“LA ZONA ROSSA? QUALUNQUE COSA SI FOSSE FATTO PROBABILMENTE ERA TROPPO TARDI” – IL PROF. REMUZZI: “SE NEMBRO FOSSE STATA CHIUSA SUBITO AVREMMO AVUTO QUALCHE CONTAGIATO IN MENO, MA LA MALATTIA ERA PARTITA PRIMA” – EMILIA, PUGLIA, LAZIO E SICILIA: MOLTE REGIONI HANNO FATTO DA SOLE E IN TOTALE IN ITALIA CI SONO STATE PIÙ DI 100 ZONE ROSSE. QUALCUNO LO DICA A FONTANA E GALLERA
-1 – IL PROF REMUZZI AD ICEBERG: “LA ZONA ROSSA DI ALZANO? QUALUNQUE COSA SI FOSSE FATTO PROBABILMENTE ERA GIA’ TROPPO TARDI”
DOMANDA: se fosse stata istituita la zona rossa ad Alzano e Nembro si sarebbe potuta contenere la gravità dell’epidemia nella bergamasca? Oppure era già ampiamente diffusa e sarebbe stato comunque difficile contenerla?
REMUZZI: io credo che sia vera la seconda cosa perché adesso abbiamo sempre più evidenze che questo virus era con noi da tanto tempo. C’è stato un caso in Francia a dicembre, 266 casi in Cina a metà novembre.
Pensate a quanta gente ha viaggiato dalla Cina a Bergamo e a tutte le nostre zone industriali. Secondo me quando l’epidemia è arrivata noi non ce ne siamo affatto accorti. Ha colpito soprattutto giovani che sono o asintomatici o hanno sintomi lievi.
Io penso che è proprio vero che qualunque cosa si fosse fatto probabilmente era tardi. Per dire: se chiudere Nembro avrebbe risparmiato qualche vita? Questo è molto difficile da dire se non siamo di fronte a dei dati che non ce lo dimostrano con certezza.
Il buon senso ci fa dire che se Nembro fosse stata chiusa subito forse avremmo avuto qualche contagiato in meno ma certamente la malattia era partita prima e paradossalmente queste aggregazioni dove ci sono i sindaci più bravi, che creano università per anziani, luoghi per anziani dove ritrovarsi, che sono tutti luoghi chiusi, quelli creano paradossalmente situazioni che favoriscono la diffusione del virus.
DOMANDA: quindi, professore, il parere scientifico suo è che, se fosse stata istituita la zona rossa, la malattia era già talmente diffusa, quella decisione poteva essere un aiuto ma non sarebbe cambiato molto?
REMUZZI: io personalmente penso così, però non ne sono certo e non c’è modo di saperlo.
2 - EMILIA, PUGLIA, LAZIO E SICILIA ECCO CHI SI È MOSSO DA SOLO DECINE LE ZONE ROSSE ISTITUITE
Diodato Pirone per “il Messaggero”
Quelle di Codogno e Vo' sono ormai storia italiana. Ma in realtà le zone rosse istituite nei mesi scorsi da una dozzina di Regioni per fermare il Covid 19 sono state parecchie decine.
Il fenomeno ha coinvolto anche Comuni non piccolissimi come ad esempio Fondi nel Lazio, Ortona in Abruzzo, Medicina in Emilia o Ariano Irpino in Campania. Zone rosse sono state anche centri famosi come Canazei, in Trentino, o San Giovanni Rotondo in provincia di Foggia, notissimo presso i devoti di Padre Pio.
E sempre fra le zone rosse vanno annoverati tanti paesini sconosciuti della Calabria, della Sicilia e persino di Regioni poco toccate dalle pandemia come il Molise e la Basilicata. Paesini travolti spesso dalla diffusione del virus in piccole case di riposo che portato all'esterno da infermieri, medici o personale della pulizia, hanno messo a rischio la salute di migliaia di persone.
Alcuni minuscoli paesi dell'Abruzzo, come Elice in provincia di Pescara, sono arrivati a implorare essi stessi alla Regione di essere circondati dai Carabinieri e dall'Esercito pur di bloccare tutte le attività e stroncare il contagio e la paura.
CASI ECLATANTI
Complessivamente le zone rosse italiane sono state più di 100, su Internet gira la cifra di 109 ma in realtà si tratta di una stima molto imprecisa perché ferma a metà aprile. Fra le 109 aree isolate sono in realtà compresi comuni delle province di Piacenza e di Rimini che furono coinvolti dal presidente della Regione Emilia, Stefano Bonaccini, in una sorta di maxi zona arancione con controlli più severi di quelli già pesanti previsti dal governo.
Alcune zone rosse regionali hanno fatto molto rumore. Bonaccini - l'ha ricordato ieri - fece circondare in una notte il comune di Medicina, con 16.000 residenti, situato in provincia di Bologna, per fermare il contagio che stava minacciando pericolosamente il capoluogo regionale.
Pesante anche il caso di Fondi, poche decine di chilometri a sud di Latina, che fu isolato dal presidente del Lazio Nicola Zingaretti subito dopo la metà di marzo di fronte ad una crescita esponenziale dei contagi rispetto alla popolazione che spaventava anche Roma. Ci volle quasi un mese per eliminare i posti di blocco (che per la verità non erano proprio rigidissimi).
Nella Campania guidata da Vincenzo De Luca ha fatto scuola il caso di Ariano Irpino. Anche qui le leggerezze di qualche abitante e, purtroppo, la scarsa preparazione iniziale dell'ospedale locale scatenarono il virus con risultati disastrosi: il 24 aprile ad Ariano si contavano ben 25 morti e 153 contagiati.
Dopo la chiusura di questo paesone di 17.000 abitanti la Regione Campania ha organizzato un test del sangue di massa al quale hanno partecipato oltre 13.500 arianesi. Un caso unico in Italia. Il test fece emergere 644 persone con anticorpi al Covid, tutte sottoposte a tampone e così si è potuto scoprire che lo 0,44% di tutti i testati era contagiato. Non è una cifra piccola: la media regionale degli infettati in Campania è dello 0,08% della popolazione.