LA MAFIA È QUESTIONE DI FAMIGLIA - MATTEO MESSINA DENARO HA INCONTRATO PER LA PRIMA VOLTA LA FIGLIA, LORENZA ALAGNA, NEL CARCERE DELL’AQUILA: LA 26ENNE NON È MAI STATA RICONOSCIUTA DAL PADRE E NON HA MAI OSSEQUIATO IL BOSS, DIVENTANDO MOTIVO DI TURBAMENTO PER IL LATITANTE – NEGLI ULTIMI TEMPI IL DISPIACERE PER LA LONTANANZA DELLA FIGLIA SI ERA TRASFORMATA IN RABBIA CHE SFOGAVA IN ALCUNI PIZZINI: “QUELL'EBETE DI MIA FIGLIA CAPISCE SOLO IL CAZZO. E' DEGENERATA... ”
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1. MAFIA: MESSINA DENARO HA INCONTRATO IN CARCERE LA FIGLIA
(ANSA) Lorenza Alagna, figlia del boss Matteo Messina Denaro, ha incontrato per la prima volta il padre alcuni giorni fa nel supercarcere dell'Aquila. Ne dà notizia stamattina Repubblica. Messina Denaro, 61 anni, arrestato lo scorso 16 gennaio e ammalato di cancro, ha visto la figlia 26enne che non ha mai ufficialmente riconosciuto in un braccio blindato del 41 bis. La ragazza, diventata di recente madre, "non ha mai ossequiato il padre-padrino", osserva il quotidiano, ed "è diventata negli ultimi anni la grande inquietudine del capomafia".
Nel covo di Campobello i carabinieri avevano trovato decine di messaggi mai spediti a Lorenza. Uno risaliva al giorno del suo diciassettesimo compleanno: "Stai lontana dai mondi che non conosci. Io sono entrato in altri mondi al prezzo della sofferenza, ma tu non osare mai, ti prego". Negli ultimi tempi, però, il travaglio del padrino si era trasformato in rabbia contro la figlia che a 17 anni aveva convinto la madre ad andare via da casa della nonna paterna, a Castelvetrano. Lorenza non ha mai rinnegato il padre e la sua famiglia, ha però sempre rivendicato il diritto a vivere una vita normale.
2. MESSINA DENARO AL GIP «IO AGRICOLTORE APOLIDE BENI? NON LI DICO A VOI»
Estratto dell’articolo di Lara Sirignano per il “Corriere della Sera”
Il copione è classico e poche sono le variazioni sul tema. Non arriva a dire di non sapere cosa sia Cosa nostra come fece Totò Riina, ma esclude categoricamente di averne fatto parte.
«Che esista la mafia lo so dai giornali», dice. Beffardo, ironico, a tratti irridente, Matteo Messina Denaro si racconta a suo modo ai magistrati. «Lavoravo in campagna, ero un agricoltore» dice nel primo interrogatorio depositato dal giorno del suo arresto.
Un verbale di 40 pagine, del 21 febbraio scorso, con molti omissis, tante menzogne e qualche ovvia ammissione concessa con tono sarcastico. «Le sue condizioni economiche?», gli domanda il gip Alfredo Montalto. «Non mi manca niente», risponde lui. Ma sul patrimonio, sul tesoro mai realmente quantificato e accumulato in anni di crimini, glissa.
«I beni? Li avevo, ma me li avete tolti tutti, se qualcosa ancora ho, non lo dico, sarebbe da stupidi. E comunque — aggiunge — certo che ne ho, sennò come potevo vivere fino ad ora».
La residenza, poi, non ce l’ha più da tempo. «Il Comune tanti anni fa mi ha cancellato.
Proprio mi ha cancellato — ripete — Ormai sono un apolide». E nega di avere soprannomi. […].
[…] Di restare in silenzio, come la legge gli consente, l’ex primula rossa di Cosa nostra non ci pensa neppure. Ma ci tiene a precisare che parlerà solo di «quello che compete» la sua persona. «Sul resto non mi interessa rispondere», dice.
Una scelta in linea con la «migliore» tradizione di Cosa nostra che tiene fuori favoreggiatori e complici.
[…]
nega i rapporti con i boss storici di Cosa nostra: da Totò Riina, che l’ha tenuto sulle gambe da bambino, a Bernardo Provenzano e agli altri stragisti corleonesi. Non li conosce, non li ha mai visti. E, soprattutto — ci tiene a rispondere al gip — con l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito, strangolato e sciolto nell’acido dopo più di 700 giorni di prigionia lui non c’entra nulla.
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