“TUTTI QUESTI CHE ORA CRITICANO QUANTO È STATO FATTO SEMBRANO PATETICI” - AGOSTINO MIOZZO SI INCAZZA: “ABBIAMO DOVUTO PRENDERE DECISIONI DRAMMATICHE, PRATICAMENTE AL BUIO. CRITICARE A FUOCHI SPENTI LE NOSTRE SCELTE È FACILE. IN QUELLA FASE NON C'ERANO CERTEZZE NEPPURE SUI TEMPI DI INCUBAZIONE DELL'INFEZIONE. LA GESTIONE DI QUALSIASI EMERGENZA È ZEPPA DI ERRORI, MA ALL’INIZIO NON SON STATI FATTI ERRORI…”
-Margherita De Bac per il "Corriere della Sera"
Agostino Miozzo, ha letto le parole del suo collega Giuseppe Remuzzi, che in un'intervista al «Corriere» si auto-colpevolizza assieme alla comunità scientifica? Quali errori avete commesso durante la pandemia?
«La gestione di qualsiasi emergenza è zeppa di errori. Pensiamo al contesto in cui ci siamo mossi: abbiamo dovuto prendere decisioni drammatiche, praticamente al buio. Senza informazioni, senza elementi di certezza, senza una guida da parte degli organismi internazionali».
Stenta a contenere l'alterazione della voce l'ex coordinatore del Comitato tecnico-scientifico, nominato il 5 febbraio del 2020, poco prima che a Codogno si scoprisse il «paziente Uno» e quindi che il Covid era già presente nel Nord Italia.
«Ci siamo riuniti per la prima volta il 7 febbraio, da allora fino al 12 marzo del 2021 siamo stati convocati altre 164 volte. Questo il clima in cui si lavorava nella sede della Protezione civile. Poi il governo Draghi ha rinominato un nuovo Cts fino al 4 febbraio 2022. In tutto 62 riunioni, la metà di noi».
Perché questo confronto?
«Voglio solo dire quanto in quella fase le scelte del governo dipendevano da valutazioni scientifiche mentre dopo sembra aver prevalso una logica più politica».
Avete tardato a comprendere l'entità del pericolo?
«Nei primi giorni del 2020 le uniche informazioni arrivavano dalla Cina. Fino a metà febbraio negli Stati Uniti e in Europa si sapeva dell'esistenza di una malattia grave nella regione di Wuhan. Il 20 dello stesso mese, nel mondo occidentale, i casi erano 924 e 585 riguardavano il focolaio della Diamond Princess, la nave bloccata al largo di Yokohama. Ricordo che solo l'11 marzo l'Oms ha annunciato ufficialmente l'avvio della pandemia».
Possibile mancasse la percezione dell'imminente catastrofe?
«Nessun organismo extra nazionale, a cominciare dall'Ue, ha condiviso comunicazioni di allarme fornendo istruzioni di comportamento. Malgrado ciò, l'Italia è stato il primo Paese a chiudere gli scali ai voli dalla Cina nel tentativo di rallentare la possibile diffusione del virus, purtroppo nessun altro governo europeo ci ha seguiti. Tutti hanno sottovalutato».
Voi per primi?
«Con il senno di poi si è capito che chiudere gli aeroporti era stato inutile perché il virus era comunque sbarcato. Criticare a fuochi spenti le nostre scelte è facile. In quella fase non c'erano certezze neppure sui tempi di incubazione dell'infezione, si oscillava tra due e 14 giorni».
Se tornasse indietro?
«La partita fra Atalanta e Valencia del 19 febbraio ha agito da incubatore del virus, molti spettatori venivano dalla zona dove si stava diffondendo. Remuzzi ha ammesso che era tra loro. Io aggiungo che non ha colpe per essere andato allo stadio, non c'erano elementi per evitarlo».
E stata dura blindare l'Italia?
«Durissima. Nessuno ha fatto pressioni dirette su di noi ma ricordo quante riflessioni di natura politica ed economica ci venivano riportate.
Tanti rumors. Nessuno sapeva quali sarebbero state le conseguenze del lockdown. Esitavamo, cercavamo un equilibrio. Alla fine ha vinto il virus: i casi galoppavano e bisognava fermarlo».
Avete tardato a chiudere?
«Certo se avessimo anticipato al 20 febbraio la diffusione sarebbe stata diversa. Mancavano i presupposti per deciderlo. Perché avremmo dovuto dare queste indicazioni?
A me tutti questi che adesso criticano quanto è stato fatto sembrano patetici. Bravissimi, da fuori. Come quando gioca la Nazionale di calcio e tutti credono di avere la formazione vincente».
Quali ricordi bruciano?
«Vietare l'ingresso dei parenti nelle Rsa, immaginare gli anziani lasciati soli, impedire i funerali. Rispondevo al cellulare per ascoltare la gente piangere. Sindaci, colonnelli dei carabinieri, medici, direttori di ospedale. Cercavamo soluzioni senza averne perché mancavano mascherine, ossigeno, tutto. E gli avventurieri del commercio imperversavano».