LIBIAM! – IL PRESIDENTE DEL GOVERNO DI ACCORDO NAZIONALE DI TRIPOLI PROPONE ELEZIONI NAZIONALI ENTRO MARZO E ANNUNCIA IL CESSATE IL FUOCO, MA LASCIA CAPIRE CHE LE MILIZIE STRANIERE CHE SOSTENGONO HAFTAR DOVREBBERO ANDARSENE DAL PAESE (E I TURCHI?) – LE TRATTATIVE AMERICANE E I DUBBI SUL FUTURO RUOLO DA DARE AL GENERALE DELLA CIRENAICA…
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Lorenzo Cremonesi per www.corriere.it
La Libia verso la pacificazione interna? La prospettiva diventa oggi possibile con il comunicato reso noto dal premier del governo di Accordo Nazionale a Tripoli sostenuto dall’Onu, Fayez Sarraj, che addirittura propone la tenuta di elezioni nazionali entro il marzo 2021.
«Per arrivare ad un effettivo cessate il fuoco occorre subito demilitarizzare le aree di Sirte e Jufra, oltre a trovare formule di cooperazione tra le polizie di quelle zone», afferma Sarraj. L’iniziativa contempla tra l’altro la fine della guerra guerreggiata, l’elaborazione della legge costituzionale ed elettorale a tempi brevi e soprattutto lo smantellamento delle milizie assieme al ritiro delle forze mercenarie straniere. Il premier non specifica quali.
Ma lascia capire che dovrebbero lasciare sia le forze turche, assieme ai mercenari siriani, che hanno sostenuto il governo di Tripoli, che i mercenari russi, egiziani e africani, che garantivano le forze armate di Khalifa Haftar in Cirenaica.
Il significato più importante dell’iniziativa è che appare come il risultato rilevante del recente impegno americano volto a unificare il Paese e porre un argine all’intervento russo, che da oltre un anno aveva favorito Haftar.
Trattative serrate sono avvenute negli ultimi mesi in Marocco e Tunisia, dove si era recato lo stesso Segretario di Stato, Mike Pompeo. Tutto ciò marca l’eclissi delle speranze di Haftar per imporsi come leader forte del Paese scivolato nel caos dopo la fine violenta di Muammar Gheddafi nell’ottobre 2011.
Il 4 aprile del 2019 Haftar aveva proditoriamente interrotto le trattative diplomatiche mediate dall’Onu e aveva cercato di occupare Tripoli manu militari, grazie ai cospicui aiuti di Russia, Egitto ed Emirati Arabi. A novembre pareva sul punto di riuscire a prendere la capitale. Ma poi l’intervento turco aveva rovesciato le sorti della battaglia. Tanto che da almeno sei mesi Haftar è costretto sulla difensiva e rischia addirittura di venire rovesciato dalle tribù della Cirenaica.
Oggi il grande punto interrogativo riguarda proprio il suo futuro. Sarraj, che ancora un anno fa gli offriva di diventare il capo di stato maggiore del nuovo esercito unificato, ormai lo rifiuta come interlocutore politico e chiede anzi che venga processato da un tribunale internazionale per «crimini di guerra».
Al suo posto sta trattando il parlamento di Tobruk, specie per voce del suo presidente Aguila Saleh. Haftar, comunque, un passo compromissorio lo ha compiuto nelle ultime ore, proponendo la riapertura dei pozzi petroliferi sotto il suo controllo. Si sta negoziando come verranno divise le entrate petrolifere, che comunque dovrebbero venire amministrate dalla compagnia energetica nazionale (Noc), la cui sede centrale è a Tripoli.
I Fratelli Musulmani e le milizie di Misurata restano comunque contrarie a qualsiasi coinvolgimento di Haftar nel processo politico e i russi non sembrano in grado di poterlo sostenere. Emirati ed Egitto paiono per contro ben disposti a cooperare con la mediazione statunitense.
Al presidente egiziano Al Sisi farebbe comodo poter rispedire in Libia i due milioni di lavoratori egiziani che per decenni avevano contribuito all’economia interna. Alla Turchia preme di mantenere un ruolo politico e soprattutto di garantirsi le commesse economiche per contratti pari a oltre 30 miliardi di dollari che erano stati firmati ancora ai tempi di Gheddafi. Grande assente resta invece l’Europa, che ancora non riesce ad elaborare una politica estera unitaria sul nodo libico.