MARLENE DIETRICH FATTA A PEZZI (CON IL SUO ASSENSO) – NEL 1937 L'INTELLETTUALE EBREO AUSTRIACO, ALFRED POLGAR, “SMONTÒ” LA DIVA IN UN'AUTOBIOGRAFIA AUTORIZZATA DALL'ATTRICE – CRITICÒ FEROCEMENTE LA VOCE, IL VISO, LE MANI DELLA PROTAGONISTA DI “L'ANGELO AZZURRO” – IL LIBRO FU BLOCCATO DAL NAZISMO E MAI PUBBLICATO. MA ORA, DOPO MILLE VICISSITUDINI, ESCE IN ITALIANO…
-Estratto dell’articolo di Emiliano Morreale per “il venerdì di Repubblica”
Nell'estate del 1937, uno strano incontro ha luogo in una casetta montana nei dintorni di Salisburgo. Marlene Dietrich, la diva-simbolo del cinema di Weimar diventata subito un irraggiungibile modello di glamour a Hollywood, è tornata in Europa e alloggia alcune settimane nell'Austria non ancora annessa al Terzo Reich.
I suoi rapporti con il regime hitleriano sono tesi e cauti: lei è emigrata negli Usa sette anni prima, proprio la sera della prima dell'Angelo azzurro, il film che la rivelava al grande pubblico nei panni di Lola Lola. La sua famiglia è rimasta in Germania, ma lei è in contatto con ambienti antinazisti e aiuta gli emigrati, oppositori politici o ebrei.
Proprio uno di loro lo contatta e la visita più volte in quei giorni del '37. È il viennese Alfred Polgar. Critico teatrale e autore di testi celebri per i giornali, temuto e apprezzato, negli anni 20 era uno degli esponenti di spicco del mondo culturale di Berlino. Lontano da ogni ideologia, disincantato ma mai cinico, demistificatore dell'ordine costituito, di lui scrivono ammirati Robert Musil e Walter Benjamin, che lo affianca a Karl Kraus definendolo «il principe dei sabotatori».
Una decina d'anni prima, quando Polgar l'aveva vista per la prima volta in scena a Vienna in una commedia americana in cui lei aveva una particina, Marlene era ancora un'attrice e ballerina in cerca di fama. Ma lui, con un gruppo di amici, fonda subito un "Marlene fan club". Poi la frequenta a Berlino: l'attrice, alle soglie dei trent'anni e ancora in cerca di successo, ama la compagnia di intellettuali e si muove disinvolta in un ambiente libero e stimolante dal punto di vista artistico, umano, sessuale.
[…] Non immagina che col provino per il ruolo di Lola Lola sta per folgorare il regista Josef von Sternberg e cambiare vita e continente.
Nel '37, le parti sono invertite: lo scrittore è in penose difficoltà, l'attrice è diventata Marlene. Lui è ormai anziano, ha 64 anni: lei ne ha 36, età impervia per una diva dell'epoca. Polgar, ebreo, è fuggito da Berlino nel '33 (verso Praga, Parigi, Vienna) ed è in gravi difficoltà economiche. Marlene, su richiesta di un giornalista e mecenate di Zurigo, gli ha già inviato un generoso assegno di 500 dollari (12 mila euro attuali). Ma le difficoltà economiche continuano.
[…] Dietrich infatti si trova in un momento difficile della sua carriera: si è interrotto il sodalizio col suo mentore Sternberg, i suoi ultimi film sono andati male, la considerano "veleno" al botteghino, la Paramount paga una penale esorbitante pur di liberarsene. In più ha appena chiesto la cittadinanza americana, e un libro su di lei in lingua tedesca potrebbe esserle utile per più versi.
Polgar visita l'attrice nella baita dove lei vive con il marito e con l'amante di lui, cui si aggiunge talvolta il proprio amante del momento, Douglas Fairbanks jr. La incontra di nuovo a Parigi, ha dei colloqui pare poco entusiasmanti, e però si mette al lavoro. Un po' tormentato, a giudicare dalle lettere: «Il pensiero di pubblicare 150 pagine a mio nome incensando una diva del cinema mi è pressoché intollerabile, e avrei da un pezzo interrotto le trattative, se la mia Lisl (la moglie, ndr) non mi avesse detto che, a suo modo di vedere, non dovrei permettermi il lusso di una morale letteraria».
Eppure Polgar ammirava davvero Marlene, e il suo libro è un affascinante misto di chiarimenti storici, smontaggio del personaggio (letteralmente: le gambe, le mani, la voce, il viso che sembra tanti visi, «come fotogrammi sovrapposti in un montaggio turbinoso»), frammenti, e a tratti un saggio sul concetto di sex appeal, «indefinibile attrazione che una persona esercita sul suo simile».
Il libro non uscirà mai. A bloccarne la pubblicazione, all'epoca, sono davvero motivi di forza maggiore. All'inizio del '38 la Germania di Hitler si annette l'Austria, la pubblicazione di un autore ebreo è impensabile. Polgar fugge prima in Svizzera e poi in Francia, ma neanche lì si riesce a trovare un editore, e la nuova casa di produzione di Marlene, la Columbia, non è interessata a finanziare la pubblicazione. Polgar e la moglie raggiungono infine gli Stati Uniti (anche grazie all'interessamento di Thomas Mann), lui ottiene un contratto di lavoro con la Metro Goldwyn Mayer.
Nella valigia porta con sé quell'unico manoscritto. Che è stato ritrovato fra le sue carte nel 1984, ed esce adesso per la prima volta in traduzione italiana da Adelphi con il titolo Marlene. Nel frattempo Dietrich risolleva la sua carriera con un ruolo imprevisto, la donna del saloon nel western Partita d'azzardo. E con l'entrata in guerra arriva la stagione dell'impegno antifascista diretto.
[…] Non risulta che Marlene Dietrich e Alfred Polgar si siano più incontrati fino alla morte di lui, nel 1955. Questo ritratto che esce postumo, un ritratto incantato e un po' imbarazzato, scritto in mezzo alle convulsioni della Storia, ci racconta il rapporto sempre ambiguo fra l'intellettuale e l'immagine (specie femminile) sullo schermo. E ci appare come un omaggio alla cultura della repubblica di Weimar, appena sepolta dal nazismo.