“ROMOLO COME SCARFACE”, COSÌ GIUSEPPE DI SILVIO, DETTO ROMOLO, COMANDAVA A LATINA – ANCHE DAL CARCERE NON HA MAI SMESSO DI IMPARTIRE ORDINI: “DOVETE TENERE LA CITTÀ IN MANO”. AL FIGLIO: “LE ARMI LE DEVI TOCCARE SOLO QUANDO CAPISCI CHE LA PERSONA STA VENENDO PER UCCIDERTI!” – L’INCHIESTA CHE HA PORTATO ALL’ARRESTO DI 33 ARRESTI ESPONENTI DEL CLAN DI SILVIO E LO SPACCATO DEL POTERE ROM SUL LITORALE...

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VITTORIO BUONGIORNO e Laura Pesino per il Messaggero

 

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I pentiti che lo ricordano quando era libero hanno raccontato che riceveva i suoi affiliati seduto su una sedia con lo schienale altissimo. Come quella di Scarface. Da allora sono passati molti anni e soprattutto una condanna per omicidio che sta scontando nel carcere di Rebibbia a Roma.

 

Ma il potere di Giuseppe Romolo Di Silvio sembra intatto. Lo ha rivelato l'ennesima inchiesta della Direzione distrettuale Antimafia di Roma che al termine delle indagini delle Squadre Mobili di Latina e della Capitale con il supporto del Servizio centrale operativo della Polizia ha portato ieri mattina all'arresto di 33 esponenti del clan Di Silvio, l'organizzazione criminale autoctona di Latina che già più sentenze passate in giudicato hanno definito mafiosa.

 

IL CAPO Romolo ne viene fuori come leader in grado di dirigere e controllare ogni azione criminale anche da dietro le sbarre, un vero capo nel pieno esercizio delle sue funzioni, che i lunghi anni di detenzione non hanno mai fiaccato. Classe '66, è lo zingaro anziano che ha partecipato alla guerra criminale che ha sconvolto Latina nel 2010 e che gli è costata 25 anni di reclusione per l'omicidio di Fabio Buonamano.

 

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Ma lui, dal carcere di Rebibbia non ha mai smesso di impartire ordini, prendere decisioni, organizzare il suo gruppo e gestire gli affari di famiglia attraverso i figli e il suo braccio operativo sul territorio, il genero Fabio Di Stefano, il Siciliano, di cui si fidava più di tutti. Un imprimatur sottolineato da quelle poltrone di pelle bianca con gli stemmi d'oro che gli agenti si sono trovati davanti facendo irruzione nella villetta che aveva occupato abusivamente, per arrestarlo. Un gruppo che negli anni a Latina ha continuato ad operare attraverso estorsioni, spaccio di droga, intimidazioni.

 

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Le operazioni Caronte, Dont' Touch e Alba Pontina sembravano aver sgominato i vertici del clan, ma ogni volta c'è sempre stato un Di Silvio a rimpiazzare gli altri. E poi c'era lui. Romolo, il vero capo che ha continuato ad esercitare il potere, sfruttando l'omertà e la paura delle vittime. Commercianti, imprenditori, ristoratori, anche personaggi conosciuti in questi anni hanno chinato la testa, pagato in silenzio. Cene, catering, vestiti, scarpe. Prendevano e non pagavano. Gli bastava fare il nome: «Siamo i Di Silvio di Latina».

 

LA COCAINA E poi c'era lo spaccio di droga. Un fiume. Il numero di episodi ricostruiti fa impressione. Un solo professionista si rifornisce di cocaina per 84 volte nel periodo in cui lo spacciatore viene monitorato. Decine di episodi. E chi non paga viene pestato a sangue e ferito a coltellate. E decide tutto lui. Romolo. Intercettato più volte nella sala verde del carcere di Rebibbia mentre spiega ai familiari come fare affari e gestire il poter. «Dovete tenere la città in mano» dice severo. E le armi «le devi toccare - dice al figlio - solo quando capisci che la persona sta venendo per ucciderti!».

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Le accuse sono di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi. Tutti reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di agevolazione mafiosa.

 

«Con questa operazione si riavvolge il nastro spiega il vicequestore Giuseppe Pontecorvo, dirigente della squadra mobile di Latina Giuseppe Romolo è un personaggio di spessore criminale elevato e pienamente in funzione come dimostrano le nostre indagini». «Si tratta dell'ennesima operazione e dell'ennesimo colpo - ha aggiunto il questore di Latina Michele Spina - inferto a questo gruppo mafioso con l'obiettivo di disarticolare il potere esercitato da questa famiglia sul territorio pontino».

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