“SIAMO AL PUNTO PIÙ PERICOLOSO DI QUESTA GUERRA. PERCHÉ DA QUESTO MOMENTO PUTIN È UN UOMO PERDUTO” – DOMENICO QUIRICO: “NESSUNA AUTOCRAZIA NELLA STORIA È MAI SOPRAVVISSUTA A UNA SCONFITTA. IN QUESTI CASI PROPAGANDA E DISINFORMAZIONE FUNZIONANO FINO A UN CERTO PUNTO. LA SCONFITTA PERFORA LA DURA CROSTA DELLE BUGIE E DELLA INDIFFERENZA, PERFINO DELLA PAURA” – “QUELLO CHE FINO A IERI ERA DETERRENZA, L'ATOMICA E L'APOCALISSE, DIVENTA DI COLPO UN'ARMA COME LE ALTRE, L'UNICO MODO PER SFUGGIRE AL DESTINO DI VINTO. I VIVI RISERVANO SORPRESE. CON I MORTI SI STA TRANQUILLI…”
Domenico Quirico per "La Stampa"
La ruota della prima guerra russo-americana ha ripreso a girare, dopo esser rimasta per un poco apparentemente immota. Ci stavamo quasi abituando a tutto.
Senza scomodare Caporetto, ottanta, novanta chilometri di avanzata in due giorni significa che il fronte russo nel Donbass ha ceduto: di schianto. Il collage di tecnologia bellica made in Usa, dalle armi al controllo del campo di battaglia, e di fanterie ucraine spronate da un nazionalismo novecentesco, sembrano in grado di determinare la sconfitta putiniana.
Come porzioni di sangue in una vena sempre nuovi convogli vengono sospinti verso Est guidati dagli aerei spia americani. E rischiano di confondersi con la baraonda di folle filorusse spaventate ed esauste in fuga con i loro involti e valigie verso Belgorod. Questo significa che siamo giunti non all'imprevedibile lieto fine ma semmai al punto più pericoloso di questa guerra. Perché da questo momento Putin è un uomo perduto.
Nessuna autocrazia nella Storia è mai sopravvissuta a una sconfitta. E questo è ancor più vero per il sistema putiniano, regolatore di ogni volontà, soffocatore di ogni differenza piramidale, fosco, senza nessuna luce di speranza, che si è retto per ventidue anni soprattutto su una promessa di potenza, anzi di superpotenza riparatrice dei torti subiti ai tempi della novecentesca catastrofe dell'Unione sovietica.
Poiché non ha reso i russi più ricchi né ha creato delle classi riconoscenti salvo una oligarchia di funzionari a cui ha delegato l'amministrazione della cleptocrazia e (si pensava) l'esercito e la sicurezza, la scoperta che quella vantata potenza ha fallito significa la rottura del patto sottoscritto al debutto del nuovo millennio con 150 milioni di russi.
Pensate: da un lato questo ometto in cui nulla è vistoso eccetto forse la sua mancanza di vistosità. E dall'altro 150 milioni di russi derubati di tutto anche delle bugie, umiliati, offesi, i miseria. Ora la promessa si insabbia. Nelle autocrazie tra satrapo e sudditi non sono consentiti reciproci perdoni. Propaganda e disinformazione funzionano in questi casi fino a un certo punto.
Inutile lanciare dal Cremlino ordini come saette e sguardi furiosi tutto intorno. La sconfitta perfora la dura crosta delle bugie e della indifferenza, perfino della paura. I russi vivono e soffrono il tracollo del loro esercito e dello Stato che l'aveva creato come una malattia mortale. Kharkiv perduta, gli ucraini a cinquanta chilometri dal confine, la Crimea quasi assediata: molti certo continuano a credere ma già cominciano anche a non credere. Le altisonanti promesse e spacconate di questi duecento giorni, le maldestre fandonie della propaganda che prima sembravano un po' sospette ora appaiono disgustose, un inganno criminale. È l'ora dell'agonizzante disinganno.
Il dittatore è dunque solo di fronte alla concreta possibilità di essere sconfitto, sente la stretta angosciosa della irrimediabilità del proprio stato di vinto. In fondo anche essere considerato una enigmatica personificazione dell'inumano come ha azzardato qualche approssimativo in cerca di iperboli può essere lusinghiero. Ma un vinto è solo umiliazione. E per questo che il pericolo non è mai stato così grande. Questa non è una guerra tradizionale, è una guerra tra potenze atomiche.
Fino ad alcuni giorni fa le condizioni della vittoria per Putin ancora esistevano, anche se le sue truppe non avanzavano più neppure al rallentatore e i bombardamenti sulle città ucraine sembravano una scalcinata confessione di impotente vendetta che una strategia militare. Ma fino a allora a Putin poteva bastare questa condizione di stallo, un piccolo capitale di territori occupati a caro prezzo per affermare che la Russia aveva resistito all'attacco non degli ucraini ma dei quaranta Paesi più ricchi del mondo, aveva respinto "l'imperialismo'". Ma ora? Quella condizione di vittoria non esiste più.
Impossibile chiedere un nuovo assegno in bianco che copra crimini ed errori. E allora quello che fino a ieri era deterrenza, ovvero una possibilità evocata ma in fondo astratta, l'Atomica e l'Apocalisse, diventa di colpo arma, un'arma come le altre, l'unico modo per rovesciare tutto e sfuggire al vergognoso destino di vinto. Che cosa è una possibilità anche se mostruosa che non si incarna? Niente. E i vivi riservano sempre sorprese. Con i morti si sta tranquilli. -