con risparmio di risorse umane delle forze dell' ordine, e canali di comunicazione con i cittadini.
Tutti i cellulari sono «agganciati» alle celle. La rete, per essere gestita, deve sapere quanti sono attaccati a quali celle e «chi» è attaccato «dove» (altrimenti le chiamate e i dati non potrebbero arrivare e partire). Quindi in aggregato gli operatori telefonici conoscono la densità per area e gli spostamenti.
Dati che vengono già conservati per un lungo periodo in caso l' autorità giudiziaria ne richieda l' utilizzo, vuol dire che è possibile ricostruire velocemente i contatti di ogni singolo contagiato nelle due settimane precedenti. In aggiunta molte applicazioni - come Facebook, Google maps, Mytaxi, Uber, Find-my-phone, Deliveroo - usano il Gps degli smartphone per dare la localizzazione del telefono, autorizzata dal possessore nelle condizioni iniziali. Questa localizzazione è molto precisa (e difatti Uber ti prende all' angolo, e Deliveroo ti legge l' indirizzo di casa) e permette comunicazioni mirate geograficamente.
1) Individuati i casi di nuovi contagiati, rintracciare i contatti dei 15 giorni precedenti e testarli per interrompere la catena di contagio. 2) Sapere chi si sposta dal luogo di residenza, e dove va rispetto alle concentrazioni di contagiati è l' essenziale fotografia di partenza quando si stabiliscono blocchi alla mobilità. 3) Installare una app che individua «chi» e «dove». Per esempio se risiedi a Milano quartiere Lorenteggio, puoi vedere che al quartiere Sempione ci sono molti casi dichiarati. 4) Mantenere una fotografia «autodichiarata» della localizzazione dei sintomatici non testati aggiornata in tempo reale. 5) Assicurarsi che i contagiati in quarantena non si muovano (si possono metter sotto tracciamento e far partire un allarme se il telefono si muove). 6) Istruire le aziende che hanno lavoratori essenziali a consegnare un coupon elettronico che li autorizza a uscire (origine-destinazione dichiarati dall' azienda) e può esser verificato dalle autorità di polizia mostrando il telefono (senza autocertificazioni). 7) Distribuire il flusso nei trasporti pubblici e supermercati su diverse fasce orarie attraverso sms con ora dedicata, indicando a gruppi di residenti predefiniti le ore a loro riservate, in modo da evitare affollamenti.
Dare priorità agli anziani, mantenendo nelle ore dedicate a loro una minore densità.
Funzionalità che saranno importanti anche dopo la fase acuta, quando si dovranno riprendere gradualmente le attività e partiranno anche nuove onde di contagio che andranno rapidissimamente fermate.
In Corea del Sud alcune di queste applicazioni sono in funzione. I numeri di Seul ci dicono che imponendo una quarantena collettiva sin da subito, e l' utilizzo dei dati degli operatori mobili, le autorità sono riuscite ad arrestare la curva epidemica in poco meno di un mese.
L' effetto è studiato dall' Oms come caso-scuola: il 26 febbraio a distanza di due settimane dall' adozione della app «Corona 100m» si è verificato il picco (800 contagi al giorno), esattamente il tempo di incubazione del virus. Per poi declinare fino ai circa 80 di questi giorni. Negli Stati Uniti cinque giorni fa si è tenuta una riunione ai massimi livelli alla Casa Bianca. Il presidente Donald Trump ha accolto i vertici di Google e Facebook per chiedere la loro disponibilità. In un documento, già sul tavolo del governo e dell' Istituto superiore di Sanità, un gruppo di economisti e scienziati dei dati, tra cui Carlo Alberto Carnevale Maffè della Bocconi ed Alfonso Fuggetta del Politecnico di Milano, ha proposto di replicare il modello Corea.
Il team di specialisti di SoftMining, una spin-off dell' Università di Salerno, ha sviluppato un' app denominata «SM_Covid19» in grado di valutare il rischio di trasmissione del virus attraverso il monitoraggio di chiunque sia positivo. Gli ospedali potrebbero così leggere i dati di rischio e aggiornare lo stato di una persona (negativo o positivo al test). Se risulta positiva al test, il rischio di ogni altra persona con la quale questa sia venuta in contatto viene aggiornato automaticamente.
Al lavoro c' è una squadra Covid-19 composta da personale sanitario e tecnico, che adotta un algoritmo procedurale per l' individuazione di casi sospetti. Vengono sottoposti a screening coloro che sono domiciliati o hanno soggiornato a lungo nelle zone rosse; i familiari dei casi sospetti o confermati; chi ha avuto rapporti stretti con pazienti ricoverati provenienti dalle zone rosse o dalla Cina. Il team alle dipendenze della Protezione civile, in base alle condizioni cliniche, stabilisce la necessità di ricovero ospedaliero o di test per Sars-CoV-2 e isolamento in caso di positività.
Non è considerata la platea degli asintomatici, che possono continuare ad andare al lavoro (per esempio tutte le categorie che stanno garantendo i servizi essenziali), o i sintomatici lievi, ai quali viene solo consigliato di stare a casa. Potrebbero essere decine di migliaia e infettare a loro insaputa. Molti laboratori privati di diagnostica sono già attrezzati per coprirne migliaia alla settimana, ma le indicazioni del ministero della Salute predispongono il tampone solo per i casi sintomatici che necessitano di ricovero, e devono essere eseguiti solo dai laboratori accreditati, uno per regione. Da ieri potranno identificarne di aggiuntivi. Il nuovo test diagnostico dell' italiana Diasorin, che ridurrà il processo di analisi a un' ora (oggi la media è di sei) è pronto per andare in commercio, ma verrà consegnato solo ai laboratori ospedalieri.
Quindi serve un maggior numero di test, una capillare tracciatura dei contatti, e gestione in sicurezza dei flussi. Ci vuole la volontà politica per mettere a terra un progetto d' urto, andando in deroga al diritto della privacy per particolari categorie di dati (la Ue lo ha già concesso); e velocità di decisione. Basterebbe un decreto del governo e un commissario che assuma la responsabilità di una gestione anonima dei dati, e della loro distruzione quando l' incubo sarà finito.
Dice Vittorio Colao, ex Ceo di Vodafone, oggi consigliere dell' americana Verizon: «Nessuno di noi si preoccupa di dare la propria localizzazione per usare mappe digitali, prendere un taxi o ordinare cibo: non ho dubbi che in un momento di grande rischio per la salute i cittadini saranno disposti ad accettare che i loro dati siano usati per rendere le loro comunità più sicure e immuni. In Europa dobbiamo usare anche la tecnologia delle reti mobili per limitare al massimo i rischi delle persone e assicurare il rispetto delle misure di protezione».