“VIDI BERLUSCONI PER L’ULTIMA VOLTA, IL 3 MARZO 2023. LO VIDI SEGNATO DALLA SOFFERENZA” - PAOLO GUZZANTI RACCONTA IL CAV SEGRETO NEL LIBRO “SILVIO - LA VITA VERA DI BERLUSCONI”: “CHIACCHIERAMMO PER UN PO’ E DISSE DI SENTIRSI MOLTO MALE, MA NON ACCENNÒ ALLA MORTE. OCCHIAIE PROFONDE, UN MALUMORE CHE LO DISTRAEVA E SCATTI DI INSOFFERENZA QUANDO SI VENIVA ALLA GUERRA IN UCRAINA. SENZA SPECIFICARE A CHI SI RIFERISSE, DISSE: “SONO PAZZI A CREDERE DI POTER CONTENERE PUTIN INVIANDO ARMI AGLI UCRAINI. LORO NON SANNO CHE VLADIMIR NON SI POTRÀ ARRENDERE MAI, E CHE SE LO COSTRINGERANNO AD ARRENDERSI LUI SPINGERÀ UN TASTO ROSSO E SARÀ LA FINE DEL MONDO…”


Estratto del libro “Silvio - La vita vera di Berlusconi” di Paolo Guzzanti

 

PAOLO GUZZANTI

L’AUTUNNO DEL CAVALIERE

Inizio a scrivere alle nove e trentacinque di lunedì 12 giugno 2023, appena saputo della morte di Silvio Berlusconi. Una morte che, per oltre tre mesi, ha respinto recalcitrando e apparendo in un paio di video in cui si nota drammaticamente lo sforzo fisico e il tentativo di nascondere la sofferenza di una respirazione compromessa: «Per voi mi sono messo per la prima volta dopo mesi in giacca e camicia».

 

Aveva passato una notte di torpore e all’alba si è svegliato, ha chiesto aiuto, ma il suo corpo non ne voleva più sapere. Un minuto dopo, tutto il mondo sapeva, tutti i politici e tutti i giornali e telegiornali commentavano l’uscita di scena di Silvio Berlusconi.

PAOLO GUZZANTI - SILVIO LA VITA VERA DI BERLUSCONI

 

L’avevo visto per l’ultima volta il 3 marzo 2023, nella sua villa di Arcore dove ero stato altre tre volte in trent’anni. La prima fu quando mi mostrò dalla finestra del suo salotto dei distinti signori che oscillavano in giardino con dei calici in mano. Mi fecero l’effetto di fenicotteri, ma erano illustri professori e politologi, oltre che giornalisti e parlamentari, che avevano scelto di giocare la sua partita.

 

Berlusconi aveva radunato un gruppo di persone di varia origine e molte qualità, fra cui il filosofo comunista Lucio Colletti e tanti altri. Sussurrò anche a me il segretissimo nome che aveva creato per il nuovo partito: Forza Italia. «Non è geniale?» Risposi con una smorfia abbozzando un vago sorriso. No, non mi sembrava geniale un partito che si chiamasse Forza Italia.

marta fascina silvio marina berlusconi

 

Ero snob e i fatti gli dettero ragione: quel nome da stadio e da tifoseria nazional-popolare ebbe un immediato e poi lunghissimo successo. I detrattori lo definirono «partito di plastica» e la sinistra in genere si dedicò con i suoi giornali a rendere ridicola, goffa, vagamente indecente quella formazione politica messa su in quattro e quattr’otto che diventò l’asse di una alleanza impensabile, impossibile, contro tutte le leggi della politica.

 

silvio berlusconi e marta fascina ascoltano il discorso di giorgia meloni

E che però funzionò benissimo, mettendo dalla stessa parte, senza collegarli direttamente, gli ex neofascisti di Gianfranco Fini, che aveva chiuso i battenti del Msi, con i separatisti della Lega Nord di Umberto Bossi: un partito sostenuto dal politologo Gianfranco Miglio, cultore dei seguaci di Max Weber, Carl Schmitt e del federalismo di Carlo Cattaneo, che voleva andarsene dall’Italia al grido di «Roma ladrona!», mandare al diavolo i terroni del Sud che sbafano le ricchezze prodotte dal laborioso Nord.

 

paolo guzzanti foto di bacco (2)

Ex fascisti e leghisti si odiavano a morte e Berlusconi organizzò un meccanismo di alleanze geniale che funzionava in un modo al Nord e in altro al Sud, con Forza Italia nel mezzo che faceva da catalizzatore. Forza Italia era nata nella mente di Berlusconi come erede dei grandi e piccoli partiti che avevano ricostruito l’Italia repubblicana e che erano stati spazzati via in pochi mesi da un’inchiesta giudiziaria dal nome “Mani pulite” che già esisteva sui fascicoli di molti procuratori americani come “Clean hands”, un progetto di ripristino della legalità contro la corruzione e la mafia, cui aveva partecipato anche Giovanni Falcone e negli Stati Uniti il procuratore Rudolph Giuliani, che poi sarà l’eroico sindaco di New York, colpita l’11 settembre del 2001 dagli attentati dei terroristi di al-Quaeda.

 

CRAXI BERLUSCONI

Quell’inchiesta iniziò il 17 febbraio del 1992, quando il pubblico ministero Antonio Di Pietro chiese e ottenne un ordine di cattura per l’ingegnere Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio. Nessuno poteva immaginare che da quell’arresto sarebbe seguita quel giorno la chiusura di tutti i partiti storici della Repubblica italiana, salvo quello comunista, che però cambiò nome, dal momento che si era dissolta l’Unione Sovietica.

 

Ma sparirono, dopo lunga agonia, la Democrazia cristiana, il Partito socialista di Bettino Craxi, che si andò a rifugiare e a morire in Tunisia, il Partito socialdemocratico e quello

silvio berlusconi e bettino craxi

liberale. La Repubblica era stata decapitata. Da allora molti pensarono e pensano che quella eliminazione di una intera classe politica che aveva governato per quasi quarant’anni non fosse casuale ma che dietro ci fosse, se non un complotto, almeno un piano politico: essendo finita (così allora si pensava) la Guerra fredda e il conseguente divieto nei Paesi della Nato di portare dei ministri comunisti al governo, la cosa più ragionevole pareva essere quella di favorire una vittoria elettorale dell’ex Pci trasformatosi in Pds.

 

silvio berlusconi marta fascina a monza

Non soltanto l’imprenditore Silvio Berlusconi, ma gran parte dell’imprenditoria italiana, entrò in allarme insieme a quella larga e maggioritaria parte del Paese che, senza essere di destra, non aveva mai visto di buon occhio una politica dirigista con la vocazione naturale della pressione fiscale.

 

Berlusconi si dette da fare con tutti i politici con cui era in confidenza per cercare una nuova alleanza capace di esprimere un governo che favorisse la produzione della ricchezza, anziché la sua confisca. Ma non ci riuscì. Era sulla cresta dell’onda, in quel momento, il democristiano Mario Segni, figlio del presidente della Repubblica Antonio Segni. Ma nella fase finale della vita della Democrazia cristiana prevaleva l’idea di mettere insieme una maggioranza di sinistra per un governo di sinistra.

 

Berlusconi Mentana Occhetto

Berlusconi si rendeva conto che la maggioranza degli italiani – come poi le urne confermarono – non era affatto di questa idea e soltanto quando dovette prendere atto che non ci sarebbe stata alcuna alternativa a un futuro governo guidato dagli stessi uomini e donne del Pci, prese la decisione di «scendere in campo», giocare la partita con chi ci stava, preparandosi a una guerra su due fronti.

 

paolo guzzanti 2

Il primo, quello di battere la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci, e dei suoi alleati della sinistra democristiana. Il secondo fronte sarebbe stato quello della compattezza della sua maggioranza, che infatti non fu mai raggiunta e mai consolidata e che gli dette molto filo da torcere nei suoi quattro governi. Per di più, l’inchiesta Mani pulite aveva scatenato nel Paese un gran sommovimento giustizialista e l’accusa feroce e generica secondo cui i politici sono tutti ladri, che poi darà spazio al movimento creato da Beppe Grillo.

 

Ma le televisioni e i giornali vicini a Berlusconi si abbandonarono all’opinione prevalente secondo cui «i partiti sono guidati da ladri». Berlusconi quindi decise che il suo nuovo partito, Forza Italia, non sarebbe stato un partito, ma un movimento, almeno finché non si fosse cicatrizzata la ferita inferta dalla magistratura.

 

berlusconi occhetto

Così nacque il nuovo soggetto politico concepito dal dinamicissimo imprenditore Berlusconi, un uomo che aveva lavorato come intrattenitore sulle navi da crociera, cantando e suonando le canzoni di Charles Trenet. Aveva cominciato come costruttore di Milano Due, poi era passato alle televisioni e alla finanza. Di colpo, o quasi, conquistò la maggioranza dei voti degli italiani ed entrò a Palazzo Chigi, nuovo protagonista assoluto della politica italiana.

 

È un protagonista – come si dice oggi – divisivo, nel senso che ha funzionato come il test di Rorschach, quello delle macchie d’inchiostro. Le macchie non significano nulla, ma chi le guarda può vedere ciò che affiora dalla sua mente. Da ciò che la gente vede nelle macchie, gli psicologi traggono informazioni sulle persone, non sulle macchie. Berlusconi è stato tutt’altro che una macchia d’inchiostro insignificante, ma la gente lo ha amato, odiato, disprezzato, perdonato, adorato sulla base di ciò che Berlusconi ha significato per ciascun italiano.

 

berlusconi putin

Per lui è stata recuperata la figura già nota dell’Arcitaliano, che più italiano di così non è possibile: le donne, il calcio, le barzellette scollacciate, l’ingegno, il colpo di testa e la letale convinzione secondo cui tutto sia perdonabile in nome della simpatia. Berlusconi è stato anche questo.

 

VLADIMIR LANCERÀ L’ATOMICA

Siamo rimasti amici fino all’ultimo, anche dopo il mio abbandono di Forza Italia, che mi costò ovviamente il seggio al Parlamento della Repubblica e, dopo tredici anni al Senato e alla Camera, mi ha riportato a vivere del mio vecchio lavoro artigiano. Scrivo cronache, alcuni libri e dipingo qualche quadro. D’altra parte, anche io come molti, ma non moltissimi, sono un buon testimone.

 

silvio berlusconi vladimir putin 1

Quando vidi Berlusconi per l’ultima volta, il 3 marzo di questo 2023, arrivai dalla Stazione Centrale di Milano, mi aprirono dalla portineria e due cagnetti mi corsero incontro abbaiando. In casa trovai Silvio Berlusconi e la sua amatissima Marta seduti su un divano e lo vidi segnato dalla sofferenza. Chiacchierammo per un po’ e disse di sentirsi molto male, ma non accennò alla morte. Occhiaie profonde, un malumore che lo distraeva e scatti di insofferenza quando si veniva alla guerra in Ucraina.

 

silvio berlusconi vladimir putin

«Questi sono pazzi», disse senza specificare a chi si riferisse, «sono pazzi completi a credere di poter contenere Vladimir Putin e insegnargli la buona educazione inviando sempre più armi agli ucraini. Loro non sanno che Vladimir non si potrà arrendere mai, e che se lo costringeranno ad arrendersi lui non alzerà le mani, ma spingerà un tasto rosso e sarà la fine del mondo: muoia Sansone con tutti i filistei».

 

Questa dichiarazione-dossier esplicita mi ha raggelato il sangue perché suppongo che Berlusconi conosca piuttosto bene il suo amico Vladimir. Ma non faccio in tempo a fargli una domanda perché lui, con un gesto vago e ampio del braccio destro, indica la vetrata e il fuori, il giardino, quel po’ di cielo che si ritaglia tra le mura. «Ho due alternative per il futuro. La prima è trasferirmi, armi e bagagli con la mia famiglia, in Australia, e metterci lì al sicuro. Oppure, guarda, vedi quella casetta? Lì potrei fare l’ingresso di un grande rifugio atomico in cui campare per anni. Ma la verità è che non abbiamo tempo né per trasferirci in Australia né per scavare un buco sottoterra».

 

putin berlusconi

La conversazione a questo punto si ingessò perché eravamo tornati alle ragioni della nostra antica rottura che avvenne nel 2008, quando Putin, o meglio l’armata russa, entrò in uno Stato sovrano che si chiama Georgia e cominciò a occuparlo. Io ero allora membro della Camera, dopo sette anni di Senato, e uscivo da un’esperienza terribile, passata per lo più inosservata – perché da qualche parte così fu deciso – in cui persi alcuni uomini che conoscevo e altri che non ho mai visto ma che furono uccisi in Russia per aver aiutato Alexander Litvinenko a fornire le informazioni disponibili sull’atteggiamento di Putin nei confronti dell’inchiesta del Parlamento italiano.

 

Fu allora che Berlusconi convocò nella sala del Mappamondo tutti i gruppi della sua maggioranza alla Camera e al Senato per riferirci sulle nuove iniziative del suo governo. Soltanto verso la fine disse parole che non dimenticherò mai e che mi spinsero ad andarmene. Disse: «Il mio amico Vladimir mi ha detto che quando avrà preso il presidente georgiano Saakashvili lo inchioderà per le palle contro un albero».

 

VLADIMIR PUTIN E SILVIO BERLUSCONI IN SARDEGNA NELL APRILE 2008

Io uscii dalla porta e, in quel partito, fui di fatto l’unico parlamentare italiano, sia di destra che di sinistra, a ribellarsi apertamente contro quella che mi sembrava un’oscena novità dopo la fine della Seconda guerra mondiale: e cioè che uno Stato sovrano con la bandiera e l’esercito con le uniformi oltrepassi la frontiera di un altro Stato sovrano limitrofo e lo invada per derubarlo del suo territorio e delle sue ricchezze.

 

Quando, il 1° settembre del 1939, l’esercito tedesco varcò la frontiera della Polonia, seguito due settimane dopo dall’esercito sovietico, si innescò quel catastrofico evento che è stato la Seconda guerra mondiale. Ma in realtà nessuno aveva idea che quell’invasione, una delle tante, fosse l’inizio della più grande catastrofe dell’umanità. Accadde che la Francia e l’Inghilterra, allora, avendo dato la loro parola ai polacchi, che sarebbero intervenuti in caso di aggressione, dichiararono guerra alla Germania. Quella guerra, benché dichiarata, per alcuni mesi fu chiamata la strana guerra, drôle de guerre, funny war.

 

BERLUSCONI PUTIN 4

Ma i pacifisti dei pochi Paesi liberi e democratici come la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti si indignarono moltissimo. Non per l’invasione nazista e sovietica della Polonia, ma per le dichiarazioni di guerra, peraltro svogliate, di Parigi e Londra. Un’altra guerra? Con qualche analogia con ciò che accadde durante l’invasione russa dell’Ucraina, i pacifisti sostennero che fosse criminale opporre le armi a Hitler, mentre tutti i partiti comunisti occidentali, seguendo le direttive di Iosif Stalin, si schierarono con i tedeschi. Contro la democrazia francese e gli imperialisti inglesi.

 

Il Partito comunista francese fu messo al bando in Francia per alto tradimento e la Resistenza comincerà soltanto quando Hitler, cogliendo di sorpresa Stalin, invaderà l’Unione Sovietica. Come finì, lo sappiamo: gli invasi russi esercitarono il diritto di inseguire gli invasori fino a Berlino, dove Hitler si suicidò.

PUTIN BERLUSCONI

 

Ma da allora, benché ci siano state guerre e guerriglie di ogni genere, non era più accaduto che uno Stato sovrano invadesse un altro Stato sovrano. O meglio: ci fu un caso, quello dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. In quel caso l’Onu decise di intervenire militarmente affinché fosse ribadito il principio per cui non è consentito a uno Stato di invaderne un altro per occuparlo e depredarlo.

 

Così, per la prima volta dopo tanti anni dalla nostra rottura, accennai al fatto che Vladimir Putin non fosse nuovo a imprese come quella dell’Ucraina, perché l’aveva già fatto nel 2008 invadendo la Georgia, di cui ha catturato illegalmente due regioni. Berlusconi, stupendomi, mi volle raccontare come andarono le cose nel 2008: «La guerra contro la Georgia la fermai io», disse.

 

silvio berlusconi e vladimir putin 9

«Era accaduta una cosa gravissima: dalla Georgia era stata sparata una cannonata che si abbatté su una festa di nozze in cui morirono gli sposi e molti invitati. L’opinione pubblica inferocita chiese a Putin di dare una lezione ai georgiani e lui si mosse, ma io riuscii a bloccarlo. “Vladimir”, gli dissi, “se non ti fermi subito, te la faranno pagare cara: diranno che tu vuoi ingrandirti con le guerre e troveranno ogni pretesto per colpirti. Credi a me, credi al tuo amico Silvio: ritira le tue truppe”». E, ricordava Berlusconi, Putin ritirò le sue truppe. Salvo quelle ancora in Abkhazia e Ossezia.

 

silvio berlusconi e vladimir putin 4

Ma penso che il motivo di questa versione dei fatti nascesse da una profonda amarezza: quella di non aver ricevuto dal governo Meloni un ruolo con cui spendere la propria influenza su Putin per mettere fine alla guerra in Ucraina. Si aspettava di essere eletto presidente del Senato per poter usare il ruolo di seconda autorità dello Stato. Ne era certo, e quando vide Ignazio La Russa eletto alla prima votazione – quella che in genere va a vuoto perché i partiti votano il loro candidato di bandiera – si sentì tradito.

 

«Sai come è fatto Putin: lui non può sentirsi sconfitto. E quale altra arma avrebbe se non la bomba atomica? Muoia Sansone con tutti i filistei. Ecco che cosa temo. Seguitano a mandare armi a Kiev, ma fanno un errore catastrofico. Stavo pensando se fosse meglio andare in Australia oppure farmi fare lì in giardino un rifugio antiatomico con tutti i comfort. Ma non abbiamo più tempo».