IL MANIFESTO DEL BUON CINEMA - A VENEZIA IL 31 AGOSTO SARÀ INAUGURATA LA MOSTRA “MANIFESTI DA SALVARE”, PER RICORDARE QUELLE PICCOLE OPERE D’ARTE CHE DECIDEVANO IL SUCCESSO O IL FALLIMENTO DI UN FILM AL BOTTEGHINO, NELL'EPOCA IN CUI, AD ATTIRARE LO SPETTATORE, POTEVA ESSERE SOLO UNA LOCANDINA - INDIMENTICABILE QUELLA DI “UN AMERICANO A PARIGI” IN CUI SANDRO SYMEONI, UNO DEI PIÙ GRANDI DELLA COSIDDETTA “SCUOLA ITALIANA” DELLA CARTELLONISTICA, S’INVENTO'...

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Estratto dell'articolo di Pedro Armocida per “il Giornale”

 

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C’è stato un tempo in cui il manifesto decideva il successo o il fallimento di un film al botteghino con lo spettatore che, in un’epoca priva ovviamente di trailer e di tutta l’odierna e bulimica comunicazione web, non poteva averne visto alcuna immagine in movimento. Così succedeva che i manifesti, veri e propri dipinti sparsi per strade, vicoli, facciate di palazzi, mezzi di trasporto pubblico, racchiudessero in una sola immagine il senso del film, dando colore e movimento anche a quelli in bianco e nero.

 

È il caso di Un americano a Roma, il cui autore del manifesto, Sandro Symeoni, uno dei più grandi della cosiddetta “scuola italiana” della cartellonistica, s’inventa dei colori accesi pre-Barbie con i tratti fortemente cinetici di Alberto Sordi e di Maria Pia Casilio che danno la sensazione di vederli muovere. E proprio il manifesto del film di Steno del 1954 è uno dei pezzi più rari della mostra Manifesti da salvare, curata da Luca Siano, che, dal 31 agosto (vernissage ore 17,30) al 9 settembre, sarà visitabile a ingresso libero al Lido di Venezia durante le Giornate degli Autori, manifestazione autonoma e parallela della Mostra internazionale d’arte cinematografica della Biennale di Venezia.

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[...] la sala Laguna ospiterà venti manifesti originali utilizzati per promuovere altrettanti film alla loro uscita nel formato più classico, quello a 2 fogli (100x140 cm).

 

«Anche per questioni di spazio, abbiamo optato – spiega al Giornale il curatore Luca Siano che dirige a Ferrara l’archivio dedicato a Sandro Symeoni – per cinque manifesti per ogni decade. Un viaggio iconografico e cronologico che, oltre a raccontare la storia del cinema italiano nel momento del suo massimo fulgore, racconta anche un pezzo di storia della società italiana».

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Le tecniche utilizzate sono quelle della pittura, a tempera e a olio, mentre alcuni, più all’avanguardia, mescolavano i generi, magari utilizzando il collage.

Purtroppo gli originali sono andati spesso perduti perché solo pochi cartellonisti tornavano in tipografia a prendere i loro bozzetti. Erano infatti molto impegnati a lavorare arrivando a dipingere anche cinque titoli al giorno di cui dovevano realizzare altrettante proposte per poi produrre manualmente i diversi formati.

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Naturalmente, vista la grande capacità di condizionare il pubblico, la censura interveniva pesantemente sui manifesti: «È il caso – ricorda Luca Siano – di A ciascuno il suo di Elio Petri che il primo giorno di uscita venne bloccato e i manifesti oscurati con Symeoni, forse quello che si è poi saputo modernizzare meglio arrivando alla sintesi totale dell’opera grafica con Profondo rosso di Dario Argento e I racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini, accusato di aver rappresentato una scena di stupro».

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