“I RAPPORTI CHE RENATO DE PEDIS COLTIVAVA CON IL VATICANO ERANO SOLIDI, DI PRIMO LIVELLO” - PARLA L'EX BOSS DELLA BANDA DELLA MAGLIANA, MAURIZIO ABBATINO: “SUL CASO DI EMANUELA ORLANDI ORA DOVREBBE PARLARE IL VATICANO...A FINE ANNI SETTANTA, ORGANIZZAMMO L'EVASIONE DI UN RAGAZZO DA UN CARCERE MINORILE. AVEVAMO POTUTO CONTARE SU UN AIUTO INTERNO. QUELLO DI AGOSTINO CASAROLI, FUTURO SEGRETARIO DI STATO IN VATICANO, CHE PRESTAVA SERVIZIO DENTRO IL PENITENZIARIO. DE PEDIS, SEMPRE SU INTERESSAMENTO DI CASAROLI, VENNE TRASFERITO IN UN'ALA MENO DURA DI REBIBBIA…”
Giuseppe Scarpa per “la Repubblica - Edizione Roma”
«Sul caso Orlandi ora dovrebbe dire la sua il Vaticano». A parlare è Maurizio Abbatino, fondatore della Banda della Magliana assieme a Franco Giuseppucci. Memoria storica della criminalità capitolina in Romanzo Criminale è il Freddo adesso dice la sua sui fatti di quegli anni. Il racconto parte dalla fine della Banda: «La frattura tra le due anime che la componevano fu insanabile».
Da un lato i «testaccini» guidati da Renatino De Pedis, dall'altro i «maglianesi» alla cui testa c'era proprio Abbatino. La contesa deflagra il 27 aprile del 1982, quando Danilo Abbruciati si presenta a Milano per uccidere il vice presidente del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone. A morire, però, sarà Abbruciati, ucciso da una guardia giurata. Abbatino e i suoi non erano stati informati del blitz. Un insulto per i «maglianesi», a quel punto pronti a fare la guerra agli ex amici «testaccini».
La Banda, insomma, era ai titoli di coda. Destinata a dissolversi con il suo carico di misteri insoluti. «Loro (i «testaccini», ndr) custodivano una serie di segreti che non condividevano con noi», spiega Abbatino. L'ex boss da anni ha scelto la strada della collaborazione con la giustizia, anche se oggi non gode più della protezione da parte dello Stato.
Uno dei segreti dei "testaccini" riguarda il rapimento di Emanuela Orlandi?
«Non ho informazioni di prima mano su questo. Quello che è a mia diretta conoscenza riguarda i rapporti che De Pedis coltivava con il Vaticano. Erano rapporti solidi, di primo livello. Li aveva ereditati da Franco Giuseppucci (assassinato il 13 settembre 1980, ndr). Sul caso Orlandi ora dovrebbe parlare il Vaticano».
Sta dicendo che eravate in contatto con la Santa Sede?
«Quando la Banda era unita, a fine anni Settanta, organizzammo l'evasione di un ragazzo dal carcere minorile di Casal del Marmo. In realtà ne evasero tre, tra cui Giuseppe Mastini (Johnny lo Zingaro, ndr). Ad ogni modo avevamo potuto contare su un aiuto interno. Quello di Agostino Casaroli futuro segretario di Stato in Vaticano».
Come venne organizzata la fuga?
«La organizzai io in prima persona. Giuseppucci mi mise in contatto con un sacerdote che prestava servizio dentro il penitenziario. Casaroli appunto. Lui mi fece entrare per parlare con il giovane che doveva evadere. Poi, mi pare, il giorno successivo ci fu la fuga a cui si aggiunsero gli altri due minorenni».
Poi cosa accadde?
«Anni dopo morì Giuseppucci e quel pacchetto di conoscenze finì a De Pedis. Casaroli tra la fine degli anni '70 e tutti gli anni '80 fu un uomo potentissimo in Vaticano»
Ci furono altri favori di cui benficiò la Banda?
«De Pedis, sempre su interessamento di Casaroli, venne trasferito in un'ala meno dura di Rebibbia. Comunque già nel 1982 i rapporti tra noi erano deteriorati. Noi stavamo studiando un piano per ucciderli. Oltre al caso di Abbrucciati i "testaccini" non ci avevano detto di essere in rapporti con Cosa Nostra per il rifornimento della droga. Noi (quelli della Magliana, ndr) avevamo scelto la camorra di Cutolo».
Proprio in quel periodo venne rapita Emanuela Orlandi. Per Sabrina Minardi, allora amante di De Pedis, l'esecutore materiale fu Renatino. Mente?
«Secondo me non del tutto. O meglio mischia cose vere e cose false. Furono, comunque, anni folli».
A cosa si riferisce?
«Durante la detenzione succedeva di tutto. C'era un dirigente medico di Rebibbia che scriveva tutte le cartelle cliniche false per farci ricoverare - detenere nel reparto infermiera. Era un reparto più confortevole rispetto alla detenzione ordinaria, ma si trovavano solo detenuti importanti che non avevano nessun problema fisico. Mi ricordo che ci trovai Mehmet Ali Aca e in quel reparto c'erano tutti tranne quelli in cui ne avevano bisogno».