Rachele Grandinetti per il Messaggero.it
Si è concluso il processo iniziato nel 2013 sui diritti d’autore di alcuni brani di Michael Jackson e il tribunale di Los Angeles ha stabilito che il fondo che gestisce il patrimonio del Re del pop deve a Quincy Jones, storico produttore della star, 9,4 milioni di dollari in royalty per successi del calibro di “Billie Jean” e “Thriller”. I legali di Jones avevano chiesto 30 milioni mentre la fondazione si era detta disposta a pagare 392mila dollari. Al centro della contesa due contratti firmati da Michael e da Jones nel 1978 e nel 1985 secondo cui al Re sarebbe spettato il ricavo netto di eventuali produzioni video dei suoi brani.
La fondazione, però, ha sempre sostenuto che per “videoshow” si intendevano i videoclip delle canzoni e non film, documentari o altre messe in scena. Ed è proprio a questo che ha fatto appello il produttore rivendicando di possedere i diritti dei progetti realizzati dopo la morte della star, come le musiche usate dal Cirque du Solei o per "This Is It", il docu-film che ha raccontato l’ultima impresa mai portata a termine di Michael, durante i mesi in cui stava montando il tour da portare in giro per il mondo.
«Io, insieme al team che ho costruito con Michael, ho messo tutto me stesso in quegli album. Sono sempre stato orgoglioso, sono passati 30 anni e quelle canzoni sono ancora ascoltate in tutto il mondo. Questo processo non è mai stato su Michael, il vero tema era proteggere l’integrità del nostro lavoro, l’eredità di quello che abbiamo fatto. Certo, non ho ottenuto tutto quello che volevo, ma sono grato alla giuria per aver scelto così. Non è una mia vittoria, ma di tutti gli artisti», ha detto Jones a “Variety”. Ma gli avvocati di Michael Jackson continuano a parlare di risarcimento «immeritato». Who’s bad?