“E SE FOSSIMO RIMASTI LÌ? SE QUELLA SERA AVESSIMO FATTO ALTRO?” - LE CONFIDENZE DI PIETRO GENOVESE ALL’AMICO DOPO LA CONDANNA A 8 ANNI PER L'INVESTIMENTO MORTALE DI GAIA E CAMILLA. IL RAGAZZO SI ASPETTAVA UNA CONDANNA PIU’ LEGGERA MA SECONDO IL GIUDICE L'INCIDENTE FU UNA SUA ESCLUSIVA RESPONSABILITÀ, SENZA CONCORSI DI COLPA DELLE RAGAZZE - LE LETTERE DEL PADRE, IL REGISTA PAOLO GENOVESE, ALLE FAMIGLIE DELLE VITTIME – “LA SENTENZA È GIUSTA”, HANNO RIPETUTO ANCHE IERI LE MAMME DELLE DUE RAGAZZE
-Fulvio Fiano Giulio De Santis per "il Corriere della Sera"
La solitudine di Pietro Genovese non si misura col numero di persone che gli sono state vicino in questo anno. È un sentimento più profondo, di chi sa che per il resto della vita dovrà fare i conti con un' esperienza che va al di là della condanna a otto anni per l' investimento mortale delle 16enni Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli.
È uno stato d' animoespresso agli amici che l' hanno chiamato alla vigilia della sentenza: «Nessuno può capire quello che sento, sono solo di fronte a questa cosa», ha confidato a Davide Acampora, il ragazzo che era in macchina con lui quella sera di un anno fa, la notte tra il 21 e il 22 dicembre. La festa di un amico tornato dall' Erasmus, poi al volante nonostante un tasso alcolemico tre volte il consentito e forse qualche spinello (Genovese risultò positivo alla cannabis ma l' esame non permette di stabilire a quando risale l' assunzione).
A 90 chilometri orari con la sua Renault Koleos travolse le due ragazze, in un tratto dove il limite era a 50. Da poco aveva riavuto la patente. «E se fossimo rimasti lì? - ha provato a ragionare con l' amico - Se quella sera avessimo fatto altro?». Di certo si aspettava una condanna più leggera, anche ascoltando la richiesta di cinque anni fatta dalla Procura. Chiuso nel suo silenzio, ieri ha preferito non rispondere a messaggi e chiamate.
La frase che continua a ripetere, da quando nell' aula bunker ha ascoltato il giudice Gaspare Sturzo leggere la pena con voce commossa, è una specie di esorcismo della paura: «Che mi succede adesso?».
Secondo il giudice l' incidente fu una sua esclusiva responsabilità, senza concorsi di colpa delle ragazze o di fattori esterni. I suoi avvocati hanno già annunciato ricorso in appello (le motivazioni della sentenza arriveranno a febbraio) e sono sicuri che la lettura data in primo grado non rispecchi quanto emerso dall' istruttoria:
«Non c' è stata nessuna gara di sorpassi e respingiamo ricostruzioni fantasiose che non hanno trovato alcuno spazio nei vari passaggi dell' inchiesta e nel processo», dicono gli avvocati Gianluca Tognozzi e Franco Coppi in risposta a quanto detto fuori da Rebibbia da Giulia Bongiorno, legale di parte civile.
Dalla famiglia Genovese filtra invece il fastidio per le allusioni riguardanti la loro mancata presenza in aula.
Una presenza non consentita dalla legge, trattandosi di una camera di consiglio in un processo già a porte chiuse (dunque ammessi solo imputato, avvocati e parti civili come i genitori delle ragazze) e dove le norme anti-Covid non avrebbero concesso eccezioni.
Fin dal primo momento il padre del ragazzo, il regista Paolo Genovese, ha scelto un profilo bassissimo, affidandosi ad alcune lettere, rimaste riservate, per stabilire un contatto con le famiglie delle vittime. E mai ha voluto sovrapporre la propria popolarità alla vicenda giudiziaria, sia per mettere il ragazzo di fronte alle sue responsabilità, sia per non attirare potenziali polemiche in una vicenda che ha già richiamato grande attenzione mediatica.
Da un anno Pietro Genovese è ai domiciliari nella Capitale dove è rimasto anche quando il pm, a sua tutela, aveva dato l' assenso a un periodo lontano da Roma subito dopo l' arresto. Il 22 maggio, sollecitati dalle chiamate dei vicini per la musica alta, i carabinieri lo trovarono in compagnia (consentita) di amici.
«La sentenza è giusta ma dispiace per lui», hanno ripetuto anche ieri le mamme delle due ragazze.