“E’ STATO RAPITO E UCCISO DAI RUSSI” - LA VERITÀ DELLA MOGLIE SULLA MORTE DEL REGISTA LITUANO MANTAS KVEDARAVICIUS A MARIUPOL - È STATO FATTO PRIGIONIERO DALLE TRUPPE DI MOSCA CHE POI GLI HANNO SPARATO. HANNO GETTATO IL SUO CORPO PER STRADA. LA MOGLIE, RISCHIANDO LA VITA, HA PORTATO IL CADAVERE FUORI DALLA CITTÀ BLOCCATA E POI IN LITUANIA.
-Marta Serafini per il Corriere della Sera
«Non ha mai avuto paura di niente. Andava sempre dove sentiva di dover andare, e ora l'abbiamo perso». Quando scoppia la guerra, il regista lituano Mantas Kvedaravicius, 45 anni, si trova in Uganda.
Ma non può restare lontano da Mariupol. Lì ha girato Mariupolis , documentario del 2016, nel quale ha raccontato la vita degli ucraini dopo il conflitto del 2014 tra giornate apparentemente tranquille con la minaccia perenne e costante del conflitto tra separatisti filorussi e nazionalisti. E lì, nella città che ancora non era martire, aveva incontrato persone che, come spesso capita a chi fa il suo lavoro, gli erano rimaste care.
Così il 24 di febbraio Kvedaravicius si attacca al computer. Trovare un modo per arrivare in Ucraina non è facile, i voli cancellati, i cieli chiusi. Ma lui ce la fa. «Era molto tenace. È andato prima a Copenaghen, poi a Francoforte e a Kiev. Il mistero più grande è come sia entrato a Mariupol attraverso tutti quei cordoni russi», ha raccontato il suo mentore e collega Audrius Stonys, ricordando come Kvedaravicius lo avesse contattato all'inizio della sua carriera di regista, per consigli sul materiale che aveva girato in Cecenia. Ma non solo.
Kvedaravius ha vissuto nel Caucaso settentrionale dal 2007 al 2009, documentando sotto copertura l'impatto della cultura dei rapimenti sostenuti dal Cremlino durante la cosiddetta operazione antiterrorismo russa. In questo periodo, tra i suoi contatti più stretti, la giornalista russa Natalia Estemirova, rapita davanti al suo appartamento di Grozny nell'estate del 2009 e poi uccisa a colpi di arma da fuoco. Sa bene dunque come passare un blocco e come aggirare un ostacolo.
Avanti veloce di 13 anni. Il 3 aprile scorso arriva la notizia che Kvedaravicius è stato ucciso il giorno prima a Mariupol. A confermarla, su Twitter, l'ambasciatrice della Lituania negli Usa, Audra Plepyte. «Ucciso da un missile che ha colpito la sua auto. È morto prima dell'arrivo in ospedale, dicono le prime agenzie».
Poi ieri i nuovi orribili dettagli diffusi dalla commissaria per i diritti umani del Parlamento ucraino Lyudmyla Denisova su Telegram. «È stato fatto prigioniero dai razzisti, che poi gli hanno sparato. Gli occupanti russi hanno gettato il corpo del regista nella strada. La moglie, rischiando la vita, ha portato il corpo fuori dalla città bloccata e poi in Lituania. La vera causa della morte non è stata annunciata prima che lei si fosse messa in sicurezza», ha spiegato Denisova. Storie, drammi, e lotte per dare una voce a chi voce non ha, che hanno portato a 7 i giornalisti uccisi in Ucraina dall'inizio del conflitto e a 11 i feriti.
La commissaria ha citato anche Eugene Ball giornalista, scrittore, volontario e membro dell'Unione nazionale dei giornalisti dell'Ucraina Yevhen Bal «morto per le azioni degli occupanti russi»: l'uomo di 78 anni il 18 marzo «è stato sequestrato dall'esercito russo nella sua casa a Melekino vicino a Mariupol. Il motivo della detenzione è il presunto possesso di foto "compromettenti" con l'esercito ucraino. È stato rilasciato tre giorni dopo con gravi percosse. Il 2 aprile è morto». «La sua morte - scrive ancora Denisova - è il risultato delle torture sul giornalista da parte degli occupanti russi».